
Un gatto regalò un applauso è un libro di poesie. O almeno così scrive il sito di Eretica Editrice. Anzi, “è una carovana di testi, figlia del disincanto” per definizione del suo stesso autore Giovanni Marchioni.
Ma voi non credete né all’uno, né all’altro.
Anche se è vero che questi versi non sono scritti per obbedire a un credo, a una politica o a un impegno civile (ma, poi, quale?). Anche se è vero che Marchioni scrive poesia per chi ha voglia di guardare la realtà per ciò che è e non per come la vorremmo.
Non credetegli perché è ancora più vero che a leggere queste poesie incontreremo un uomo impegnato sì a “decorare una duna di sabbia” (ancora parole dell’autore), ma ancora di più a salire sull’albero più alto, raccogliere i sassi per strada, bagnarsi al mare, contare le calze spaiate, osservare una piuma che cade, sognare, dimenticare le chiavi e riuscire comunque a ritornare a casa.
E se Incontrare la poesia che apre la raccolta non è amichevole (Ma noi guardiamo altrove/dove la puzza di angoscia non può arrivare/ e il marmo dei vostri ricordi/ si disintegra al solo pensiero/ di doverci incontrare) non fatevi intimidire. La scimitarra sguainata serve solo a stabilire la posta in gioco e la posizione del poeta, che è di contrapposizione e di orgogliosa alterità (Se poi non credi se non tocchi/ma invidi coloro che non toccando/credono, allora sei di un’altra categoria.) E una volta che i patti sono chiari si può passare alle amicizie lunghe con ciascuna delle poesie contenute nella raccolta.
Impareremo ad abbandonare il languore sentimentale, il vecchio espediente del ricordo, il rovello sul tempo. Con il poeta, grazie al poeta, lasceremo andare ciò che non siamo più. Rifiuteremo la nostalgia e il dio della frenesia (Ma per nulla al mondo/dovrai marciare, guarda/camminando piano). Al nostro sguardo adesso riposato apparirà che ogni cosa è sfiorata dall’occhio del poeta anche a costo di mandare al diavolo le metafore perché Una pianura è una pianura/una lavagna è una lavagna/un semaforo è un semaforo. E come per la rosa che è una rosa è una rosa, il senso siamo liberi di trovarlo da noi, secondo i nostri desideri.
Il nucleo della raccolta pulsa quindi nel rifiuto e non nella proposta, nell’allontanamento e non nella strizzatina d’occhio. È a questo prezzo che il lettore ha accesso al varco che, come in Montale, si apre nelle occasioni del quotidiano. E a proposito del premio Nobel che con il nostro autore condivide più di qualche geografia, anche in Marchioni si nota l’uso di un tu poetico che sembra a volte un sostegno e altre un avversario, ma che si sospetta possa rappresentare i tanti possibili Io del poeta. Io evitati, uccisi, rinnegati, dissossati, trasformati. Sbirciamo un tu preso da una poesia che parla di città:
Non sopporti le città ventose/perché non riesci ad alzare la testa/e guardare quello che c’è da vedere./ E sei con me che vengo da una città/che sta davanti al mare dalla nascita/e non si sposta mai, nemmeno/ quando la tramontana non conosce pietà./ Non ti piacciono le spiagge con i ciottoli/che ti fanno male a camminarci sopra/e barcolli maledicendo il giorno in cui./E sei con me che vengo da una riviera/che di sabbia ne vede poca e i castelli/non li ha mai fatti, nemmeno in aria
Ma i versi di Giovanni Marchioni procedono anche per scarti semantici, per parole abusate che l’ironia rinnova, per suoni che collidono, per immagini suscitate per simpatia Se incontri un banco di nebbia/oppure un branco di iene/abbarbicate alla loro cattedra/che sputano lebbra
Si diverte il poeta a sparigliare le carte del senso: Non più acuto il sesto arco/il baricentro sgomenta/muta il peso e la figura/trasfigura dal fondo l’alzo, ma nel movimento del funambolo tende una corda sull’abisso della disperazione di un mondo dove Dio si era sparato/perché non poteva morire/e aveva annegato la tartaruga/ in un laghetto del Colorado […]/ Un angelo rotolato sull’asfalto/cantava una canzone/che non si capiva/Un gatto regalò un applauso. E anche il lettore.