Compleanni telescopici, le cui immagini si inseriscono scorrendo l’una dentro l’altra.

Nel 1981 ho 6 anni e sono un disinvolto divo per il Super8 che sfarfalla sui visi di una tribù di vecchi. Io e mio fratello siamo arrivati da poco da un’altra dimensione e soffiamo incerti su due distinte torte preparate da mia madre. Nel salotto un piccolo robot si muove da solo. Lo guardiamo come la tribù di vecchi guarda noi.

Nel 1987 il primo sorso di caffè. Forse quell’ombra sul labbro superiore che si vede in foto l’ha lasciata il bordo della tazzina. Lo zio Paolo e la zia Licia vengono a fare gli auguri e poi, a sorpresa, ci portano a Chiaramonte Gulfi, per il carnevale. Sono così contento di essere ancora un bambino.

Il 1989 è l’anno in cui Natalia, Giampiero ed Emanuela vengono fino a casa a visitare il mio spleen adolescenziale. Mi portano una cravatta con dei maialini, In questo mondo di ladri di Venditti, un invito a uscire. Ma il regalo più bello è imparare l’amicizia.

Nel 1992 il primo compleanno lontano dalla famiglia. Tutta la mia prima liceo ha vinto, per una fortuna mai chiarita, una settimana bianca a Sappada. Quando sto per soffiare sulla torta da pasticceria (mia mamma mi ha dato i soldi apposta) sento una TV in sottofondo che racconta una vicenda di tangenti al Pio Albergo Trivulzio, con dei soldi nascosti nel water. Ma con una storia così, con dei nomi così, con quell’età così: come fai a non ridere?

È il 1995: perché con Laura non ci sentiamo da così tanti giorni? Io ho la febbre, ma la telefonata per gli auguri arriva: “Mai più per così tanto tempo lontani l’uno dall’altra”. Quella promessa l’ho mantenuta.

Nel 2005, trent’anni: è un grande giorno per la scienza. Scopro al telescopio appena tolto dalla confezione regalo la Grande Nebulosa d’Orione. Sembra un lampo, un neon, un’insegna di bottega. O forse un compleanno in mezzo ad altri trenta.

Nel 2011 ricevo il primo regalo da mio figlio. 6 ore di fila di sonno, dopo 40 giorni.

Nel 2015 i 40 anni in un appropriato martedì di temporale a cui opponiamo i vestiti in maschera. È l’età in cui i cartoni animati di quando eri piccolo diventano, quasi per diritto divino, i più belli di sempre. Conosco il sapore della Girella, del Biancorì, del Mars, della Brooklyn e della Ciappazzi Cola. Quando gli amici più giovani citano il rigore di Grosso, aspetto il momento opportuno per sbalordirli con un racconto che comincia con “C’era una volta un allenatore con la pipa vestito in principe di Galles, un portiere quarantenne, un difensore nato in Libia, un brasiliano di Nettuno e un attaccante che non segnava mai che giocavano contro la squadra più forte del mondo, in uno stadio che oggi non c’è più….”. Se mi guardo intorno vedo che i miei coetanei sono Raffaello Balzo, Mara Carfagna, Matteo Renzi, Andrea Agnelli, Matteo Salvini, Alessandro Siani, Asia Argento, Pippo Civati. Insomma avrei potuto fare una brutta fine.

Nel 2016 sono in una piccola birreria di Caserta dopo una giornata di lavoro, con colleghi che vengono da tutta Italia. Uno di loro ha una chitarra e la voce per farne qualcosa di buono. Un gruppo di sfaccendati ai tavoli ci nota. Ci mettono in mezzo: “Maestro facite Tamurriata nera…” “Non sappiamo le parole…” “E voi basta ca facite uè e sè, il resto lo cantiamo noi“.
Sul tavolo c’è il nome di Davide Ancillotto graffiato con una chiave sul legno. Aveva la mia stesa età e nella magnifica Caserta del basket anni ’90 iniziò una carriera per cui lo invidiavo. È morto a 23 anni accasciandosi sul parquet e oggi è lui che mi invidia la vita. Certo, arriva pure De André con i fantasmi del Sand Creek e un Dalla erotico stomp. Gli sfaccendati richiedono il bis: “Maestro facite Tamurriata nera“. “Le parole…
È passata mezzanotte, l’ora di tutti gli spiriti: “Tamurriata nera, maestro “. Ci può soccorrere solo Pino Daniele: “Je so’ pazzo” e le canaglie smettono di scassarci le rime. Nessuno pensa a quanti morti stiamo riportando in vita. In fondo ci fanno compagnia pure loro. Ci salutiamo come fossimo amici da cent’anni. E questo è il regalo del mio 41esimo compleanno.

Nel 2019 alla Diga di Santa Rosalia. Raccogliere asparagi, raccogliere i fiori, raccogliere le forze per raccogliere i bimbi sdraiati sul prato. 44 primavere dentro e una fuori. Ma se scrivessi un libro?

Nel 2025 ho vissuto lo stesso numero di giorni in un secolo che qualcuno aveva già risolto e in un altro che nessuno riesce a decifrare. Ma lievi mani di ragazze mi ricordano che tutti i miei compleanni piovono dall’alto, coriandoli di un breve carnevale.

5 commenti

    1. Cara Grazia, qua sono. Un abbraccio grande

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