
Viviamo in un tempo in cui tutto scorre con la rapidità di un battito d’occhi. La scienza avanza, la tecnologia promette controllo, la comunicazione abbatte ogni distanza. Eppure, dietro l’apparente potenza del progresso, si nasconde una sensazione collettiva di smarrimento: l’incertezza dell’esistenza.
Non è soltanto la paura del futuro a turbare l’uomo contemporaneo, ma la consapevolezza di non poter più contare su verità stabili. Le certezze di un tempo – la fede, il lavoro, la famiglia, l’identità, il risparmio, il tempo stesso – sembrano oggi sabbia che scivola tra le dita. Tutto cambia, tutto si trasforma, e l’individuo si ritrova sospeso tra la nostalgia del passato e l’ansia del futuro.
Eppure, questa condizione di precarietà non costituisce una novità. È un tratto antico, inscritto nella nostra stessa natura.
Ritorna alla mente il mito di Kairós.
Si racconta che, quando il tempo era giovane, due fratelli lo governavano: Kronos, il tempo che scorre diritto e inesorabile, e Kairós, il tempo che muta, l’attimo che trasforma ogni cosa.
Kronos amava l’ordine e la prevedibilità: sotto il suo sguardo tutto aveva un inizio e una fine. Kairós invece danzava tra i giorni, capace di cambiare il destino con un solo battito d’ali.
Un giorno, Kairós decise di donare agli uomini una scintilla del proprio spirito: il dubbio.
Non un veleno, ma una fiamma. Da allora l’uomo cominciò a chiedersi “E se?”.
Scoprì il fuoco, inventò la parola, guardò le stelle cercando risposte che non trovò mai del tutto.
Kronos si adirò: “Hai condannato gli uomini all’inquietudine! Ora non conosceranno mai la pace.”
Ma Kairós sorrise e rispose: “Ho dato loro la libertà. L’incertezza è la soglia tra ciò che sono e ciò che possono diventare.”
E così fu. Da allora, l’uomo vive sospeso tra i due fratelli: il tempo che lo consuma e l’attimo che lo rinnova.
Forse è questo il destino dell’uomo moderno: essere erede di Kairós.
Nel dubbio che tormenta, nell’imprevisto che spezza la routine, nella scelta che apre strade nuove, continua a battere lo spirito del dio dell’incertezza.
Nell’epoca del controllo digitale e delle previsioni algoritmiche, l’imprevedibile resta la nostra ultima forma di libertà.
Accettare di non sapere, di non poter dominare ogni cosa, significa riconciliarsi con la vita stessa, fragile, mutevole, imperfetta, ma straordinariamente umana.
E forse l’incertezza non è una condanna, ma l’unica condizione del possibile.