
Se un lettore della rubrica Dalla parte di lei su Epoca, negli anni Cinquanta, le avesse chiesto quanto contasse l’individualità dello scrittore rispetto all’opera, possiamo immaginare che forse Alba de Céspedes (Roma, 1911 – Parigi, 1997) avrebbe risposto come William Faulkner al tempo dell’intervista a The Paris Review (1956): “L’artista non ha importanza. Solo ciò che crea è importante.” Così infatti lo scrittore americano – di cui De Céspedes aveva apprezzato Le palme selvagge (1939), quale “bellissimo romanzo d’amore” – si era pronunciato sulla tensione verso la creazione letteraria, sull’impossibile inseguimento della perfezione, spingendosi fino a una teorizzazione della propensione di ciascun autore per le forme e i generi. “Forse ogni romanziere vuole prima scrivere poesie, scopre di non riuscirci e allora prova il racconto, che è la forma più impegnativa dopo la poesia. E, fallendo in questo, solo allora si dedica alla scrittura di romanzi”.
Eppure il percorso creativo di Alba de Céspedes, nella sua vita straordinaria tra Cuba, Roma e Parigi, sembra non conoscere alcuna discontinuità nell’espressione letteraria, a partire dalla prima poesia. “Ho cominciato a scrivere a cinque anni e mezzo, sei anni, una poesia. Quando fu finita, la diedi a papà … Io credevo che mi sgridasse e lui mi disse serio, serio come forse non lo conoscevo: “Sei tu che hai scritto questa poesia?” – “Ti prometto non lo faccio più!”. E lui mi disse: “No, lo farai ancora, pobrecita”, perché capì che scrivere era un mestiere difficile e forse era anche suggerito da una condizione riflessiva”. L’episodio, riportato nell’intervista “Incontro con Alba de Céspedes” per la Rai (1980), costituì una consapevolezza immutabile per la scrittrice, tanto da finire riversato nel racconto Incontro con la poesia, all’interno della raccolta Fuga (1940).
Prima di allora però il suo nome aveva conquistato il pubblico con il romanzo Nessuno torna indietro (1938), ritratto corale di un gruppo di giovani donne intente a costruire il proprio futuro, cui avrebbero fatto seguito Dalla parte di lei (1949), Quaderno proibito (1952), Prima e dopo (1955), Il rimorso (1963), La bambolona (1967), Nel buio della notte (1976)e l’incompiuto Con gran amor, vibrante album autobiografico e familiare, dedicato ai natali cubani.
Ma non è tutto. De Céspedes non è soltanto una romanziera che sfida la censura fascista, proponendo personaggi femminili lontani dalla retorica della subalternità di spose e madri, quale lei stessa era stata, poco più che ventenne, separata con un figlio e ospite dell’Istituto Ravasco nei primi anni a Roma. È una donna colta e cosmopolita, figlia di Carlos Manuel de Céspedes y de Quesada, ministro plenipotenziario del governo cubano a Roma, e nipote di Carlos Manuel de Céspedes y del Castillo, celebrato come Padre della Patria, per aver guidato l’isola nella rivolta contro gli spagnoli e liberato gli schiavi. Viaggia al seguito dei genitori, accompagnando il padre nelle sedi diplomatiche senza potere svolgere studi regolari, e la sua istruzione è affidata a precettori privati. Parla quattro lingue, è autodidatta e coltiva una smisurata passione per la lettura, attingendo alla vasta biblioteca paterna, dove scopre i romanzi d’avventura di Emilio Salgari e Robert Louis Stevenson, tra i libri sulla storia di Cuba e le opere del poeta Josè Martì.
Dagli anni Trenta, ovvero da quando comincia a vivere a Roma, la scrittrice costruirà gradualmente la propria biblioteca, prima al pensionato Ravasco, leggendo Petrarca, D’Annunzio, Maurois, Prevost, Baudelaire, Shelley, Byron, poi nella casa di via Tirso, dove scriverà Nessuno torna indietro (1938), e in quella di via Duse fino al trasferimento a Parigi, immaginandola come un treno ideale, che corre sui binari della letteratura, a bordo del quale il viaggio non si svolge mai in solitudine. Figurano i grandi autori francesi, russi e americani, Dostoevskij, Tolstoj, Gide, Steinbeck, Mann, Balzac, Stendhal, Goethe, e ancora Huxley, Proust, Verga, Manzoni, Tozzi, futuristi, stilnovisti, Grazia Deledda, Katherine Mansfield, Matilde Serao, Jane Austen, le sorelle Bronte; Sibilla Aleramo e Marchesa Colombi, per il ritratto della donna nella società contemporanea, le poesie di Ada Negri, i libri degli amici Bontempelli, Silone, La Capria e delle amiche Paola Masino, Gianna Manzini, Anna Banti, Gina Lagorio, nonché le opere di Simone de Beauvoir, che conosceva personalmente. “Se si perdessero tutti i libri non esisterebbe più il passato” – scrive negli appunti di Con gran amor, quasi nei libri si trovasse la chiave e la risposta a ogni domanda. E a un lettore di Epoca che nel 1957 le chiedeva cosa leggere a ottant’anni, rispondeva che avrebbe riletto “le opere dalle quali ho tratto un insegnamento spirituale o che mi hanno procurato una profonda commozione… questo sembra essere il criterio seguito dalla maggior parte degli scrittori anziani. Tolstoj, per esempio, a ottantadue anni, pochi giorni prima di morire, scriveva alla figlia Aleksandra di inviargli i Saggi di Montaigne, L’idea di Dio come base perfetta della vita di Nikolaev, I fratelli Karamazov di Dostoevskij e Una vita di Guy de Maupassant… Invece Massimo Bontempelli, nel compire 70 anni, mi disse: “Non leggo più che gli autori classici; e ora mi pare di cominciare a capire qualcosa di tutto quello che, leggendoli da ragazzo, ero certo di aver capito”.
Il suo impegno da intellettuale si esprime prima a fianco della Resistenza, con la rubrica radiofonica L’Italia combatte (1944), rivolgendosi agli ascoltatori con lo pseudonimo di Clorinda, poi con la fondazione di Mercurio, rivista di politica e cultura, che ospitò dal 1944 al 1948 le firme prestigiose di scrittori, giornalisti, uomini e donne di pensiero italiani e stranieri.
Ad attraversare l’intensa attività della scrittrice è inoltre la produzione narrativa breve, che annovera oltre centosettanta racconti, scritti tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta per quotidiani e riviste, in parte pubblicati in volume nelle principali raccolte.
L’esordio risale a Il segreto (1934), che confluirà nella raccolta L’anima degli altri (1935) con il titolo Il dubbio. La pubblicazione sul Giornale d’Italia sorprende l’autrice, per il merito inatteso e per il guadagno, e ancora nell’intervista del 1980 ricorderà l’entusiasmo per quel compenso e l’interrogarsi sul come spenderlo: “Con queste 200 lire bisogna fare qualche cosa di straordinario, bisogna che compri un quadro … che compri qualche cosa … che le metta, non so, che conservi queste 200 lire …E poi le ho messe nella vita. E così è stato sempre.”
Tra le prime istanze, infatti, vi è l’aspirazione all’indipendenza economica, maturata nella lezione di Virginia Woolf e di una stanza tutta per sé, in cui ogni donna possa rivendicare il proprio spazio al mondo. Ciò spiega la fervente produzione tra il 1934 e il 1939, che annovera oltre novanta racconti, destinati a tre raccolte: L’anima degli altri (Maglione, 1935), Concerto (Carabba, 1937), Fuga (Mondadori, 1940). Dagli anni Quaranta, la censura fascista contro Nessuno torna indietro contrasta anche le collaborazioni giornalistiche: tra il 1940 e il 1943, ne scrive solo quindici, anche perché impegnata nella stesura di Dalla parte di lei; e non figurano racconti tra il 1949 e il 1952, quando l’autrice era a Washington al seguito del marito e poi a Cuba, a occuparsi della madre ammalata.
Ai racconti Alba de Céspedes ritorna tra il 1953 e il 1956, negli anni delle collaborazioni alla Gazzetta del Popolo, al Giornale di Sicilia e a La Stampa. Una parte di essi confluirà nella raccolta Invito a pranzo (1955), che avrà un’articolata vicenda editoriale e filologica per l’espunzione del racconto Prima e dopo (1955), pubblicato separatamente, e per la revisione costante e puntuale dei testi e della lingua. La scrittura di Alba de Céspedes presenta un costante lavoro di rifinitura, cui l’autrice si dedica per ottenere uno stile nitido, correggendo e rielaborando. Cifre stilistiche sono il costrutto avversativo, che introduce l’alternativa tra due distinte modalità comportamentali dei personaggi; l’indagine psicologica, che si avvale anche dell’esperienza autobiografica; la lingua precisa ed efficace, della quale padroneggia il lessico descrittivo e la sintassi.
Dalla corrispondenza con l’editore Mondadori, si evince che la selezione dei testi fu curata da lei stessa: “Non desidero date in calce ai racconti. Anche perché, come vedi, non ho seguito un ordine cronologico: molti racconti sarebbero stati avvicinati ad altri simili, dello stesso ambiente; oppure tutti i corti venivano di seguito, ecc. Spiegherò tutto questo in un’avvertenza di poche righe che metteremo in calce o all’inizio del volume…”. Alla fine, Invito a pranzo includerà alcuni racconti degli anni Trenta, accostati per affinità di temi ad altri degli anni Cinquanta, e ne lascerà fuori altri dodici successivi, pubblicati da La Stampa (tranne La bicicletta rossa), significativi per la costruzione narrativa, l’indagine psicologica sui personaggi e la proiezione del materiale d’ispirazione, annidato nelle pagine di altre opere e della vita dell’autrice, tra i suoi diari e il suo vissuto.
Così, è il disincanto sul modello familiare borghese a tornare in Ottantadue ore (1955) e Per grazia ricevuta (1956): nel primo, un marito vorrebbe invano affrancarsi dalla morsa della moglie, cui consegna ogni mese lo stipendio, senza essere più padrone né del denaro, né del proprio tempo, investito solo nel lavoro; nel secondo, a volersi emancipare dalla stretta della famiglia è un figlio, che desidera vivere in centro, lontano dalla vita umile dei genitori. Un disincanto diverso, attinto alla lettura di Pirandello e Maupassant, tra il reale e l’inverosimile, rivive in Il vestito a pallini (1955), dove un abito può preludere all’infedeltà coniugale; in Un fatale errore (1955), dove le lettere d’amore alle donne di una comunità possono far ricadere sul loro anonimo autore la collera anziché la simpatia delle destinatarie; e infine in Scalo a Nizza (1956), dove la prossimità occasionale di un sacerdote e una suora, bloccati da uno scalo aereo, può innescare la fantasia della scrittrice verso sensibilità umanissime, irrealizzate.
Diversamente, le trame di Due amiche (1955) e di Gli addii (1955) mostrano di avere partecipato all’officina editoriale di Prima e dopo: il primo, per le concordanze nel raffronto delle due amiche ai personaggi di Irene e Adriana; il secondo, per quelle nel motore dei dialoghi tra Elsa e Maurizio, alter ego di Irene e Pietro, malgrado il diverso epilogo. Infatti, anche se i protagonisti del romanzo torneranno insieme, le parole di Elsa sono quelli di Irene. L’essere donna è un moltiplicatore di distanza da Maurizio e dalla superficialità di attribuire il disamore alla guerra: “Pareva citasse un proverbio; ne parlava sempre così quasi fosse un fenomeno meteorologico, estraneo alla volontà degli uomini, e non un male generato dalla nostra stessa natura”; ma anche una peculiarità per affrontare con coraggio i sentimenti: “Ho idea che comincino sempre così le cose che, in un modo o nell’altro, un giorno debbono incominciare. Anche l’amore, no? Dici “ti amo” perché d’un tratto ti accorgi che non ci sono altre parole se non quelle”.
Infine, sono riconducibili all’esperienza autobiografica di De Céspedes Melampo (1955), dedicato alla scomparsa del suo cane, compagno delle notti di lavoro; Benigno (1955), il protagonista custode della casa di famiglia a Cuba; Fine di giornata (1956) e infine I complici della pazzia (1956), sullo sfondo del dolore per la madre, caduta nella nevrosi e nell’isolamento dalla realtà dopo la morte del marito.
Una traccia costante immette dunque in un flusso narrativo coerente questa serie di racconti, per i quali non può che rinnovarsi il pieno diritto all’ingresso nel canone letterario, contro il pregiudizio della scrittura “al femminile”, che ha relegato De Céspedes e altre ai margini della memoria condivisa dai lettori e dai critici. Del resto, è la stessa autrice a difendere il proprio lavoro ancora dalle pagine di Epoca nel 1952: “Colpisce la parzialità con la quale anche nel campo dell’arte viene giudicato il lavoro dell’uomo e quello della donna: infatti, se uno scrittore, in tutta la sua opera, crea soltanto personaggi maschili, nessuno pensa ad accusarlo, né crede che per questo la sua impresa sia stata più facile; mentre quando una donna crea, di preferenza personaggi femminili, se ne approfitta per sminuire i suoi meriti. Al contrario, se fosse vero ciò che si ripete frequentemente, e cioè che il carattere degli uomini è intero, solido, e quello delle donne mutevole e vago, dovrebbe essere più difficile rappresentare quest’ultimo in tutti i suoi vari aspetti, in tutte le sue verità. In realtà, chiunque scrive sa bene che un personaggio, maschile o femminile che esso sia, se è artisticamente riuscito, costa alle donne e agli uomini lo stesso sforzo. (…) Così oggi nessuno penserebbe di sminuire il valore di Cristo si è fermato ad Eboli di Carlo Levi, de L’età breve di Corrado Alvaro, …e di tutti i romanzi che narrano episodi di guerra o di lotta clandestina, solo perché essi sono stati scritti in forma autobiografica e rispecchiano esperienze personali. Davvero io non riesco a capire perché anche in questo campo alle donne dovrebbe essere negato di fare ciò che gli uomini fanno continuamente.” Ed è ancora lei a rivendicare l’educazione sentimentale, sottesa alla letteratura e all’indagine psicologica, quale strumento nel romanzo, rispondendo a un lettore che nel 1957 le chiedeva se l’amore rendesse un essere umano più forte o più debole. “L’amore ci rende più forti poiché ci dà la misura più alta di tutte le nostre capacità, dalle quali però non possiamo profittare, giacché inevitabilmente abbiamo la debolezza di affidare ad altri che a noi stessi il compito di renderci felici”.
Riferimenti bibliografici:
· Alba de Cespedes, L’anima degli altri, Cliquot 2023
· Alba de Cespedes, Fuga, Mondadori 1940
· Alba de Cespedes, Invito a pranzo, Cliquot 2024
· Alba de Cespedes, Cosa leggere a ottant’anni, Henry Beyle 2019
· Dalla parte della ragione. Appunti di vita italiana, Alba de Cespedes risponde ai lettori di Epoca (1952-58), Xedizioni 2015
· Marina Zancan, Scrittrici e intellettuali del Novecento. Alba de Cespedes, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, 2001
· Antonia Varone, Tante cose da dire e da scrivere. Alba de Cespedes e il laboratorio creativo di Prima e dopo (Pacini, 2019)
· Elisa Merlo, La biblioteca di Alba de Cespedes, in La fabbrica del libro. Bollettino di storia dell’editoria in Italia, anno X n.2/2024
· Annalisa Andreoni, Due amiche e altri racconti. Alba de Cespedes narratrice per “La Stampa” (1954-56) in Oblio 50, dicembre 2024