Quasi un editoriale

Le maschere

Storia, teatro, tradizione. Identità, finzione, mistero e realtà. Dietro a una maschera, o davanti ad essa, tutto questo e molto altro. Nel mese del Carnevale dedichiamo il nostro mensile al tema delle maschere. Confine tra un mondo reale ed uno immaginario. Rivelazione, ovvero doppia velatura, di ogni personalità. A molti di voi non sfuggirà dalla memoria la celebre teoria di Luigi Pirandello che mette in guardia sulla possibilità di incrociare lungo il nostro cammino molte maschere e pochi volti. Lo scrittore agrigentino sa bene che ognuno di noi è costretto ad indossare maschere utili per affrontare la vita sociale, come fossimo attori di una perenne

Gli articoli

Maschere centuripine

A Centuripe, comune della provincia di Enna, sono state rinvenute moltissime terracotte teatrali, maschere e statuette durante gli scavi iniziati da Paolo Orsi tra il 1907e il 1910 e protrattasi fino a tempi più recenti. Le numerose maschere ellenistiche fanno riferimento a due tipologie e funzioni diverse ma coeve: le maschere teatrali e quelle antefisse, cioè modellate a rilievo per essere appese alle pareti.  Le maschere nel teatro antico e non solo, sono indossate dagli attori per caratterizzare i personaggi della tragedia e della commedia, ma anche per convogliare e amplificare la voce. Il rapporto tra maschera e teatro è indissolubile e dialoga con la finzione, con l’ambiguità e l’alterità tra

Le maschere africane

Ovunque le maschere parlano ed esprimono cose che senza il loro uso sarebbe difficile o addirittura impossibile rivelare.  Ad esempio dicono molto sulla cultura di chi le indossa, sul pensiero religioso, filosofico ed estetico e su molto altro. In Africa sono molto usate mentre in occidente sono relegate al carnevale, privato ormai del suo significato. Le maschere africane rivelano un carattere peculiare dell’arte africana: essa non è mai contemplativa piuttosto diremo che essa è funzionale. Qualsiasi espressione artistica in Africa è completa solo se assolve una funzione, se la creazione perde l’idoneità alla funzione per cui è stata pensata non serve più e perde ogni valore. Non

Charlie Chaplin, immortale maschera del cinema

A 136 anni dalla sua nascita, Chaplin risulta incredibilmente attuale. È questa la caratteristica dei grandi artisti. Prendiamo ad esempio le tragicomiche disavventure del vagabondo (conosciuto in Italia come Charlot) in Tempi moderni (1936), alle prese con la catena di montaggio di una fabbrica. Il tema del rapporto tra essere umano, macchine e tecnologia è, oggi più di ieri, all’ordine del giorno. E che dire della goffa gara di superiorità tra Mussolini/Napoloni e Hitler/Hynckel ne Il grande dittatore (1940)? Il loro super ego dalle conseguenze devastanti somiglia incredibilmente, ahinoi, a quello degli attori politici buffoneschi dei nostri tempi. E la crisi interiore della ballerina di

Cinema e teatro, quando le maschere fanno la differenza

Sebbene al giorno d’oggi se ne senta parlare poco, la maschera è una figura professionale dell’ambito teatrale o cinematografico che si occupa dell’accoglienza del pubblico, di controllare gli ingressi e verificare il possesso del biglietto. Non solo: accompagna gli spettatori al proprio posto e si assicura che venga mantenuto un comportamento adeguato nel corso della rappresentazione, restando disponibile per informazioni ulteriori. A questi incarichi di base si aggiungono l’eventuale gestione del guardaroba, la distribuzione di materiale informativo e altre mansioni variabili. La presenza, il numero e l’uniforme indossata dalla maschera caratterizza ciascun ente. È presente, in misura massiccia, nei Teatri storici, nelle Fondazioni lirico-sinfoniche e

Il volto nascosto; la maschera nel teatro

Presso i Greci nacque il teatro e i suoi generi principali: la commedia e la tragedia. Il teatro era per gli antichi un’esperienza politica e sociale oltre che puro divertimento: se per i cittadini meno abbienti era svago e diletto durante le feste religiose, per gli aristocratici era il modo perfetto per dimostrare ai pari e alla città quale famiglia fosse più potente, finanziando le rappresentazioni. In scena gli attori erano tutti uomini e per distinguere un personaggio da un altro questi indossavano maschere, dotate spesso di caratteristiche fisse, che rendevano il personaggio semplice da riconoscere anche a distanza. L’uso delle maschere, in greco πρόσωπον,

Ti conosco, mascherina!

Ti conosco, mascherina! Questa frase la ripeteva sempre una persona che stimavo moltissimo. Voleva che io stessi attenta alle persone che mi si avvicinavano spesso e volentieri con gentilezza che però, a lungo andare, celava una sottile cattiveria e una grande dose di ipocrisia. Ho fatto tesoro di questo affettuoso avvertimento e cerco sempre di analizzare i comportamenti altrui con obiettività e con l’esperienza data dall’età che, ahimè, passa. Pirandello diceva “imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai molte maschere e pochi volti” Niente di più vero. È impresa ardua trovare persone sincere, affidabili. Quelle su cui si può contare per

Dalla Svezia alla Sicilia: le maschere di Osa Rosti

Osa e suo marito Nico ci accolgono nella loro casetta immersa nel verde dell’inverno della campagna iblea. In lontananza muri a secco, alberi di carrubbo e mucche. Sullo sfondo dovrebbe vedersi il mare, ma oggi venti capricciosi portano nubi grigie che non promettono pioggia. Immaginiamo soltanto l’orizzonte blu che abbraccia tutto il litorale. Osa ci viene incontro come un folletto biondo, esile e colorato, dagli occhi azzurri che sprizzano energia. Il suo studio si affaccia sulla cucina luminosa, e tutto racconta la gioia della creatività. Maschere, ma non solo: ci sono anche pannelli astratti, figure danzanti, piccoli animali e pesci. E colore, dappertutto. Il privilegio

Mamuthones & Carrasecare

(un viaggio in Sardegna per scoprire che non tutti i Carnevale sono uguali) Avevo iniziato a fare collezione di maschere. Maschere dal mondo. E così, avevo iniziato a riempire le pareti di alcuni angoli di casa con maschere dalle più disparate provenienze. Da talune terre africane, fino alle Filippine, Bali, Messico, Thailandia, Caraibi, India. Di paglia o di batik, di ebano o di bronzo. Ne avevo accumulate un cospicuo numero di esemplari, tutti in bella mostra e degni di osservazione. Pensavo – io che scrivo dalla terra di Pirandello, e nato in quella della commedia dell’arte – che gran parte delle maschere della mia sparuta

Le mascherine di decodifica delle spie: come decodifichiamo i messaggi

Nei miei ricordi di film di spionaggio, visti soprattutto in adolescenza, compariva spesso questo strumento, una mascherina che copriva quasi completamente la visione di un testo scritto lasciando scoperte solo alcune caselle, quelle che contenevano il messaggio che la spia doveva ricevere. Questa mascherina prende il nome di griglia di Cardano, in onore del matematico italiano che nel ‘500 l’avrebbe inventata. Stiamo parlando di una articolazione della crittografia denominata steganografia, che consente di nascondere messaggi all’interno di uno scritto che sembra non avere niente di anormale, come una lettera o un articolo di giornale o un annuncio pubblicitario. Queste mascherine dunque consentono all’interessato di leggere

Maschere palermitane

Uno dei programmi più innovativi della TV italiana, andato in onda su Rai3 all’interno di altri programmi come Blob, Avanzi, Fuori orario, a metà degli anni novanta del secolo scorso, è stato certamente Cinico TV.Ideato dai due registi Daniele Ciprì e Franco Maresco, il programma consisteva in una serie di piccole “interviste”, con i due registi sempre fuori campo, a dei personaggi “diversi”, fuori dai cliché, squallidi, sullo sfondo di una irriconoscibile Palermo, che sarebbe potuto essere qualunque posto della Sicilia, del mondo. Interviste sempre in bianco e nero, proprio per accentuare lo squallore delle persone e la desolazione dei posti.Diversi i personaggi che popolavano

Maschere, carri allegorici, allegria… il carnevale di Chiaramonte Gulfi

Intervista a Giancarlo Battaglia Il Carnevale di Chiaramonte Gulfi, cittadina a 19 km di distanza da Ragusa, vanta una lunga tradizione carnascialesca che affonda le sue radici nella notte dei tempi di cui lo scrittore e antropologo siciliano, Serafino Amabile Guastella, ci ha raccontato in uno dei suoi libri: L’antico Carnevale della Conte di Modica, edito nel 1886. In effetti, il racconto dello scrittore sull’antico Carnevale non riguardava soltanto Chiaramonte, ma narrava anche di ciò che accadeva in quell’occasione nella Contea di Modica, di cui allora la cittadina montana faceva parte. Tuttavia, dal momento che lo scrittore era chiaramontano, poneva la sua attenzione in modo

Gino Carista, comico

Ci sono attori che con le loro interpretazioni hanno raccontato, raccontano, l’Italia, le sue trasformazioni, le sue contraddizioni. Delle caricature, maschere, che raccontano la realtà attraverso la deformazione e l’esasperazione di fatti e personaggi reali, dei quali sanno cogliere i tratti salienti.Uno di questo è certamente il palermitano Gino Carista, una vita spesa tra i palcoscenici e i set cinematografici. Lo abbiamo incontrato nei camerini del teatro Sant’Eugenio di Palermo, poco prima di andare in scena con la sua ultima interpretazione in un classico del teatro dialettale siciliano, L’eredità dello zio canonico. Quando è nato il Gino Carista attore?Nel 1977, quando sono andato ad iscrivermi

Le maschere, fra l’arte e i burattini

Ma quant’è figa, l’Italia, nelle sue tradizioni? Persino negli inganni quali possono essere le maschere, l’Italia che fa? Se ne esce con la Commedia dell’Arte, ricca di personaggi sfiziosissimi, figli legittimi di quei burloni che furoni i commediografi prima greci e poi latini. Noi, quindi, siamo i depositari di culture millenarie che si evolvono e crescono in forme d’arte antiche ma sempre nuove. Per meritarci, però, questa eredità, un minimo di sforzo grato possiamo pur farlo. Quindi, ripassino veloce sulle maschere regionali italiane, confluite a buon diritto nel teatro dei burattini e, da lì, nei travestimenti carnascialeschi fino agli anni ‘80 del secolo scorso. Chissà

La realtà dietro la maschera

Nell’intricata danza dell’esistenza, ogni persona ha due volti. Una è quella che mostriamo al mondo: una maschera accuratamente modellata sulle aspettative e sulle norme sociali. L’altra, più autentica ma nascosta, è riservata a pochi… o a volte, nemmeno a noi stessi. In questa fase di maschere in cui conviviamo quotidianamente, ci muoviamo con la maestria di un attore che interpreta il ruolo che ci si aspetta da noi. Trasmettiamo sicurezza, ostentiamo successi, condividiamo sorrisi studiati davanti allo specchio, modelliamo la nostra immagine con precisione. Ma cosa c’è dietro quella maschera? Quanto di ciò che mostriamo è reale e quanto è solo un riflesso di ciò

Dietro ad un sorriso

«Vi devo parlare…», cominciò così il discorso di Francesco, nella sala d’attesa di un ospedale ai suoi ragazzi. «La mamma… beh… come ve lo spiego? Non siamo qui perché la mamma doveva rimuovere un semplice polipetto… siamo qui perché le è stato trovato qualcosa al seno». Monica e Simone abbassarono la testa e tacquero. Guardavano a terra. Non volevano alzare lo sguardo, sarebbe stata dura per loro incontrare gli occhi del padre. Monica scelse di alzarsi e andare al bar dell’ospedale, aveva la necessità di piangere ma non voleva farlo davanti a tutti. Simone la seguì, ma si tenne a debita distanza. Nel tragitto entrambi

Maschere (Ho sognato di essere libero)

Ho sognato di essere libero. Libero da impeccabili, buoniprogetti su di me.Libero da codici, da strutture,da alienazioni.Libero da effimeri baci,da incontrollate reazioni. Ma un applauso mi svegliò.Bruscamente!Gli attori c’erano tutti:bisognava iniziare… Deluso, cerco tra il pubblicomani che non applaudono,mani che accarezzanoil cuore. Ma non ne trovo. Continuo cosìa recitare la mia parte,a mascherarmi dietro personaggisenz’anima. Intanto la vita continuaanche senza di meche navigo nel maredi un’eterna incertezza. Antonio Barone

Fernando Pessoa e l’eteronimia del poeta fingitore

«Quante maschere e sottomaschere noi indossiamo/ sul nostro contenitore dell’anima, così quando,/ se per un mero gioco, l’anima stessa si smaschera,/ sa d’aver tolto l’ultima e aver mostrato il volto?» (VIII). È il 1918 l’anno in cui il poeta portoghese Fernando Pessoa (1888-1935) pubblica questi e altri versi in Trentacinque Sonetti,  raccolta di componimenti poetici in lingua inglese, insieme ad Antinoo, annoverata tra le opere d’esordio. Il canone e l’espressione straniera  attingevano alla esperienza all’estero e alla prima maturità letteraria dell’autore, tornato a Lisbona dopo avere vissuto con la famiglia a Durban, in Sudafrica, dove aveva lavorato il patrigno e dove lo stesso Pessoa aveva compiuto

Siemu u nudu ammiscatu co nenti!

In una delle mie esperienze di teatro sociale al MITOS (Meeting Italiano di TeatrO Sociale) di Lucca abbiamo usato le maschere. Non ricordo più cosa si è fatto e si è detto. In un’altra occasione, sempre al MITOS di Lucca, in cui la consegna era “portate degli oggetti” una ragazza portò questa maschera in ceramica. Ricordo che, seduto con le spalle verso il “pubblico” ovvero gli altri del gruppo laboratorio, feci eseguire alla maschera, tenendola in alto con la mano destra, una performance improvvisata. Non ricordo cosa avessi in mente né se avessi un tema da rappresentare. Ricordo che avvertii l’attenzione del pubblico e l’applauso