
Era l’agosto del 2008, mi trovavo a Pescasseroli, all’interno del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, avevo osservato curioso e affascinato gli orsi bruni marsicani tenuti in cattività in diverse aree protette della zona (Villavallelonga, Castel di Sangro, Pescasseroli stessa). La mia era una simpatia nata nell’infanzia (i peluche, Teddy, l’orso Balù; tutte influenze che possono essere fuorvianti nell’interpretazione della realtà) e con l’età adulta si era trasformata in attrazione prudente e consapevole dei rischi; e del rispetto di cui l’uomo deve nutrirsi per potersi approcciare correttamente al mondo degli animali, specialmente se così imponenti. In quest’ottica è utile una distinzione tra la situazione abruzzese e quella trentina. L’orso bruno marsicano che abita il Parco Nazionale degli Abruzzi è per l’80% vegetariano e causa problemi prevalentemente ad apicoltori e allevatori (che hanno diritto a successivi rimborsi), raramente si avventura nei centri abitati (anche se qualche volta è accaduto, specialmente durante e dopo la pandemia Covid 19). È una specie a rischio di estinzione e costantemente seguita negli spostamenti dai Guardiaparco; la realtà trentina, invece, è purtroppo ben più drammatica ed ha portato alla morte del povero escursionista Andrea Papi nel 2023. Dopo questo drammatico episodio oggi si parla di abbattimenti e trasferimenti degli orsi in aree con recinzioni elettrificate, ma tutta la gestione (dall’arrivo nel 1999 degli orsi sloveni in Trentino all’ inadeguata formazione della cittadinanza) ha fatto degenerare la situazione ed oggi il dibattito, in tutta l’area, è comprensibilmente accesissimo. Probabilmente, come tutti i temi complessi, c’è bisogno di soluzioni altrettanto complesse e articolate e di serio impegno da parte di tutti.
Ma torniamo alla mia esperienza, vissuta con l’eccitazione del principiante unita all’ umile ascolto delle guide che coi loro consigli ci hanno consentito di avere un approccio corretto e non invasivo.
Ricordo l’entusiasmo del gruppo, equipaggiato in modo razionale e leggero. L’incontro con l’orso era una speranza, non una certezza; infatti è tendenzialmente schivo e percorre distanze notevoli durante la giornata. Per cui l’associazione non poteva garantirlo; piuttosto ci invitava a godere dell’atmosfera di ricerca e di percorrenza di quei luoghi magnifici senza ossessioni e morbosa curiosità. Partimmo da Pescasseroli con le auto 4X4 per raggiungere il punto di partenza. Proseguimmo a piedi camminando per circa 7/10km e raggiungendo un dislivello di circa 400 metri. Ci posizionammo sulla cresta di un colle muniti di teleobiettivo. Trascorsero ore di silenzio assoluto, aria pura, cinguettii, fruscii del vento sulle foglie degli alberi. Dovevamo stare fermi il più possibile. La sensazione non era spiacevole, anzi si rivelava come una speciale porta di ingresso per giungere dentro noi stessi. Ad un certo punto lo vedemmo arrivare. Passo lento ma sicuro dell’obiettivo: un ghiotto arbusto di frutti di bosco. Si sedette beato e iniziò a mangiare. Avvertimmo un groppo in gola, non di tensione; e neanche di paura poiché eravamo sufficientemente distanti e osservavamo dall’alto. Era solo pura emozione. Ignaro di essere l’attore protagonista di uno splendido spettacolo, l’orso si eresse tranquillo e flemmaticamente andò via. Percorremmo grati la strada del ritorno, a tarda sera, nel buio fitto dei boschi d’Abruzzo, muniti di caschetti luminosi, giungendo in città felici di un’esperienza magica e giusta.