L’intelligenza artificiale è diventata oramai parte integrante della nostra realtà sociale. Ne fanno un uso smodato non solo gli studenti, per le attività didattiche, ma anche molti adulti per lo svolgimento delle loro attività professionali o per gli hobbies.  Se il suo uso è senz’altro utilissimo nei campi della scienza, della medicina, della tecnologia, per citarne solo alcuni, non è altrettanto così in altri settori la cui facile accessibilità da parte di chiunque, se male gestita, può produrre effetti davvero deleteri. Primi fra tutti le varie “allucinazioni” che possono caratterizzarne le risposte e creare dei cortocircuiti specialmente nei confronti di chi non ha adeguate conoscenze per arginarle. Pertanto, si corre il rischio di un uso dell’AI distruttivo, soprattutto se a disposizione di giovani e giovanissimi ma anche di adulti incompetenti. A tal proposito è intervenuto il Professor Francesco Pira, Sociologo e Giornalista, Docente di Comunicazione e Giornalismo presso l’Università di Messina, che ha fatto una considerazione molto profonda sull’uso e sull’abuso dell’AI.“Viviamo in una società che è profondamente trasformata dall’iper-connessione digitale, siamo presenti costantemente sui social, abbiamo delle app di messaggistica, delle piattaforme online che ci continuano a promettere reazioni più immediate, relazioni che sono più continue. Però, come diceva il grande sociologo Zygmunt Bauman sul concetto di amore liquido, queste connessioni risultano fragili, effimere, superficiali, incapaci di soddisfare il bisogno umano di profondità, di stabilità emotiva. Le relazioni, in questo contesto, diventano spesso un susseguirsi di rapporti brevi. Sono relazioni mutevoli, caratterizzate dal desiderio di novità. Contemporaneamente, sta avvenendo un rapido sviluppo dell’intelligenza artificiale che sta aprendo nuove prospettive nelle modalità di interazione umana. Le Chatbots, dotate di intelligenza artificiale e generativa, capaci di apprendere, adattarsi e rispondere emotivamente, sono semplici strumenti di comunicazione e assistenza ma stanno diventando interlocutori con cui si costruiscono legami che possono sembrare affettivi, significativi, talvolta profondi, e, a volte, addirittura romantici. Mettono in discussione le tradizionali nozioni di relazione e affettività e introducono un nuovo paradigma in cui il confine tra l’umano e la macchina si fa sempre più sfumato. In questa cornice troviamo storie che possono essere d’amore o di violenza, che nascono da questa situazione liquida apparentemente stabile e rassicurante. L’AI può colmare i vuoti emotivi, può evitare solitudini che sono generate da una società che è sempre più frammentata. Penso, per esempio, al caso del ragazzo che si è suicidato per colpa di chatgpt, dicono i genitori. Si è tolto la vita lo scorso 11 Aprile a 16 anni. Si chiamava Adam Rain ed era famoso tra i suoi amici perché amava scherzare, il basket, i videogiochi, i cani però si era chiuso in se stesso dopo che era stato espulso da una squadra di basket per motivi disciplinari. Contemporaneamente, gli si era manifestato un problema di salute, la sindrome dell’intestino irritabile, quindi, se prima usava chatgpt come aiuto per fare i compiti, poi ha cominciato a chiedere consigli sulla salute mentale, fin quando ha chiesto informazioni sui metodi di suicidio. La chatbot open AI glieli ha forniti e lui si è impiccato nella sua cameretta, in California. Per questo, la famiglia ha ritenuto responsabile l’azienda che aveva favorito questa spirale autodistruttiva del figlio e le ha fatto causa. Nessuno si è accorto che questo ragazzo aveva proposto all’AI di lasciare il cappio che voleva usare, sopra il letto, per vedere se i genitori se ne accorgessero. Invece, chatgpt gli ha proposto di nasconderlo, perché poteva essere fermato dai genitori, se voleva raggiungere il suo obiettivo. Un altro esempio è quello di un ragazzo che ha confessato a Tele Bari, una TV locale, che, avendo il Ministro Valditara deciso di togliere i cellulari in classe, lui avrebbe dovuto studiare perché non poteva più copiare i compiti in classe, come facevano da sempre tutti, tenendo il cellulare sotto il banco, appoggiato alla coscia. Si finisce per vivere insieme solo connessi ma emotivamente distanti; quindi, le relazioni con le chatbots attraggono perché non implicano conflitto, compromesso, vulnerabilità ma, proprio per questo motivo, rischiano di inaridire la capacità di relazionarsi con altri esseri umani. Noi andiamo a cercare il conforto con l’intelligenza artificiale perché è disponibile, prevedibile, priva di giudizio, ma questo conforto non è assolutamente né affetto né amore, soltanto una simulazione. La sostanza è che la riflessione di Baumann rimane centrale, questa società liquida è veramente sempre più liquida e tutto quello che noi viviamo in termini di sentimenti è sempre fragile, incerto e conflittuale per cui ci accontentiamo di una relazione con una macchina ma non possiamo sostituire queste relazioni con una macchina, perché abbiamo bisogno anche della presenza di un altro in tutta la sua complessità, anche nel conflitto.  Ci vuole una nuova educazione all’intimità al rispetto per l’altro, un’alfabetizzazione emotiva che possa farci distinguere tra contatto e relazione, tra attenzione e amore o affetto, tra connessione e comunione. L’intelligenza artificiale rappresenta una risorsa preziosa per la società contemporanea, può facilitare la comunicazione, abbattere distanze geografiche e culturali, creare nuove opportunità di connessione e di condivisione, però non può sostituire l’incontro autentico e profondo con l’altro, quella dimensione umana che è fatta di una cosa che ancora l’intelligenza artificiale non ha: l’empatia”.

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