
Nell’ormai lontano agosto 1990, insieme ai miei cugini decidemmo di partire per la Grecia.
Meta che ci affascinava per la storia millenaria e il fascino di Dei ed Eroi che la avvolgeva.
La prima immagine che ho del paese è l’arrivo al gate dell’aeroporto Athens di Glyfada.
Una marea di burka neri era nella sala.
Non capimmo perché, forse viaggiatori diretti a mete Mediorientali.
Alla hostess di terra riuscimmo a far capire, nel nostro inglese approssimativo, che dovevamo recarci in albergo ad Atene.
Un taxi ci depositò davanti l’hotel.
Bello, quattro stelle, un hall imponente.
Camere ariose con una bella vista sulla piscina.
Tutto perfetto.
La cosa inusuale era, però, che le rifinizioni erano rimaste in stile anni 60.
Rubinetti a farfalla, arredi un pò demodè.
E questa impressione rimase per tutta la durata del viaggio. L’impressione di un paese fermo ,appunto, agli anni 60.
Sia i negozi nella caotica Plaka, sia i ristoranti erano così.
Però vuoi mettere l’emozione di cenare e alzando gli occhi vedere il Partenone illuminato che si staglia sopra di te?
Anche i prezzi erano bassi. Tanto.
Una delle poche volte in cui mi sono sentita “ricca”.
Se lasciavamo una mancia di 500 Lire, la volta dopo ci riserbavano un’accoglienza calorosa, tavolo riservato, servizio pronto e gentile.
Con una spesa massima di 7.000 lire, ci concedevamo deliziose cene a base di pesce, innaffiate da Retsina, l’ottimo vino locale.
Immancabili la taramosalata, le olive nere piccole e affusolate, la moussakà, i dolmades, lo tzatzichi.
E il gyros, assaggiato per la prima volta in un piccolo ristorante con tavolini all’aperto, tutto arredato nel tipico bianco e blu.
Su tutto, però, la bellezza di quello che ci circondava.
L’Acropoli con il Partenonei Propilei, il tempio di Atena Nike, l’Eretteo, le Cariatidi.
L’Agorà dove un tempo Socrate, Platone, Aristotele passeggiavano discutendo coi loro discepoli.
Piazza Syntagma e il pittoresco cambio della guardia:gli Evzones in uniforme tradizionale,marciano con mosse in cadenza,alzando a tratti la gamba e riportandola giù sbattendo con forza a terra gli zoccoli che producono un suono secco.
Il quartiere di Monastiraki. E la Plaka, che con i suoi negozi mi faceva pensare a un suk.
I commercianti ci accoglievano,non appena capivano che eravamo italiani, con la stessa frase ” Una faccia, una razza” a significare le affinità tra greci e italiani.
Qualcuno, meno gentile, ironizzava ” Italiani. Mafia”
Andammo a visitare Arachova e Delfi.
Salire sul Monte Parnaso era come passare su un pezzo di storia.
Un museo bellissimo con tanti reperti storici.
Un ricordo che mi è rimasto è che, al momento del pranzo ci eravamo rifiutati di seguire gli altri escursionisti nei locali proposti dalle guide, troppo turistici.
Avevamo inveceoptato per fare un giro alla scoperta di qualche bottega.
Ed in effetti trovammo due anziani del posto che gestivano una specie di piccolo emporio fermo nel tempo.
Quando riuscirono a capire che avevamo fame, ci offrirono el pane e della mortadella.
Uno dei pranzi più buoni che io ricordi per atmosfera e semplicità.
Non ci fecero neppure pagare granchè, lasciammo una mancia per restituire almeno in
parte la cordialità con la quale ci avevano accolto.
Passammo poi, sull’Istmo di Corinto.
Dava un senso di vertigine, guardare quella striscia profonda che sprofonda nel blu del mare.
Dopo una settimana prendemmo il traghetto per Paros, una delle isole più grandi delle Cicladi.
Potemmo ammirare il tramonto su Capo Sounion.
Quando arrivammo sull’isola, dovemmo prendere un taxi per arrivare in albergo, poiché per un “malinteso” con l’agenzia viaggi (poi sfociato in una causa legale, ma questa è un’altra storia), non si trovava in centro come avevamo chiesto, bensì, ci rendemmo presto conto, in una zona sperduta di Paros.
Dal finestrino vedevamo scorrere campagne con pecore.
Il tassista non spiccicava parola.
L’autoradio ad alto volume, trasmetteva una canzone di cui riuscivo ad afferrare la parola Hellas ripetuta più volte.
Per un nano secondo ho temuto che il tassista ci portasse chissà dove.
Invece siamo arrivati in una località di campagna vicinissima al mare.
Un piccolo albergo a conduzione familiare.
Dopo un primo attimo di sconcerto perchè ci aspettavamo un hotel a quattro stelle come il primo, abbiamo visto che in fondo non era male.
I proprietari, marito, moglie e due figli, maschio e femmina, erano gentilissimi e accoglienti, anche se non parlavano quasi di niente inglese e men che mai italiano.
Ma riuscivamo a farci capire lo stesso.
Le camere, piccole ma molto carine, si aprivano sull’orto dove ogni mattina la madre raccoglieva le verdure che ci faceva vedere per scegliere quali volevamo a pranzo.
Dopo la colazione, con un’aranciata che sapeva un po’ di biochetasi e un caffè sul quale è meglio stendere un velo, andavamo in cucina e indicavamo il pesce appena pescato che desideravamo cucinassero.
Il pomeriggio, il figlio ci accompagnava con un pulmino piccolino, con davanti un piccolo altarino e l’immancabile canzone Hella, Hellas (evidentemente era la hit del momento), a Naoussa, il villaggio lì vicino molto caratteristico.
C’erano negozi di artigianato tipico particolari e visto che il cambio era molto favorevole comprai una marea di cose per me, la mia famiglia e i miei amici, tipo parente americana che porta regali a tutti.
Assistemmo ai riti ortodossi, con il celebrante che dava le spalle all’assemblea dei fedeli in una chiesa stupenda decorata da mosaici policromi e oro.
La sera cenavamo in un piccolo ristorante sul porto, con i tavolini vicini all’acqua.
Una cucina semplice fatta soprattutto di pesce alla griglia freschissimo. Tante patatine fritte. E dolci al cocco e al miele.
Insomma in quindici giorni ho preso su due chili.
La sera di Ferragosto la passammo a Parikia, la città principale di Paros.
Vedemmo balla il sirtaki da ballerini in costume tipico.
I giorni successivi ci dedicammo alle escursioni.
Preso un piccolo traghetto, ci recammo a Dilos, dove si trova il Santuario di Apollo, con quattro templi, poi la terrazza dei leoni.
Salimmo in cima al monte che la sovrasta e aggrappata ad una roccia per difendermi dal forte vento, ho provato una delle sensazioni più belle : vedere le isole intorno dall’alto circondate dal mare azzurro. Un senso di vertigine meravigliosa!
Poi andammo via perchè , come dice il mito, nessuno deve nascere o morire a Dilos e la sera l’isola rimane deserta.
Per andare a Mikonos, passammo attraverso uno stretto dove il Meltemi agitò talmente le acque, che tememmo per le sorti del nostro piccolo traghetto.
Il vedere che i marinai erano tranquilli e allegri ci rassicurò un poco e così giungemmo al porto dell’isola riconosciuta come meta preferita della comunità LGBT.
Ci accolsero i pellicani che sono un simbolo dell’isola insieme ai mulini a vento, e si aggirano tranquilli per le strade.
Devo dire che Mikonos è l’isola che mi è piaciuta meno, troppo commerciale per i miei gusti, troppo affollata e chiassosa.
Però abbiamo avuto un’idea a tutto tondo della Grecia.
Devo dire che dappertutto siamo stati accolti con simpatia e gentilezza.
E’ sicuramente uno dei paesi dove tornerei volentieri a ripercorrere quelle tappe viste in piena gioventù.
Forse è proprio per questo che ricordo con tanto affetto quella terra.
Perchè è un andare indietro nel tempo, un viaggio a ritroso nei ricordi.
Spero un giorno di poter tornare in quei luoghi e rivederli con gli occhi della maturità.
Per il momento mi accontento di scriverne e raccontare a Voi che leggerete.
Buon viaggio in Hellas!