
Racconto scritto a 4 mani con Giuseppe Piccinno
Ancora un paio. Sì, ancora un paio posso farli.
Ma lo zaino va alleggerito.
Troppi ricordi.
Il giorno della laurea lo seppellisco sotto questo faggio: è stato così tanti anni fa che ormai è un sapere morto.
Giulia non conta. Però era la prima. È meno di un santino sbiadito, nel taschino dei documenti non fa volume: resta.
Non so se si considera ancora figlio mio. Era un tipo presuntuoso e pesante. Tanti ricordi li ho già fatti fuori, perché non anche questo? Dove lo avrò ficcato? Boh. Pure il nome mi sarà caduto durante qualche bivacco. Non mi viene in mente, adesso. Poco male.
La sabbia di una spiaggia ogni anno sempre uguale. Quella è in ogni piega dello zaino e non va via.
Lei. Il suo sorriso di cui sono vedovo da 30 anni. È la prima cosa che si vede quando apro lo zaino. Un’assenza non piglia spazio. Resta.
Un compleanno in campagna. Raccogliere gli asparagi. Raccogliere i fiori. Raccogliere le forze per raccogliere i figli sdraiati sul prato. 45 primavere dentro e una fuori.
Ma se scrivessi un libro?
Intanto metto da parte idee, sogni, parole.
Le canzoni di Sanremo, i film dell’anno, le domeniche inseguendo uno scudetto…
E ora nello zaino non c’è più posto. Zavorre.
Uno zaino che non riesco ad alleggerire.
85 anni ti restano solo i ricordi.
Un altro paio di anni. Non so se ho voglia di farli.
Per tirarmi dietro cosa, o chi?
Sollevo lo zaino sopra la mia testa. Lo capovolgo. Una valanga di nomi cose anni sciama.
Per ultime si consumano le meteore di un San Lorenzo del 1950.