
Di deliri e dialoghi incerti
“Ma cosa vorresti scrivere nell’articolo per questo mese? Hai già delle idee?”
“Non lo so”.
“Allora sei già sul pezzo!”
A scrivere dell’incertezza è facile ritrovarsi ad inciampare. Ci ho riflettuto molto, anche se forse non ancora abbastanza. Eppure, anche in zona Cesarini, ho provato a scrivere la mia su questo tema tanto sperimentato sulla mia stessa pelle. In fondo, l’incertezza è una condizione con cui noi Millenials, noi trentenni di questi giorni, ci ritroviamo a misurarci costantemente.
Forse farne una questione legata alla nostra epoca è errato, perché probabilmente (avverbio legato strettamente all’incertezza, anche se in percentuale quantomeno ridotta) se avessimo una macchina del tempo per poter andare a chiedere cosa ne pensassero di questo tema ai tempi dei Faraoni, o della Democrazia Ateniese, o del Medioevo, o della Rivoluzione Francese, avremmo risposte quantomeno simili, anche se rapportate ai diversi contesti storico-culturali.
Anche farne una questione generazionale, probabilmente (anche qui), non sarebbe esatto, perché, “con i tempi che corrono”, anche a cinquant’anni si può perdere il lavoro o i riferimenti relazionali o la salute e piombare nel limbo senza posa dell’incertezza.
Allora quello che provo a offrirvi è il mio personalissimo punto di vista da trentenne (o trentatreenne per la precisione) che si è trovata più volte a misurarsi con la propria incertezza e con quella di amici e coetanei. La prosa non sarà joyciana, ma forse il flusso di coscienza sì.
“Chi sono?
Dove sto andando?
Riuscirò a realizzare i miei sogni?
Riuscirò a trovare un lavoro? Riuscirò ad esserne felice?
Sarò capace di bilanciarlo con gli altri aspetti fondamentali della mia vita?
Che fine faranno le amicizie che ho costruito in questi anni?
Resteranno salde o si disperderanno nell’etere sfilacciandosi giorno dopo giorno?
Quanto riuscirò a resistere in bilico sul ciglio di un burrone nel disperato tentativo di non precipitare giù mentre provo a superare l’impasse che ho dentro?
Quanta energia mi servirà per abitare questa incertezza?”
E forse il punto sta proprio sulle ultime tre parole che avete appena letto.
Abitare questa incertezza.
Starci.
Anche quando l’ago della bussola con cui dovremmo riconoscere le direzioni da prendere sembra essere totalmente impazzito. Anche quando la bussola ci è direttamente caduta di tasca senza che ce ne accorgessimo, magari da un buco che non ci siamo curati di rammendare a dovere.
Starci.
Proseguire da lì, ad ogni bivio, senza la certezza di raggiungere la meta immaginata, ma con la speranza di godersi il percorso, anche accidentato, tra salite e discese ripide, che la vita ci offre.
Un’amica mi ha detto che per lei l’incertezza è «sapere che la vita è diversa da quella che volevi. In termini di lavoro, di relazioni ma anche in generale».
Le ho risposto che per me l’incertezza è anche sapere che in potenza la vita può essere tutto.
Può. Ed è qui che cambia la visuale. Perché la vita ha la potenzialità di diventare qualsiasi cosa, se è incerta, se non è scolpita e fissata nel marmo. Scorre, fluisce, muta.
È vero, la vita può essere diversa da come la sognavi, ma questa differenza può essere sorprendente, sia in meglio che in peggio.
L’incertezza è stare in bilico, sul filo del rasoio, senza sapere se cadrai o riuscirai a farcela.
Ma la sfida, lo ripeto, è starci. Abitare l’incertezza, con le unghie e con i denti, senza farsi però paralizzare. Perché c’è sempre un Oltre da raggiungere, superati gli ostacoli, sia quelli evidenti e intuibili che quelli celati e imprevedibili.
Quest’anno per me è stato un po’ come un grande salto nel vuoto. Di quelli che, a forza di prendere una lunga rincorsa, hai dimenticato anche verso cosa stessi prendendo lo slancio.
E ora che quest’anno è quasi alle sue battute finali, continuo a saltare, con la consapevolezza che il punto d’atterraggio, in attesa di un nuovo slancio, «forse non sarà come credevi, perché sarà anche meglio di ciò che speravi», come cantava Tiziano Ferro (quando ancora facevo le medie!).
È vero, la possibilità di schiantarmi non è esclusa del tutto, ma sta qua il bello, perché questo implica che in potenza potrei raggiungere passo dopo passo, salto dopo salto, una vetta che mi farà esclamare, tra la fatica e la sorpresa: «Ma tutta questa strada l’ho fatta io? Non ci credo! Non pensavo di avere così tanto fiato!»
Un’altra amica mi ha detto: «Il punto è che anche il certo è problematico quando è l’àncora. Una cosa è la sicurezza e una cosa è la certezza».
È filosofa lei, e non ha tutti i torti… ma a me, che gioco sempre con le parole, leggendo l’àncora è venuto in mente l’avverbio ancóra. Così anche persistere nell’incertezza del raggiungere la vetta è possibile se si hanno dei minimi punti saldi su cui fare presa o di cui fare appoggio. Che siano questi delle persone, dei valori, delle convinzioni. Purché non siano queste a trasformarsi da ancore in zavorre che ci impediscano di proseguire la navigazione.
E siccome le metafore mi piacciono e nel paragrafo prima continuavo a procedere incertamente tra la montagna e il mare, come fossero mete estive da vagliare, ve ne propongo altre ancora.
L’incertezza è un foglio bianco.
O ti atterrisce e ti blocca come un muro da cui non trovi via d’uscita – come la pagina vuota di questo file che da buona procrastinatrice ho rimandato più e più volte di iniziare – oppure diventa la tela per dipingerci sopra parole, forme, colori e suoni, con l’uso delle tecniche più varie ed audaci.
L’incertezza è calcare un palcoscenico in teatro senza copione, recitando a soggetto.
Puoi solo improvvisare, ma non parti mai da zero. Hai con te il bagaglio di conoscenze e sbagli che hai maturato nel tempo, con le parole e i passi che hai macinato negli anni.
E se si rivelerà un fiasco pazzesco o un capolavoro irreplicabile lo saprai soltanto sul finale, tra gli scrosci degli applausi o i fischi dissonanti. Ma tu, intanto, giocati ogni emozione possibile, perché questo tempo sulla scena è tuo, ed è sacro!
Attento però. Sul palco non sei solo, anche se è quello che ti farebbe credere questo tempo incerto, fatto di produzioni che spesso puntano al risparmio finanziando solo one man show che portano in scena monologhi altisonanti.
Allora l’incertezza diventa saper stare sullo scoglio del Viandante sul mare di nebbia di Friedrich, ma insieme agli altri incerti come noi. Forse si starà un po’ più stretti, ma a guardare l’infinito in compagnia ci si potrebbe sentire meno soli.
L’incertezza è non conoscere il risultato dell’equazione del mondo che non prevede solo noi stessi, ma dipende anche da chiunque abbiamo la fortuna di incontrare o la sfortuna di trovare sul nostro percorso. Potrebbe nascerne un’opera d’arte o allo stesso tempo un disastro totale.
Per me, finché continui a scommettere ogni tua energia per provare ad andare avanti, va sempre bene, a prescindere dal risultato concreto.
Un po’ come diceva Blaise Pascal in merito alla scommessa sull’esistenza di Dio (anche se qui la mia amica filosofa potrebbe correggere i miei lontani ricordi da liceale). Per Pascal la decisione più saggia è scommettere che Dio esista, in quanto «se vincete, guadagnate tutto; se perdete, non perdete nulla».
Ecco che l’incertezza per me non può che condurre con sé la speranza.
Sono strettamente connesse.
Viviamo, soprattutto noi trentenni, ma non solo (come dicevo in apertura), in un limbo ostico che oscilla tra i “già” e i “non ancora”.
Già cresciuti, ma spesso non ancora maturi.
Già adulti, ma spesso non ancora indipendenti.
Già preparati, ma spesso non ancora degni della fiducia di chi è più grande di noi.
Eppure se disperiamo, se sottraiamo all’equazione già complicata della vita la variabile fondamentale della speranza, è come se avessimo la certezza, nell’incertezza (sta qui il paradosso), che tutto andrà male, che non può che essere un totale disastro, senza appello alcuno.
Invece se speriamo magari non proprio tutto andrà bene ma forse almeno qualcosina sì.
In quest’ottica, personalmente, voglio vedere che nell’incertezza c’è un mondo che non è necessariamente e incontrovertibilmente condannato alla perdizione, ma uno che potrebbe avere qualche chance di salvezza.
E questa cosa, forse buonista, forse da folle, è quello che mi fa ripartire ogni volta che penso che sarebbe tutto quanto da distruggere. (Ma sul concetto di Distruzione, ho già espresso la mia personale variazione sul tema nel numero di settembre. Se vi va, andate a dare un’occhiata lì.)
Allora, in conclusione, viva l’incertezza!
Perché anche se so quanto sia tremenda l’attesa (ad esempio, dei risultati di un concorso – sì, altro tema caro ai trentenni che cercano un briciolo di certezza nella vita, aggrappandosi al mito del posto fisso – per cui magari si sa solo di essere idonei ma non necessariamente vincitori), ben venga questa attesa incerta ma speranzosa che ti rende, almeno per un po’, più vicino alla realizzazione di un sogno.
Viva l’incertezza, che dietro ai “non lo so” non nasconde necessariamente buchi neri (che magari ugualmente non mancano) ma anche orizzonti nuovi ancora tutti da esplorare.
“Ma ci si capirà qualcosa di questo delirante pezzo, fatto di frammenti di dialoghi e metafore sconnesse?”
“Non lo so. Nell’incertezza, lo spero!”
Così, sempre nell’incertezza, spero anche di leggere un vostro commento in merito.