
“A una mente tranquilla l’universo intero si arrende.” — Chuang-tzu
Nell’epoca delle notifiche incessanti, degli algoritmi che sanno tutto di noi e dell’ansia da prestazione persino nel relax (hai meditato almeno 10 minuti oggi?), mantenere la calma è diventato un atto quasi rivoluzionario. Lo era anche ieri, se vogliamo essere onesti: Seneca, in una lettera a Lucilio, scriveva che “la collera è breve follia” e invitava i suoi lettori all’atarassia, l’imperturbabilità dell’anima.
Eppure oggi, in un mondo che corre alla velocità di TikTok, dove lo scroll è diventato gesto rituale e la soglia dell’attenzione è più bassa di un Lillipuziano, keep calm non è soltanto un motto: è un vero programma di sopravvivenza.
Dal tè britannico al silenzio zen
L’espressione “Keep Calm and Carry On” nasce in Inghilterra nel 1939 come parte di una campagna governativa per rinforzare il morale durante la Seconda guerra mondiale. Il manifesto rosso, con la corona reale a sovrastare lo slogan, fu pensato per rassicurare la popolazione in tempi di bombe e blackout. Ironia della sorte, non fu quasi mai usato. Eppure oggi campeggia su meme, t-shirt, tappetini da yoga e perfino cuscini decorativi.
Dietro lo humour tipicamente britannico (“Keep calm and drink tea”) c’è un’idea profonda: la compostezza come virtù pubblica e privata. I giapponesi, con il concetto di shikataganai (“non si può fare nulla, quindi accettalo”), abbracciano la stessa filosofia con sobria eleganza. Gli stoici, da Epitteto a Marco Aurelio, suggerivano qualcosa di simile: non puoi controllare gli eventi, ma puoi controllare la tua reazione.
Il filosofo cinese Zhuangzi, invece, la metteva giù con più poesia: “Il saggio è calmo, mentre il comune mortale è sempre in agitazione.” Ed è vero: quando siamo agitati, sembriamo popcorn in una padella senza coperchio.
La calma non è piatta
Essere calmi non significa essere passivi. Al contrario, la calma è spesso il risultato visibile di una disciplina invisibile. Rainer Maria Rilke scriveva: “Sii paziente verso tutto ciò che è irrisolto nel tuo cuore.” La pazienza, sorella stretta della calma, è ciò che ci permette di restare fermi quando tutto ci spinge a reagire, a postare, a rispondere subito, a dire la nostra anche quando forse sarebbe meglio tacere.
Naturalmente, la calma non è sempre appropriata. Nessuno vuole un pompiere calmo mentre la casa brucia (“Tranquilli, è solo fuoco…”). Ma nella vita quotidiana – nel traffico, nelle e-mail passive-aggressive, nei messaggi vocali da 7 minuti – la calma è la virtù dei forti.
La calma come sospensione: tra Oriente e Occidente
L’Occidente ci ha abituati a vivere nel fare. Ogni gesto dev’essere finalizzato, misurabile, “utile”. Non stupisce allora che, come scriveva Fromm, chi semplicemente contempla o medita venga visto come passivo, un fannullone, uno che “non fa niente”. Eppure, in realtà, non sta pensando: sta essendo.
Nel suo saggio L’amore per la vita, Fromm propone una riflessione semplice eppure dirompente: la contemplazione non è inerzia, ma immersione. Chi si siede a osservare un paesaggio o a respirare in silenzio non è assente: è talmente presente da risultare estraneo al nostro sguardo frenetico.
Fromm mette a confronto la nostra corsa culturale con la centralità della calma nelle tradizioni orientali. In India e in Cina, il silenzio interiore è un esercizio quotidiano, non un’evasione. Il mushin giapponese – mente vuota – non è vuoto sterile, ma assenza del superfluo, uno stato ricettivo pronto all’incontro con ciò che è.
Lo diceva anche Leopardi, con la sua consueta lucidità amara:
“Perché giacendo
A bell’agio, ozioso,
S’appaga ogni animale;
Me, s’io giaccio in riposo, il tedio assale?”
Nel suo “ozio” non c’è leggerezza, ma un vuoto che pesa. La quiete, in verità, è un esercizio faticoso. Non tutti possono reggerla.
La calma è un muscolo… anche un po’ testardo
La calma si coltiva. È come un campo: va seminata, nutrita, protetta da tutto ciò che vorrebbe entrare senza bussare. Prova a stare due minuti senza fare nulla, suggerisce Fromm. Non a dormire, non a pianificare. Solo a essere. Ti accorgerai che è più difficile di quanto sembri.
Pensieri piccoli e grandi faranno la fila: l’ultima e-mail ricevuta, il messaggio lasciato in sospeso, la sensazione di dover essere “altrove”. Il difficile non è pensare, ma smettere.
Intervista alla dott.ssa Lo Giudice – Vivere meglio lo stress grazie alla Mindfulness
Psicologa e istruttrice esperta di mindfulness e del protocollo MBSR, la dott.ssa Lo Giudice lavora da anni sull’applicazione di queste pratiche per la gestione dello stress e il miglioramento del benessere mentale.
Dottoressa, in un’epoca in cui tutto sembra correre, cosa può fare la differenza per ritrovare la calma?
«Come scrive Isabella Schiavone nel suo libro Pratico Ergo Sum: In una società che corre velocemente, la capacità di metterci in ascolto di noi stessi e degli altri – portando consapevolezza ai pensieri e alle azioni – è quanto mai essenziale per ritrovare il nostro centro. Esistono pratiche che possono influenzare moltissimo la quotidianità e portare un profondo cambiamento interiore, cambiamento che può riflettersi anche sulla società.»
Cos’è, in poche parole, la mindfulness?
«La mindfulness è la consapevolezza che sorge dal prestare attenzione, intenzionalmente, al momento presente e in modo non giudicante. È una risorsa umana innata: se coltivata attraverso la pratica ci consente di scegliere quali risposte dare, rendendoci più flessibili e capaci di trovare soluzioni creative. Tutto ciò aumenta il nostro senso di autoefficacia e minimizza gli effetti dello stress.»
La scienza cosa dice al riguardo?
«Negli ultimi anni la medicina tiene sempre più conto delle interazioni corpo-mente. Si è sviluppata la ricerca sulla riduzione dello stress mediante la consapevolezza e sono state pubblicate numerose ricerche che ne dimostrano le applicazioni cliniche. L’MBSR (Mindfulness Based Stress Reduction Program) è un percorso di otto settimane per la riduzione dello stress basato sulla mindfulness e sviluppato da Jon Kabat-Zinn presso la Medical School, University of Massachusetts (USA) a partire dal 1979. Nel Programma si utilizzano il respiro e le sensazioni corporee per aiutare la persona a centrarsi su di sé nel qui ed ora, a gestire lo stress e a coltivare migliori abilità di attenzione e concentrazione. Nel percorso proposto non è l’esperienza che si vuole trasformare ma il modo di “essere” nell’esperienza.»
Conclusione: scegli il tè, non la tempesta
Mantenere la calma non è solo una reazione, è una scelta. In un mondo iperattivo, iperreale e iperconnesso, scegliere la calma è come scegliere il silenzio in mezzo al rumore: rivoluzionario.
Forse mantenere la calma non è mai stato facile, in nessuna epoca. Ma oggi, fra il rumore di fondo del digitale e la fretta sociale, è diventata una forma di resistenza silenziosa. Non serve scalare montagne né fare ritiri monastici: basta allenarsi a restare presenti, anche solo per pochi istanti; perché, come ci ricordano filosofi, poeti e pratiche antiche, il vero lusso non è avere tempo… ma saperlo abitare.
Articolo bellissimo e verissimo.
Bisognerebbe che tutti lo praticassero.