6 aprile 2024.

Un sabato come tanti.

Unica differenza, il prelievo presso un laboratorio analisi, dopo cinque anni che non facevo controlli.

Poi, ritornata a casa, solite faccende domestiche, preparazione del pranzo.

Tutto scorre lento.

Alle 12,30 una telefonata, un numero che non conosco.

Una voce maschile all’altro capo mi chiede: “La Signora Leggio? – Si, sono io. – Signora è il laboratorio analisi. I valori dei suoi esami sono tutti fuori norma, soprattutto la creatinina. Deve correre immediatamente ai ripari.”

Panico, apro la mail con allegate le analisi, vedo asterischi rossi dappertutto, scorro cercando creatinina: 6,72 . Guardo il Range, da 0,50 a massimo 0,90.

Che vuol dire? Che faccio? È sabato, la mia curante non c’è.

Chiamo mia cugina Marta, responsabile di un laboratorio analisi a Catania, le spiego la situazione e le giro le analisi.

Mi richiama subito e mi dice:” Guarda, non voglio farti preoccupare, però è meglio che tu vada al pronto soccorso perché questi valori devono rientrare”

È calma, quasi rassicurante. Ho saputo dopo che, appena staccato, ha chiamato i miei fratelli dicendogli di portarmi immediatamente in ospedale perché ero già in acidosi.

Mi accompagnano e rimaniamo ore in fila. Finalmente mi chiamano, iniziano a farmi prelievi, visite, esami, tac, ecografia.

Ritorno in sala d’attesa. In tarda serata, di nuovo il mio nome.

Mi alzo e vedo venirmi incontro un infermiere e una bella donna che capisco essere un medico. Ho saputo mesi dopo che era la dottoressa Musumeci.

Mi guarda e, rivolgendosi all’infermiere, dice:” Ma la signora sta ancora in piedi?”

Mi allarmo, penso, che succede? Perché dice così?

“Venga, signora. Dobbiamo parlare”

Entriamo in una saletta, ci sediamo.

Mi guarda con aria gentile “Signora, la situazione è molto grave. Lei è a un passo dalla dialisi”

È una sensazione terribile quella che mi assale. Mi sento crollare il mondo addosso. Tremo come una foglia. Non piango solo per ritegno. Sono letteralmente terrorizzata.

Mi chiede se ho dolori, nausea altri sintomi. Continuo a rispondere no, sto bene.

Chiama il reparto nefrologia di Modica e chiede un ricovero urgente.

Mi trattengono tutta la notte, una flebo appesa. La mattina passa uno dei medici per la dimissione. Gli chiedo “Dottore ma i miei reni sono compromessi? – Si, entrambi, mi dispiace”

Il lunedì rientro al lavoro, cerco di non pensarci, inizio a preparare quello che devo portare in ospedale. Il mercoledì mi chiamano. Venerdì devo ricoverarmi.

Scendiamo insieme a mio fratello, raggiungiamo il reparto nefrologia e attendiamo.

Dopo un po’ esce un infermiere e mi dice che è tutto pronto. Mi accoglie una dottoressa, Alessandrello che, molto professionale, mi chiede mille notizie a cui cerco di rispondere in modo puntuale ma sono in preda all’ansia.

Mi accompagnano in camera, mi dicono di mettermi in pigiama e fanno andare via mio fratello. Iniziano a farmi elettrocardiogramma, misurazione pressione, peso, prelievo.

Rimango sola. Mi sdraio. Mille pensieri mi affollano la mente:” Che mi succede? Perché proprio a me?” E su tutte due domande:” È colpa mia? Se mi fossi controllata periodicamente, avrei potuto fare qualcosa?

Passano tre giorni, tra analisi, terapie.

Al telefono e agli amici stretti che mi vengono a trovare mi mostro serena, perfino allegra. Ma dentro di me ho uno tsunami in corso.

Il lunedì, la Dottoressa Lipari, mi dice che mi dimettono in giornata, che purtroppo la creatinina, nonostante le cure, non si abbassa. che i miei reni sono rinsecchiti

E poi la sentenza definitiva” L’unica scelta che lei ha è la dialisi”

 Le chiedo disperata come posso fare, io lavoro, come posso assentarmi?

Mi spiega che ho due opzioni: l’emodialisi da fare un giorno sì e uno no, oppure la dialisi peritoneale che si può fare anche a casa.

Ci rifletto e dapprima opto per questa seconda soluzione. Ma arrivata a Ragusa, molti sconsigliano questa procedura, è pericolosa, può facilmente causare peritonite.

Ritorno sulle mie decisioni e scelgo l’emodialisi.

Mi ricoverano per farmi la fistola da dove ci si collega all’emodialisi ma, nel momento in cui mi fanno l’ecografia alle braccia, le mie vene risultano essere troppo sottili e non idonee a quel trattamento, viene anche il primario, Dottor Morale che mi dice che devo optare per la peritoneale.

Lo supplico di tentare con un catetere al collo, gli dico che ho paura, che non so se riesco a gestire da sola tutto.

Mi dice con una voce e uno sguardo comprensivo: ” Signora, non ha altre possibilità. Deve fare la peritoneale, non è una questione di scelta. Ma non si preoccupi: non la lasceremo sola!”

E così è stato. Ho affrontato un piccolo intervento per posizionare il catetere di Tenkhoff nel mio addome e sono tornata a casa con una cicatrice, un buco in pancia e questo compagno di vita, piccolo e discreto a ricordarmi, se ce ne fosse bisogno, la mia nuova condizione.

Ho iniziato un mese dopo la terapia di dialisi peritoneale.

È venuto uno specialist da Palermo, Nino Barbera, che ringrazio per la pazienza e la puntigliosità con cui mi ha spiegato cosa fare.

Sono stata affidata a una giovane nefrologa, la Dottoressa Fortunata Zirino.

Ed è iniziato il periodo che io definisco di arresti domiciliari.

Ogni 4 ore dovevo essere in casa per effettuare la seduta. Ho dovuto fare mille altri ricoveri. Ho scoperto di essere allergica a quasi tutti gli antibiotici. Ho avuto cali di pressione impressionanti, dicono normali nei nefropatici, insieme a quella che si definisce anemia secondaria Sono stati mesi d’inferno.

Ero talmente scoraggiata che ho detto alla dottoressa” Sa? Ho l’impressione che il mio corpo mi stia abbandonando. Non ce la fa più, non sopporta più nulla” e lei di rimando “No, signora. Si sbaglia. Il suo corpo si sta risvegliando!”

E aveva ragione.

Da quell’ultimo ricovero a settembre ho iniziato a risalire la china.

Ho cominciato a stare meglio, a recuperare le forze e la voglia di vivere. Ho ripreso a curare i miei interessi, i rapporti con i miei amici.

Certo è vero che la mia vita è stata stravolta.

Sto pagando un prezzo alto in termini di libertà.

Ho dovuto eliminare ogni fonte di polvere, quindi via tende, tappeti, libri, molti soprammobili. Non posso più caricare pesi. Devo stare attenta a molte cose.

Quelli che erano gesti usuali sono divenuti complicati. Anche fare una semplice doccia è un’odissea.

Per fortuna a dicembre mi hanno consegnato una macchina che consente di effettuare la dialisi di notte. Una meraviglia della tecnologia, collegata a una piattaforma in Belgio, per cui ogni mia seduta dialitica viene monitorata.

Da allora la qualità di vita è nettamente migliorata. Sono libera tutto il giorno e la sera devo solo collegarmi e la macchina fa tutto da sola. Con il suo rumore di sottofondo, leggero, come uno sciabordio di onde, Claria accompagna le mie notti.

Inizierò a breve il percorso per il trapianto, sperando che vada bene.

Vi chiederete perché vi racconto di questa mia condizione molto intima e personale.

È perché voglio che, attraverso queste righe passi un messaggio: conservate la vostra salute, perché solo nel momento in cui la si perde ci si rende conto di quanto sia importante.

Fate prevenzione, controllate spesso che sia tutto a posto.

Non ignorate i segnali che il corpo ci manda.

Io ho sbagliato: ero lenta, sonnolenta, senza appetito, dimagrivo in modo impressionante (sono passata da 65 a 47 kg), ma pensavo che fosse solo un periodo di noia, di cattivo umore. No. Il mio corpo continuava a manifestare in modo chiaro che non funzionava bene. Ero io che non ascoltavo!

Quindi non abbiate timore di chiedere spiegazioni ai medici, non procrastinate con le mille scuse che tutti ci creiamo: la mancanza di tempo, il lavoro, prima o poi vado.

Agite tempestivamente, amatevi!

In tutto ciò devo ringraziare Dio che, da credente, penso mi abbia aiutato dandomi la forza di reagire, di rimboccarmi le maniche, e mi abbia concesso soprattutto la pazienza. E la consapevolezza che, tutto sommato, sono fortunata ad avere una patologia, pesante è vero, ma governabile.

Devo e voglio ringraziare i miei fratelli, le mie cognate, i miei nipoti.

Sono cosciente di aver caricato sulle loro spalle un peso non indifferente.

I miei genitori che da lassù, sono certa, mi proteggono.

I miei parenti. Le mie cugine, Rosanna, Marta, Maria Grazia, che mi supportano quotidianamente con la loro presenza.

Le mie sorelle del cuore, Gina e Sara e il mio amico carissimo Antonio La Monica.

Sono stati sempre vicini, dandomi coraggio e per loro ho trovato la capacità di tirar fuori un sorriso anche quando mi sentivo morire.

I miei ex datori di lavoro, Diletta, Sara, Carmelo che hanno coperto le mie assenze invitandomi a curarmi serenamente perché mi avrebbero aspettato.

 Ringrazio tutti i miei amici che mi sono stati accanto anche solo con una parola.

E ringrazio anche quelli che sono spariti appena hanno saputo. Non gliene voglio. Capisco che la malattia può incutere timore.

Ringrazio il reparto nefrologia di Modica, il Primario Dottor Morale, tutto lo staff medico, i dottori Alessandrello, Sessa, Lipari, Tigano, Ficarra, Messina, Galeano, l’infermiere Angelo Medica, il Signor Rizza, gli infermieri tutti, il personale Oss e Osa, (chiedo venia se ho dimenticato qualcuno), perché mi hanno restituito alla vita!

Ultima ma non ultima la dottoressa Fortunata Zirino, mio faro nel buio!

Sono affidata a Lei che mi segue amorevolmente e con grande bravura e professionalità.

 Che risponde alle mie domande, molte volte sciocche, che mi incoraggia quando non tutto va come si deve, che sorride insieme a me quando invece procede bene.

Perché noi ammalati cronici, e sì ormai è questo che sono, siamo fragili.

Abbiamo bisogno di rassicurazioni, di sentirci in mani sicure.

La ringrazio dal profondo del cuore per esserci sempre!

Grazie a tutti voi, vi sarò eternamente grata.

Io non dimentico!

P.S. qualche giorno dopo aver scritto quest’articolo, ho fatto il consueto controllo mensile in ospedale.

Mentre attendevo l’ascensore per andare via, un uomo alle mie spalle ha fatto una battuta sulla velocità dell’ascensore. Ho risposto ridendo che sì, è troppo veloce.

Siamo saliti e mi chiede se faccio dialisi. Rispondo di sì, la peritoneale.

Mi dice che la nefrologa gli ha detto di scegliere: deve fare emodialisi o dialisi peritoneale.

Mi dice “Ho paura”

Cerco di rassicuralo e mi chiede se può farmi delle domande. Mi espone i suoi dubbi, le sue paure.

È ancora giovane, 49 anni, un ragazzone di un metro e novanta.

Ci raccontiamo a vicenda le nostre vicissitudini.

A tratti ha le lacrime agli occhi.

Devo dire che mi ha profondamente commosso. Mi è sembrato di rivedere me stessa, un anno fa. Terrorizzata da quel che mi aspettava.

Sono stata molto onesta: gli ho detto che i primi mesi sono duri, poi ci si abitua e nel momento in cui si inizia la notturna automatizzata la vita cambia in meglio.

Mi ha salutato con un abbraccio, ringraziandomi per le mie parole che gli hanno dato coraggio. E ci siamo dati appuntamento ai prossimi controlli.

Dai Francesco! Vedrai che anche tu tornerai a riappropriarti della tua vita. Ti auguro di avere tanta forza e pazienza perché c’è sempre una via d’uscita.

Buona fortuna!

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