
Si può essere felice nella città più bella del mondo?
Il mese scorso è uscito finalmente in Messico il film Parthenope di Paolo Sorrentino. Prima di immergermi nelle sue acque, vorrei parlare brevemente del mito della sirena: era figlia del fiume Acheloo e di una musa, una sirena metà donna e metà uccello, e possedeva un canto capace di incantare i marinai, conducendoli al naufragio.
Omero racconta come Ulisse si legò all’albero della sua nave per ascoltare il canto delle sirene senza cedere alla loro attrazione. Quando non riuscirono a sedurlo, le sirene, disperate, si gettarono in mare e morirono. Il corpo senza vita di Parthenope fu trascinato dalle onde fino alla costa di quella che oggi è Napoli, e gli abitanti, commossi, le diedero sepoltura e fondarono una città in suo onore.
Parthenope incarna la bellezza come forza misteriosa e tragica, a metà tra l’umano e il divino. Sorrentino la trasforma in una sirena moderna: contemplativa, silenziosa, abbagliante. Con uno stile poetico e barocco, influenzato da Fellini e Pasolini, rende omaggio a una città e riflette sul desiderio, sul tempo e sulla femminilità, tra critica sociale ed estetica quasi mitologica.
Facendo coesistere il sacro e il grottesco nello stesso spazio, ci fa capire che la protagonista non è semplicemente l’attrice considerata la nuova musa del cinema italiano, ma la sirena mitologica, la città di “Neapolis”, Napule per i napoletani, Napoli per il mondo. Purtroppo, per chi non conosce profondamente la città, Parthenope è sembrata solo un oggetto sessuale a causa della sua bellezza fisica (la bellezza contemplativa è soggettiva). Ma dopo aver camminato per quella città due volte, aver letto e ascoltato tanto su di essa, ho capito che i personaggi che circondano la protagonista sono semplicemente un altro volto della città.
Parthenope incarna una bellezza enigmatica e distante, come Napoli: caotica, poetica, sensuale e contraddittoria. Entrambe affascinano in superficie, ma nascondono una profondità ignorata. Sorrentino mescola il sacro con l’erotico, il religioso con il sensuale. A Napoli, questo non è una provocazione cinematografica: è parte della sua essenza. Altarini agli angoli delle strade, statue di santi accanto a graffiti osceni, superstizioni religiose che convivono con rituali urbani. Il film ricrea questa tensione attraverso scene simboliche (come il miracolo di San Gennaro), e Parthenope diventa una sorta di divinità profana, che cammina tra il celeste e il carnale.
Sorrentino non racconta la storia di una donna a Napoli. Racconta la storia di Napoli incarnata in una donna. La bellezza, il mistero e il disagio che suscita Parthenope sono le stesse sensazioni che la sua città natale evoca.
Parthenope è una ferita aperta nel Mediterraneo. Un canto annegato che, non essendo ascoltato, si fa corpo. Un corpo che arriva, nudo e sconfitto, sulle coste di quella che oggi chiamiamo Napoli. La leggenda dice che fu il mare a portare i suoi resti fino alla riva. Ma forse fu la città a sognarla, a desiderare una dea caduta per spiegare una bellezza tanto assurda quanto tragica.
Come la sirena mitica, è contemplata, desiderata, temuta. Gli uomini si dissolvono davanti a lei, i silenzi si caricano di senso, e la macchina da presa – come un moderno Ulisse – si lega alla sua figura senza riuscire a distogliere lo sguardo. Non è un personaggio che si sviluppa, ma una presenza che si dispiega. Come Napoli stessa, quella che conosciamo la prima volta, e se sei abbastanza coraggioso, torni per morire d’amore tra le sue braccia.
La domanda non è: “Come raccontare una sirena?” La vera domanda è: “Come adorarla e allo stesso tempo essere incapace di ascoltarla?” È difficile. Perché, come il film, anche la città somiglia più a un’elegia che a un racconto. Un canto d’amore e di morte che nessuno riesce a decifrare del tutto.
Alla fine, Parthenope è questa Napoli:
La sirena agonizzante di Ulisse.
La Madre Benedetta.
Napoli di San Gennaro e Maradona.
Napoli Vesuvio.
Napoli di Saviano, Ferrante e Sorrentino.
Napoli Pulcinella.
Napoli dei Quartieri, Chiaia, Sanità, Forcella e Vomero.
Napoli e la notte.
Napoli sfogliatella calda.
Napoli Piazza Bellini, Plebiscito, Garibaldi e Dante.
Napoli dei bambini con i sogni.
Napoli dei bambini perduti.
Napoli della brava gente.
Napoli dell’altra gente.
Napoli di sangue.
Napoli pistola ardente.
Napoli cuore ardente.
Napoli del grido.
Napoli del bacio.
Napoli della lingua.
Napoli del sesso.
Napoli erotica.
Selvaggia.
Triste.
Napoli speranza.
Napoli celeste.
Napoli di fuoco.
Napoli dell’ultima poesia.
Napoli, lo strappo della carne.
Napoli cicatrice.
Napoli, dell’amore.
Napoli, mio amore.
Napule e sulo ammore.
Riesco a capire il tuo amore per Napoli…
Brava, vorrrei proviarci pure io…
Tra le tue parole, sfuggono le note di quel canto che attrasse Ulisse… Parthenope, o “voce di vergine”