
Costruire una società tollerante significa creare ambienti educativi in cui la diversità sia accolta e valorizzata. Come insegnante di scuola superiore mi trovo ogni giorno immersa in questo processo di costruzione. Vivo in prima persona le contraddizioni del nostro tempo: da un lato, una crescente consapevolezza e apertura tra i giovani; dall’altro, episodi di discriminazione che rivelano quanto sia ancora lungo il cammino verso un’autentica inclusione.
Ho voluto approfondire questo tema cruciale intervistando figure significative: Elvira Adamo, Assessora ai Servizi Sociali e Pari Opportunità, Dario Accolla, scrittore, docente e militante LGBTQ+ e Francesco Tommasi, attivista LGBTQ+ e mio ex alunno, la cui esperienza personale ha segnato profondamente la mia riflessione.
Un Confine Sottile tra Apertura e Pregiudizio
Elvira Adamo evidenzia una diffusa “confusione sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”, che non risparmia insegnanti e persino professionisti delle relazioni d’aiuto. Questa mancanza di preparazione si riflette nei ragazzi che, pur avendo accesso a molte più informazioni rispetto alle generazioni precedenti, necessitano di una guida corretta. “È importante parlare di questi temi nella scuola,” afferma l’assessora Adamo. L’obiettivo, quindi, non è il proselitismo, ma l’informazione corretta, per dissipare pregiudizi radicati: “non sono malattie non c’è niente che deve essere curato.” Il pregiudizio, sottolinea l’assessora, nasce dalla difficoltà di accogliere le diversità e dalla convinzione errata che “la diversità di una persona possa contaminare gli altri.”

La Ferita della Discriminazione e l’Indifferenza
L’esperienza di Francesco Tommasi, mio ex alunno, è una testimonianza dolorosa di quanto il pregiudizio possa essere distruttivo. Vittima di bullismo omofobo a scuola, fu costretto a cambiare indirizzo di studi. Anni dopo, nel 2018, è stato insultato e aggredito da sei minorenni solo per il suo orientamento e per il suo modo di essere. “L’aggressione più grande non è stata quella subita da quei ragazzi, ma il fatto di aver intercettato con lo sguardo passanti e soprattutto mogli, mamme di figli, che tiravano per il braccio il marito affinché non accorresse in mio aiuto,” racconta Francesco. “Quella lì è stata l’aggressione più grande: l’insensibilità, il disinteresse…. C’è indifferenza, tanta indifferenza.”
Questa indifferenza, questa incapacità di intervenire o anche solo di comprendere, è un elemento ricorrente. Francesco sottolinea come la mancanza di dialogo e interazione sia un problema che coinvolge l’intera società, inclusi gli insegnanti: “i professori stessi vedevano che io ero una persona taciturna, che si isolava; non capivano e non si preoccupavano di capire il perché. Si facevano semplicemente i fatti loro.” La sua domanda risuona forte: “Io ad oggi non me la prendo tanto con chi mi ha bullizzato ma mi chiedo: i professori in quel periodo dove erano?”
Parole che pesano, perché ci obbligano a rivedere il nostro ruolo di educatori. Spesso, la mancata reazione degli adulti ferisce più dell’offesa stessa.
I dati lo confermano: secondo il rapporto 2023 di ILGA Europe, in Italia i crimini d’odio contro le persone LGBTQ+ sono aumentati del 30% negli ultimi anni (fonte). Ma la percezione sociale cambia lentamente, e spesso la scuola resta in bilico tra paura e impegno.
Dalla testimonianza alla responsabilità educativa
Le parole di Francesco ci accompagnano verso una riflessione più ampia sul ruolo della scuola. Come agisce di fronte alla discriminazione? Che tipo di spazio costruisce per chi si sente “diverso”?
È qui che si inserisce la voce di Dario Accolla, che invita con forza a non restare neutrali.
«La scuola non può non essere militante. Non vuol dire fare propaganda, ma scegliere da che parte stare. C’è una discriminazione. La scuola la avalla o la combatte? Per combatterla, bisogna chiamare le cose con il loro nome: omofobia, razzismo, violenza di genere».
Accolla sottolinea come ogni classe sia un microcosmo unico: «In una trovi un ragazzo non binario accolto da tutti, nella classe accanto si verificano episodi di bullismo. È uno scenario multiforme, n on monolitico, in continuo movimento».
Riconosce che rispetto al passato la situazione è migliorata, anche grazie alla visibilità mediatica e culturale, ma l’omofobia resta strutturale. Serve una “pedagogia sociale continua”, che accompagni le persone «dalla culla alla tomba».
Durante il nostro scambio, ho condiviso con lui un pensiero: “Se gli studenti hanno un imprinting familiare troppo rigido, la sfida diventa ardua.”
Accolla ha accolto il mio punto di vista, ma ha voluto aggiungere una nota di fiducia: il cambiamento, per quanto complesso, è possibile. Ha citato il suo vissuto personale come esempio concreto: «Se sono riuscito a cambiare la mentalità dei miei genitori, chiunque può farcela».
La trasformazione richiede tempo, ma può avvenire anche nei contesti più rigidi.
Il Ruolo Cruciale della Scuola
Di fronte a queste sfide, il ruolo della scuola emerge come fondamentale. Elvira Adamo insiste sulla necessità di “continuare a battere sull’educazione, sulla spiegazione e sul riconoscere anche i diritti, nonostante la resistenza culturale che ancora porta a differenziare, ad esempio, le unioni civili dal matrimonio (“nel momento in cui ho l’unione civile diversa dal matrimonio ti sto dicendo che quella relazione non è esattamente uguale a una eterosessuale”). È attraverso l’informazione corretta che si possono smontare paure infondate come quelle legate all’adozione da parte di coppie omosessuali. “È meglio avere ragazzi abbandonati negli istituti o consentire anche a una coppia di persone dello stesso sesso di adottarli, amarli e garantire loro un futuro? ” provoca l’assessora Adamo.
Costruire insieme: oltre l’indifferenza
L’articolo 3 della Costituzione italiana recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali.”
Ma affinché quei principi diventino realtà, serve un impegno costante.
La scuola, in questo senso, è una palestra di democrazia e rispetto. Non basta la visibilità dei media o dei Pride. È necessario educare all’affettività e alla comprensione delle differenze. Come suggerisce Francesco, occorre «molta più comunicazione, molto più dialogo con i ragazzi, molto più chiedere: “Come stai?”».
Costruire una società tollerante significa superare l’indifferenza, informare correttamente e scegliere, ogni giorno, da che parte stare. È una responsabilità che coinvolge tutti: famiglie, istituzioni e in primis la scuola, dove si formano i cittadini di domani.
La strada è in salita, ma non possiamo permetterci di non percorrerla. Lo dobbiamo a chi oggi cresce, e a chi domani costruirà la società in cui vivremo tutti.