Crollano le cattedrali, martoriate dai mortai.Crollano le convinzioni, costruite sull’acqua.Crollano le case, fondate sulla sabbia.Distruzione. Comporta sempre un prima, e un dopo.Distruzione. Avviene ogni volta che qualcosa è stato precedentemente creato, alacremente costruito.Osserva un bambino, che negli ultimi giorni di settembre, quando l’aria è ancora calda e la spiaggia accogliente, vuole salutare l’estate con la sua opera d’ingegno: ancora un altro castello di sabbia. Il più bello.Raccoglie paletta e secchiello. Accumula la sabbia, la impasta. Se ne serve, con la perizia acquisita nei mesi precedenti, maturata a tentativi elaborati mischiando acqua e rena in giuste dosi per creare le più varie consistenze.Per primo costruisce il basamento, su cui innalza le torri di vedetta. A protezione installa poi le mura di confine e infine fa un fossato, che tenga i nemici ancora più lontani. Impreziosisce il tutto con conchiglie raccolte sulla battigia e alghe prestate dal mare. I tappi di bottiglia, conferiti dall’inciviltà di qualche altro bagnante, vengono incastonati a creare uno stemma araldico che renda la reggia inconfondibile.E poi succede. Le onde di settembre si rincorrono veloci, si generano dal nulla e vengono a reclamare il conto. Si scaraventano sull’opera architettonica e la ingoiano.Quello che rimane delle fondamenta viene raso al suolo dal giovane costruttore, che cancella con stizza ogni suo sforzo. Si fa demolitore, divoratore del mondo fantastico che aveva prima generato dalla teoria alla pratica.Così accade per ogni parola che premi sulla tastiera.Nasce da una tua idea che si fa flusso, raccoglie le lettere sparse in giro e assume forma, attraverso il battere ritmato delle tue dita sui tasti. Eppure basta un nulla – la sindrome dell’impostore in agguato – perché, con un secco comando, se ne perda ogni traccia.O forse no.Non sempre la distruzione equivale ad una annihilation definitiva, ad un annichilimento senza alcuna speranza di recupero, senza alcuna possibilità di ritorno.A volte la distruzione è solo la premessa necessaria perché si possa generare qualcosa di nuovo.Prendi un gessetto, che sulla lavagna si sbriciola lasciando tracce di quello che è stato.La polvere bianca si impiglia sull’ardesia. E diventa quel che può, quel che vuole, quel che deve.Così in classe si muta in lezione: esempio appassionato del docente, esercizio sudato del discente.E fuori dal ristorante si presenta come menù del giorno: pronto a proporre ai passanti una promessa di gusto, a prezzo fisso.E dentro casa si fa promemoria: liste della spesa per nutrire i corpi, messaggi d’amore per saziare le anime.Prendi una matita, che si distrugge e si consuma per diventare appunto, scarabocchio, immagine, ritratto.E mentre la mina si sfalda, la grafite prende spazio, si adagia sul piano e si trasforma. fa l’amore col foglio e sfregandosi su di esso inevitabilmente lo cambia. Ne distrugge l’immacolata forma e ne muta la sostanza.Dal connubio di due distruzioni, può nascere l’arte.E non so se a te succede, ma in questo viaggio all’esplorazione di ciò che si distrugge per diventare altro, a me viene in mente Banksy, l’anonimo street artist di fama mondiale, ed in particolare la sua celebre opera, Girl with Balloon, che solo distruggendosi diviene quello che, sin dall’inizio, era stata progettata per diventare. Sotto gli occhi increduli dei presenti alla prestigiosa casa d’aste di Sotheby’s, la cornice si rivela un mangiacarte e genera, nella distruzione, Love is in the bin.Così l’opera originale, sospesa in brandelli, potresti interpretarla, già solo dal nuovo titolo attribuitole, come un messaggio di nichilismo sfrenato, di consacrazione della distruzione come presupposto e condanna dell’ordine mondiale. Forse era quello che l’artista voleva trasmetterci.Eppure, probabilmente da inguaribile romantica, dotata di un attaccamento morboso alla speranza, vedo anche lì la nascita di qualcosa. Di un’opera d’arte nuova, certo. Ma anche di un pensiero, di una riflessione, di una discussione, di un desiderio forte di contestazione a logiche e paradigmi da scardinare.Allora ci auguro di cogliere, in ogni distruzione, almeno un barlume di rinascita.

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