
Nell’ambito dell’architettura di età bizantina e medievale, che riguarda in generale tutta l’Italia meridionale e, nel nostro specifico, la Sicilia sud-orientale, si fa riferimento ad un particolare “modus struendi”, definito come “costruire per levare“, e che descrive un approccio costruttivo che procede attraverso la rimozione della materia rocciosa.
Invece di costruire “ex novo”, si preferisce scavare grotte naturali e così modellare escavazioni già esistenti per creare spazi abitativi, luoghi di culto, magazzini e cisterne per la raccolta dell’acqua. Questo nuovo approccio costruttivo, comunque già noto in età preistorica (per la Sicilia sud-orientale basti l’esempio noto di Pantalica con le sue necropoli e i suoi villaggi rupestri), implica un rapporto diretto dell’attività trasformativa dell’uomo che si adatta a quello che è l’ambiente naturale.

A tale riguardo due sono le fasi principali che caratterizzano l’architettura rupestre: la prima è quella dello scavo, con la realizzazione di nuovi ambienti o con la trasformazione di precedenti aree cimiteriali di età tardo-romana per ricavare intere chiese e complessi monastici di stampo cenobitico; la seconda fase è quella della modellazione : all’interno delle grotte scavate vengono a crearsi così nuove forme, nuovi volumi, arricchiti da elementi architettonici, incisioni scultoree, pannelli e cicli pittorici.
Vorrei qui presentare un “exemplum” che si trova nel territorio di Licodia Eubea, incastonato tra i Comuni di Licodia Eubea, Vizzini e Monterosso Almo, e vicino al lago Dirillo: il complesso rupestre dell’Alia – Grotta dei Santi.
La letteratura sull’insediamento rupestre è relativamente recente. Si deve alla meticolosa sagacia del grande archeologo siracusano Giuseppe Agnello, che per primo ne diede notizia nel 1940, se il complesso monumentale venne alla conoscenza del mondo scientifico. L’Agnello notò come il complesso rupestre dell’Alia e tutto il territorio di Monterosso Almo fossero stati trascurati dagli studiosi precedenti, compreso il soprintendente Paolo Orsi, che visitò e lavorò più volte nei paesi dell’altipiano ibleo.
Né questo interesse vi fu da parte degli studiosi locali, come Vincenzo Cannizzo, ispettore onorario delle Antichità per il territorio di Licodia, che bene conoscevano la zona di loro pertinenza. Aldo Messina, autore di numerosi studi sul trogloditismo medievale in Sicilia e a Malta, tornerà ad interessarsi, a partire dai primi anni ’70 del secolo scorso, del complesso rupestre dell’Alia, inserendolo in quel fenomeno della riutilizzazione “…di ambienti funerari come cripte destinate al culto”.

Intorno alla metà degli anni ’80, l’insediamento rupestre rientrò nell’ambito di un mio lavoro di ricerca i cui risultati andarono a confluire nella tesi di laurea “Monumenti di età tardo-romana e bizantina a Licodia Eubea”.
Il complesso venne analizzato nelle sue componenti topografica, storico-artistica, archivistica e religiosa, precisando le due distinte fasi che lo interessarono: quella tardo-antica con destinazione cimiteriale e quella del riutilizzo come eremitaggio rupestre di stampo cenobitico. Per la prima volta vennero fornite le planimetrie e le sezioni dei principali ingrottamenti della zona, un’analisi dettagliata del pannello pittorico con la rappresentazione della “stauròsis”, nonché un ricco corredo fotografico.
Nel 2008, Aldo Messina tornerà a parlare della “Grotta dei Santi” nella sua “Sicilia rupestre”, riportando una foto della “stauròsis”. Infine, sempre nel 2008, si interessò del complesso rupestre l’archeologa Elisa Bonacini nella sua pubblicazione “Il borgo cristiano di Licodia Eubea”. La studiosa catanese, servendosi degli studi passati e degli ultimi dati acquisiti da parte della Sovrintendenza archeologica di Catania, fornisce un quadro esaustivo su Licodia Eubea e il suo territorio in epoca tardo-antica.
Il complesso rupestre dell’Alia – Grotta dei Santi, presenta una continuità di vita di oltre un millennio: dall’epoca tardo-antica al XV secolo, quando si può ipotizzare il suo abbandono; non è da escludere poi nella zona un precedente insediamento in età classica, non ancora accertato però da prove monumentali.
L’abbandono deve essere stato causato, molto verosimilmente, da quel fenomeno di ripopolamento che interessò i piccoli e grandi centri urbani, abbandonati in epoca tardo-antica e rinati durante e dopo la dominazione normanna dell’Isola, in un clima di relativa stabilità politica ed economica.
Riguardo la fase cimiteriale bisogna sottolineare la pluralità delle forme sepolcrali impiegate nell’intero complesso: dall’arcosolio monosomo e polisomo al sepolcro a sarcofago, dalla tomba sub-divo alla fossa terragna sino al sepolcro a baldacchino. La varietà di tipologie sepolcrali denota, ancora una volta, le capacità tecniche dei “fossores” che seppero adattare le loro esigenze costruttive alla situazione geomorfologica del posto con estrema sensibilità e fantasia.

Altro dato importante: il luogo di culto, sorto dopo qualche tempo nella stessa area cimiteriale, ripropone la questione della riutilizzazione in epoca tardo-antica di presidi di età precedenti. L’oratorio, come altre chiese rupestri dell’altipiano ibleo, occupava un punto strategico di tutto l’insediamento ed era sorto, non solo per favorire un processo di “colonizzazione” o assicurarne la continuità nella zona, ma certamente per garantire agli abitanti della comunità rurale “un quadro amministrativo e religioso che garantisse la regolarità dei servizi divini e della liturgia sacramentale […], che rafforzasse il potere dei signori e accelerasse, nelle zone con larga presenza musulmana, le conversioni.”
Inoltre, la presenza di un monachesimo cenobitico nell’area interessata – come in tutta la fascia sud-orientale del Mediterraneo – sottolinea il momento particolare di “saldatura” della tradizione culturale post-classica alla successiva presenza nell’Isola di una tradizione culturale “europea” come quella normanna.
Il complesso dell’Alia rientra in quella tipologia insediativa diffusa nell’altipiano ibleo con l’edificio di culto posto nelle vicinanze e a servizio di abitati rupestri sparsi nella campagna e senza strutture di difesa. Si tratta di insediamenti costituiti da poche camere ipogeiche affiancate su creste di roccia isolate, dove sono state ricavate la casa e gli altri ambienti di servizio come il magazzino e la stalla. Il gruppo monumentale si può riportare come zona d’influenza e di legame culturale al vicino centro di Licodia, al quale sia l’aspetto morfologico del terreno sia le tipologie funerarie adottate sembrano richiamare.
Mentre P. Orsi proponeva per questi abitati trogloditici una datazione “bizantina”, attribuendoli alla dominazione bizantina che interessò la Sicilia a partire dal V secolo, dai dati raccolti sembra più esatto uno slittamento più tardo, quando tutta l’area fu interessata, a partire dal IX secolo, dalla colonizzazione berbera proveniente dalle coste del nord Africa.
Pertanto, come giustamente ha sottolineato A. Messina, è bene “collocare la fioritura del trogloditismo siciliano nell’ambito della islamizzazione dell’isola tra il IX e l’XI secolo e a collegarla al trogloditismo della popolazione berbera venuta a colonizzare la Sicilia dalla montagna libico-tunisina”.
La storia socio-economica della zona s’innesta in quella più generale di tutta l’Isola nei secoli del Tardo-Impero e dell’Alto Medioevo. Il quadro storico è mutato rispetto a quello della Sicilia in età classica e nei primi secoli dell’impero: assistiamo ad una crisi demografica che crea nuovi assetti sia nelle aree urbane che nelle campagne, dove sorgono ville, fattorie, centri rurali. Nel corso del VI secolo, assieme all’abitazione in mattoni o blocchi di pietra calcare, viene adottato un altro tipo di aggregamento umano, meno comodo della casa costruita, ma in compenso più sicuro: la grotta. I nuovi agglomerati, nascosti tra la vegetazione arboricola, sfruttarono, riadattandole, aree cimiteriali precedenti per soddisfare le mutate condizioni di vita.
Le grotte, poste vicino ai terreni arati e alle fonti d’acqua, presentano una struttura elementare ma molto funzionale. Nelle loro vicinanze sorgono il luogo di culto, il “trapetum” di uso comune, i depositi per l’acqua. Il sistema economico riflette la mutata situazione storica: l’agricoltura, basata dapprima sul latifondo, si converte gradualmente verso colture diversificate, mentre gli scambi commerciali – sempre con l’Oriente bizantino – sembrano ridursi ulteriormente.
Risulta ormai affermato in maniera definitiva il valore economico-sociale, oltre che religioso e artistico del fenomeno trogloditico, di questa particolare tecnica edilizia “per sottrazione”, che non risulta essere qualitativamente inferiore a quello “costruito”, ma espressione di uno sviluppo parallelo e simile della rinata società siciliana in epoca normanna.
Purtroppo queste testimonianze di un variegato popolamento in epoca altomedievale nel territorio di Licodia Eubea, come in tutto l’altipiano ibleo, risultano spesso abbandonate, o coperte dal tessuto urbano moderno, o devastate dai fenomeni sismici o dalla mano dell’uomo che le ha private di qualsiasi manufatto, alterandone in molti casi anche la struttura. La mancanza poi di depositi archeologici all’interno delle grotte ha reso difficoltoso un inquadramento cronologico certo.
Una serie di interventi, da parte della Sovrintendenza archeologica di Catania e di concerto con l’amministrazione comunale di Licodia Eubea, ha portato dapprima all’istituzione del vincolo monumentale per tutto il complesso rupestre dell’Alia e poi alla realizzazione di un parco archeologico tra il 2007-2009, che ha reso maggiormente fruibili le grotte della piccola catacomba e dell’oratorio rupestre. La ripulitura di questi ambienti e l’intervento di restauro del pannello pittorico, avvenuti tra il 2009 e il 2010, debbono ritenersi i punti di un più vasto programma di ricerca e salvaguardia volto a riportare nella giusta luce non solo il complesso rupestre dell’Alia, ma anche degli altri insediamenti abitativi lasciati, come altri, per lungo tempo nel più completo abbandono.