E allora ti vedo. Muovi i passi come si muove la pioggia: decisa e incerta. Scivoli. Ti rialzi. Ridi. E in quel ridere – conservi. Conservi tutto. Anche quello che non sai. Anche quello che hai perso, o ti sembra di aver perso.

Ho visto cieli volare contro aerei. Una volta, forse più. Forse era solo un pensiero. Ma ho capito che il cielo non combatte, conserva. Tiene dentro tutto, senza giudicare il peso. E tu fai lo stesso. Nel tuo passo c’è ogni età che sei stata: la neonata al primo respiro, l’adolescente che si annoda i sogni come braccialetti colorati. Ti guardo, e vedo una grazia che spacca le pietre. Ti ho seguito nei giorni lenti, quelli che chiamano noiosi. Ah, che parola stupida. La noia è il nido degli dei. E’ lì che hai pensato. E’ lì che sei cresciuta. È lì che forse hai deciso chi non saresti stata. E io, io ho imparato a conservarti nelle pieghe. Nelle virgole. Nei respiri tra una scelta e l’altra. Ti ho scritto in un diario che non ho mai aperto se non per continuare a scriverti. Ti ho amato, ti amo come si ama una stagione che non torna mai uguale, ma sempre più bella.

Il passato che verrà sarà diverso da quello che è stato. Non per colpa, ma per costruzione. Ogni ricordo cambia, si contorce, si sistema. Eppure…conserva. Conserva l’odore di certi momenti, il suono di un ascensore che saliva lento, il gusto di una mattina che non avevi chiesto e che ti ha salvato. Ti parlo, adesso, come si parla a chi non ascolta ma sente. Con una voce che sa di legna bagnata e di carta scritta male. Scegli. Scegli tutto. Anche l’errore. Anche la curva sbagliata. Non esistono direzioni certe, solo traiettorie da cui imparare a cadere con eleganza. Hai vissuto momenti in cui non sapevi cosa fare. E hai fatto comunque. E ti sei trovata. Non perché era giusto. Ma perché era tuo. Quel momento – conservalo. Mettilo in tasca. Piccolo. Come una caramella. Per i giorni in cui dimenticherai di saperti.

La felicità non corre, si ferma. Sta ferma come una fotografia sfuocata ma perfetta. E tu ci entri dentro. E sorridi. E ti viene da dire grazie. Anche se non c’è nessuno. Anche se c’è troppo. Con gratitudine, una parola che sa di pane caldo. Che non grida. Che non balla. Ma resta. Conserva. E’ la prova che sei stata presente. Che hai scelto. Che hai tenuto il cuore aperto, anche quando faceva freddo.

Sai, a volte ho vissuto come una bicicletta rotta sotto la pioggia che ancora sogna la discesa. Ho visto troppo per volerne ancora. Ma ho amato il percorso. Ho danzato con i semafori, litigato con le finestre chiuse, baciato sconosciuti tramonti. Non ho collezionato trofei. Solo respiri. E ho capito che questo mi basta. Che posso fidarmi. Di me. Di te. Di quello che ho scelto. Di come ho camminato. Ed è questo il punto. Che tutto è bellissimo. Anche quello che fa male. Anche la nostalgia. Perché è lì che capisci di aver vissuto qualcosa degno di essere conservato.

E allora vai. Vai pure. Ma ogni tanto fermati. Riguardati come una vecchia fotografia, come un libro che non ricordi ma che ti fa piangere. E sorridi. Perché tutto questo, anche quando non sembrava niente, era vita. E tu la stai vivendo come si deve.

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