Siamo alla disperata ricerca di frammenti di Pace da raccogliere, custodire, lanciare come semi che portino frutto; comporli a formare il mosaico di un futuro tutto da costruire.

A tal fine sarebbe utile (soprattutto nelle scuole) ribaltare il concetto di “eroismo”. Nell’immaginario collettivo, si basa sull’”arte” militare, sui nemici abbattuti e i territori conquistati. Invece penso che il gesto più eroico sia restare umani quando tutto intorno a te ti porterebbe in ben altra direzione.

È eroismo l’abbraccio del palestinese Aziz Sarah (al quale l’esercito israeliano ha ucciso il fratello) con l’israeliano Maoz Inon (al quale sono stati uccisi i genitori nell’attacco di Hamas del 7 ottobre). La loro amicizia è eroica.

È eroismo il lavoro di medici ed infermieri in territori di guerra. Oggi non sono neanche più tutelati dalle protezioni che storicamente si sono sempre riservate loro, almeno formalmente. Il fuoco li raggiunge sempre più spesso, non incidentalmente ma con una nauseante volontà di uccidere persino chi opera per salvare vite.

È eroismo la scelta di Nelson Mandela, da presidente del Sudafrica (1990), di facilitare la riconciliazione e la convivenza con gli stessi bianchi che lo avevano tenuto in carcere duro per 27 anni, ammazzando e torturando compagni e amici.

È eroismo quanto accaduto nel Natale del 1914 sul fronte della prima guerra mondiale. Durante la tregua le fazioni contrapposte, ispirate dai canti natalizi, fraternizzarono e, una volta riprese le ostilità, rifiutarono di combattersi a vicenda, pagandone le conseguenze. La vicenda (incredibilmente ignorata dalla Storia) fu riportata alla luce dal bel film di Christian Carion “Joyeux Noël” (anno 2005).

È eroismo quello di una donna austriaca, Bertha von Suttner. La quale pensò bene di scrivere “Giù le armi!”, manifesto pacifista pubblicato nel 1889. Proviamo a immaginare quanto coraggio ci volesse, per una donna di quegli anni, così impregnati di retorica militarista. Conseguì il Premio Nobel per la Pace nel 1905 e morì nel 1914, una settimana prima dello scoppio della Grande Guerra.

Con lei voglio ricordare altre donne Premi Nobel per la Pace il cui contributo è stato straordinario: Rigoberta Menchu (1992), che ha lottato per i diritti degli indigeni guatemaltechi; Jody Williams (1997) impegnata per la messa al bando delle mine antiuomo; Shirin Ebadi (anno 2003), che difende i diritti dell’infanzia e delle donne iraniane; Wangari Maathai (2004), attivista ambientalista keniota; Ellen Johnson Sirleaf (2011) presidente della Liberia 2006/2018; Leymah Gbowee (2011) pacifista liberiana; Tawakkul Karman (2011) donna yemenita impegnata per l’emancipazione non violenta; Malala Yousafzai (2014), attivista pakistana impegnata nella difesa del diritto all’istruzione e dei diritti civili delle donne, la più giovane vincitrice della storia (allora appena diciassettenne); Nadia Murad Basee (2018) attivista irachena dei diritti umani; Narges Mohammadi (2023), attivista iraniana condannata a 30 anni di carcere per il suo impegno contro la pena di morte e per i diritti delle donne;

Ho fatto solo alcuni esempi. E ho voluto utilizzare la parola “eroismo” per ribaltarne, in qualche modo, l’interpretazione. In realtà, perché le cose cambino in meglio, non dovremmo cercare gli “eroi” ma il coinvolgimento di ognuno, a tutti i livelli, nella medesima direzione.

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