
Già nell’epoca antica si alzava un ammonimento riguardo la distruzione della Natura, della Terra e quindi di noi stessi: il Mondo senza la presenza umana ha vissuto e forse vivrebbe meglio, è invece l’essere umano che senza la Natura non sopravvivrebbe; ma la nostra arrogante presunzione ci porta a negare tutti quei segnali inequivocabili sull’imminente catastrofe ambientale. Nelle Metamorfosi di Ovidio troviamo un eclatante esempio di questa superbia, è la vicenda di Fetonte, che preso dalla hybris, cioè da una giovanile tracotanza, rischiava di travolgere definitivamente l’ordine cosmico.
Figlio di Febo Apollo, dio del sole, e di Climene, Fetonte si intestardisce nel dimostrare le sue origini divine messe in dubbio da un coetaneo. Non convinto dalle rassicurazioni di Climene, decide di dirigersi ad oriente, dove sorge il divino padre che lo accoglie seduto su un trono sfolgorante, circondato dalle stagioni. Febo Apollo per convincere il figlio è disposto ad esaudire qualsiasi richiesta, ma rimane sconvolto quando Fetonte gli chiede di guidare il suo carro solare: “Un’enormità chiedi, Fetonte, un dono che non s’addice né alle tue forze né ai tuoi anni in fiore”. Fetonte non arretra, così Apollo lo redarguisce sulle difficoltà nel guidare il carro divino:
“senza sosta il cielo ruota vorticosamente,
trascinando con sé, strette in orbite veloci, le stelle.
Io lo fronteggio, senza che il suo impeto, come in genere accade,
mi travolga, e corro in senso contrario alla corrente del suo moto.
Immagina di avere il cocchio: che farai? saprai opporti
al rotare dei poli, senza che il flusso del cielo ti sommerga?”
Ma la saggezza di un padre, la veggenza di un dio non sortiscono alcun ripensamento alla strafottenza giovanile di Fetonte, così Apollo, genitore indulgente e accondiscendente, cede e presta il carro al figlio indicandogli la strada da percorrere e i pericoli da evitare. Fetonte allora salta d’impeto sul cocchio solare e parte, ma poco dopo i cavalli scalpitano e si imbizzarriscono. Quindi Fetonte comincia ad impaurirsi, non sa mantenere ferme le briglie e i cavalli senza freno smarriscono la strada.
“Con stupore la Luna guarda i cavalli del fratello passare
sotto i suoi e le nuvole che fumano combuste.
Nei punti più alti la terra è ghermita dal fuoco,
si screpola in fenditure e, seccandosi gli umori, inaridisce;
si sbiancano i pascoli, con tutte le fronde bruciano le piante
e le messi riarse danno esca alla propria rovina.”
Le città arse dal fuoco crollano, gli abitanti fuggono o soccombono, bruciano anche montagne e boschi, Fetonte vede la terra in fiamme, non resiste all’eccessivo calore, è disperato, in balia dei cavalli. Anche i fiumi si prosciugano e il mare si contrae:
“Fu allora, così dicono, che il popolo degli Etiopi divenne,
per l’afflusso del sangue a fior di pelle, nero di colore;
fu allora che la Libia, privata d’ogni umore, divenne un deserto”

Allora la Terra invoca Giove, disperata e incredula, non capisce il motivo di tale devastazione, si incolpa, chiede spiegazioni:
“Questo il mio premio? così ricompensi la fertilità
e i miei servigi, dopo che sopporto le ferite infertemi
da aratri e rastrelli e per tutto l’anno m’affatico?
dopo che al bestiame procuro fronde, al genere umano alimenti
e frutti teneri, e a voi persino l’incenso?”
Giove non può che intervenire, “con la furia del fuoco il fuoco represse”: lancia un fulmine contro l’auriga, i cavalli liberati dalle redini fuggono e Fetonte con i capelli in fiamme precipita dal carro e muore. Nonostante tutta la devastazione compiuta da Fetonte, Apollo è affranto e si eclissa per un giorno adirato col re degli dei per avergli ucciso il figlio. Giove si scusa e tutto torna alla calma, ma la Terra manterrà le sue ferite per sempre.
Non è difficile a questo punto fare un parallelismo tra la storia del Fetonte ovidiano e la contemporaneità: le nostre emissioni, deforestazioni, trivellazioni e consumi insostenibili sono analoghe al carro impazzito di Fetonte, sono i tentativi di controllare potenze superiori alla natura umana. La nostra supponenza ci distoglie dal considerare gli eventi climatici estremi, la criticità delle riserve idriche, la flora e fauna in via di estinzione; a differenza di Giove non ascoltiamo le urla di madre Terra che implora rispetto, gli avvertimenti degli scienziati e dei movimenti ecologisti che denunciano le nefande conseguenze del comportamento umano. E chissà se ci sarà un Giove moderno, un deus ex machina che fermerà definitivamente questa scellerata e sconsiderata corsa verso la distruzione, non tanto per salvare noi stessi, ma almeno la nostra cara amata Terra!
Ovidio Le Metamorfosi:
https://professoressaorru.wordpress.com/wp-content/uploads/2010/02/ovidiometamor.pdf