
- “Lo giurate voi???”
- “Lo ciulo!” – “L’ho duro!” – “Lo sturo!” – “Lo curo!”
Il mio plotone proprio non eccelleva in patriottismo. La “solennità” del momento decisivo che concludeva il periodo di addestramento reclute venne macchiata dalla voglia innata di “irriverenza” in ragazzi che avevano dovuto subire settimane di privazioni, angherie, disagi (la caserma di Trapani, priva di acqua per gran parte del tempo, venne dichiarata inagibile subito dopo il nostro C.A.R. – addestramento reclute). Avevamo marciato coi nostri abiti civili per metà dei giorni previsti distruggendo le nostre povere scarpe nel fango e bevendo la poca acqua in vecchi cartoni tetrapack scaduti da 2 anni. Avevamo affrontato i laghi di urina dei bagni con le nostre pantofole in similpelle. Avevamo subìto le urla di caporal maggiori frustrati e repressi, evidentemente immedesimati nel loro ruolo sulle orme del sergente Hartman di “Full Metal Jacket”. Così, se qualche ragazzo dava fondo alla propria creatività per deviare dal protocollo di giuramento, lo si poteva in fondo biasimare? Provate solo a immaginare cosa volesse dire fare i propri bisogni in bagni alla turca privi di acqua per lo scarico. Utilizzavo due definizioni per riassumere questi momenti: il bagno “a fondo perduto”, nel quale i liquidi precedenti non ristagnavano e questo ti rassicurava non poco durante l’espletamento del bisogno; ed il bagno “con rischio plop”, nel quale i liquami ristagnavano e, in caso di centro del bersaglio, avresti rischiato metà delle infezioni conosciute. Qualcuno scongiurava il pericolo a modo suo, spargendo i propri escrementi un po’ qua e un po’ là. A completare il quadro tragicomico le esercitazioni; in particolare il lancio della bomba a mano. Le scene viste nel film “Fantozzi” si ripetevano dal vivo, con l’unica sostanziale differenza nella portata fortunatamente esigua di carica esplosiva. Ma il panico, la goffaggine, la totale mancanza di coordinazione dei movimenti, il lancio alla ragionier Ugo, riportavano alla mente la famosa pellicola di Luciano Salce.
Novembre 1992/Novembre 1993, un anno di incertezza all’ennesima potenza.
1) La partenza
Cosa mi aspettava? Erano vere le storie sul nonnismo? In buona percentuale sì, lo avrei appurato personalmente. Ma intanto, per “migliorare” il mio stato d’ansia, feci l’unica cosa che avrei dovuto evitare: guardare tutto d’un fiato, la notte prima della partenza, il film di Marco Risi “Soldati – 365 giorni all’alba”, che proprio rincuorante non era.
L’ambiente militare non mi piaceva, sono sempre stato uno spirito libero. Ma trovai in Trapani (caserma a parte) una città piacevole, accogliente, interessante. Le nostre libere uscite non erano male, ci rimpinzavamo con cene luculliane (a compensare le immangiabili bistecche di mammuth fornite dalla mensa durante i pranzi horror) e cercavamo di distrarci in qualche modo. L’elemento alcol incideva sensibilmente, dando luogo a rientri difficili e colloqui improbabili col piantone di turno.
2) La destinazione dopo il C.A.R.
Dove ci avrebbero portato dopo il giuramento? Facevamo parte dell’aviazione leggera dell’esercito e non c’erano moltissime alternative: o Viterbo o Catania. Venni assegnato a Catania, a due passi da casa. Bella notizia, certo. Purtroppo, però, la struttura era piccola e mi toccarono tantissimi servizi, tra guardie e milioni di piatti da lavare. Ma nella caserma c’era l’acqua! E questo rappresentò un salto di qualità non indifferente.
3) Lo svolgimento
Il nostro scaglione faceva parte dell’operazione “Vespri siciliani” che era nata dopo gli attentati di Cosa Nostra a Capaci e via D’Amelio. L’intento di questa iniziativa era dare manforte ai magistrati ed alle forze dell’ordine attraverso un sostegno nel pattugliamento del territorio. L’aspetto positivo di questa situazione era sicuramente il sentirsi in qualche modo utile e partecipe in una fase storica drammatica per la nostra terra; il rovescio della medaglia era la convivenza con fucili, munizioni e divise. C’era tensione e inadeguatezza in ogni singolo movimento del corpo, specialmente durante i primi mesi.
4) La fine
Tutto ha un inizio ed una fine. E così arrivò anche per me l’agognata “alba” del congedo. Un giorno in cui l’incertezza la faceva da padrona. Per un anno la nostra vita era stata cadenzata da ritmi prestabiliti, azioni obbligate, ripetute, inevitabili. Ora che il servizio militare era terminato, che cosa fare della nostra vita? Una domanda che, in tempi normali, mette in crisi chiunque. Ma che, a conclusione di quell’anno così sofferto, mi induceva a rispondere: qualsiasi cosa ma non questo. Passeggiai libero e potente in abiti civili verso l’uscita e mi lasciai dietro adunate, armi, divise, parole d’ordine, scherzi di cattivo gusto, sopraffazioni. Nacque così, dentro di me, il pacifismo. E se incertezza (sul futuro) ci fu, per una volta aveva il sapore più dolce che si potesse immaginare.