L’estate non è soltanto il periodo in cui si va in ferie dal lavoro e ci si può rilassare, ma anche la stagione in cui proliferano gli eventi culturali e gli spettacoli per attrarre sia i locali che gli innumerevoli turisti. Un fenomeno di grande impatto è il decuplicarsi delle rassegne letterarie. In ogni città, paese, frazione balneare, anche la più sperduta, non può mancare la sua rassegna letteraria. Lo scopo è quello di attrarre quanta più gente possibile. Riempire piazze, spiagge, vie alimentando flussi numerosi che, ci si illude, facciano girare l’economia, perché vedere tanta gente crea questa fantastica illusione. Senza dubbio una nobile scelta se non fosse che, negli ultimi anni, le rassegne letterarie sono diventate una sorta di gara, fra i comuni, fra le associazioni territoriali, a chi invita i personaggi più autorevoli, a chi raccoglie più pubblico. Ferma restando la qualità degli ospiti, tutti famosi e supportati dalle più importanti case editrici italiane, nessuno si è mai soffermato a pensare che, all’interno delle stesse realtà locali che offrono le loro più suggestive location, esistono soggetti capaci di fare cultura, capaci di scrivere cose interessanti, con la stessa passione e lo stesso trasporto di chi mette a nudo la propria anima. Soggetti, ovvero piccoli autori locali supportati da altrettante piccole case editrici locali, che, nella maggior parte dei casi, non possono aspirare a palcoscenici blasonati perché il pubblico sarebbe del tutto scarno e non sortirebbe l’effetto “sold out” che viene richiesto. Gli spazi suggestivi sono riservati agli autori di punta e ai loro tour, mentre i piccoli autori, nella migliore delle ipotesi, trovano spazi esigui, angusti, dove gli unici spettatori presenti sono “i parienti ‘ra zita”, come direbbe il famoso Andrea Camilleri. Ma poi, tolta la marea di persone attratte dal selfie col personaggio famoso, dall’autografo sul libro, cose che tutti abbiamo fatto e facciamo, cosa rimane davvero al territorio? Le foto degli eventi, pubblicate sui siti per attrarre i visitatori. I grandi autori, interamente ospitati a spese dei comuni e delle associazioni, tornano a casa loro con centinaia di libri venduti a favore delle loro grandi case editrici, mentre i piccoli autori restano in loco, elemosinando qualche sparuto spazio, pagando spesso a proprie spese quello che serve per organizzare una presentazione dignitosa e con vendite di libri risibile, che invece potrebbe, davvero, alimentare l’economia territoriale. Conservare il patrimonio culturale locale ed esportarlo pubblicizzandolo, dovrebbe essere il primo pensiero di enti e associazioni del luogo, a dimostrazione che i contesti, divenuti scenografie naturali di molti, appartengono anche alla cultura di chi li vive quotidianamente, di chi li conosce, che sa trasmetterli nei propri scritti. Nessuno si è mai posto il problema di uno scambio interculturale? Chi villeggia in un luogo dovrebbe essere attratto da ciò che lo stesso è in grado di offrire, il resto proveniente dall’esterno dovrebbe essere un completamento, un arricchimento ulteriore, non la prevalenza assoluta. Un po’ come andare a Milano e trovare in tutti i ristoranti la pasta con le sarde anziché il risotto alla milanese. Per cui, se da un punto di vista culinario ci prodighiamo nell’offrire i prodotti e la cucina locali per promuovere il territorio, perché a livello culturale non facciamo altrettanto? Mantenere una prevalenza della nostra identità e confrontarla con le altre sarebbe la giusta strategia, opposta a quella del “mordi e fuggi”.

1 commento

  1. Brava Antonella, concordo punto per punto…

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