
Poggioreale vecchia, più che una città fantasma, la definirei rediviva, in quanto è rimasta imbalsamata come la ridusse il terremoto del 15 gennaio 1968, che colpì la valle del Belice in provincia di Trapani. Successivamente non è mai stata rasa al suolo nonostante sia stata costruita la Poggioreale nuova, una gemella solo nel nome a pochi chilometri di distanza; ma è la Poggioreale vecchia che anima e far vivere seppur da moribonda, quella nuova che rischia, per altri motivi l’abbandono. Poggioreale vecchia è ancora lì, chiusa entro un recinto che tenta invano, di tener fuori i visitatori attratti dal macabro fascino delle rovine, mura che tentano di tenersi in piedi, piazze e vie invase da erbacce e animali randagi. Ha il fascino della vecchiaia, della sopravvissuta questa città: attrae registi e documentaristi, riecheggia la voce degli sfollati e delle vittime del terremoto anche oltreoceano, motiva la nascita di associazioni a sua tutela, si candida paradossalmente a diventare il traino turistico per tutta la valle del Belice.

Sfogliando giornali e pagine social si apprende che c’è un piano di un milione e 600 mila euro per il progetto di rigenerazione “Poggioreale: Vecchio e Nuovo Centro” (Belice news, febbraio 2025) con la priorità della messa in sicurezza degli edifici non crollati. Già l’amministrazione del 2011 aveva proclamato che la vecchia città sarebbe diventata “turismo di nicchia”, oggi il sindaco Carmelo Palermo sostiene che l’obiettivo deve essere quello di far diventare la Poggioreale Vecchia la “locomotiva del nuovo centro di Poggioreale e del Belice”, capace di promuovere in tutto il territorio cultura, bellezza ed economia, con interventi proiettati a invertire le attuali tendenze caratterizzate da “elementi di sfiducia e spopolamento”. Le iniziative dell’amministrazione per rianimare il paese spaziano a tutto campo: il comune di Poggioreale ha conferito la cittadinanza onoraria ad artisti e figli di emigrati che hanno fatto conoscere Poggioreale in tutto il mondo, ha indetto il Premio Nazionale di Poesia “Elimo”, ha aperto nel 2024 la campagna “Donazioni per il recupero della Città Antica di Poggioreale”, ha inoltre sostenuto il progetto per realizzare il Museo Archeologico di Poggioreale che avrà sede nei locali dell’ex scuola elementare ed ospiterà i reperti rinvenuti nelle diverse campagne di scavi, tenutesi negli anni scorsi nella vicina zona archeologica di Monte Castellazzo. Poggioreale antica è oggetto di studio e analisi da parte di storici e naturalisti che gli hanno dedicato numerosi documentari, mentre vari registi cinematografici l’hanno scelta come set delle riprese. Lo scorso anno ha avuto grande successo la proiezione del docufilm: Un viaggio per incontrare Mimì, con protagonista Giancarlo Giannini e la regia del catanese Alfredo Lo Piero. Prima di lui fu Giuseppe Tornatore a girare qui scene di Malena e L’uomo delle stelle.
Tutte queste iniziative, progetti e attenzioni sono dirette verso una città superstite, che chiede aiuto da decenni per essere almeno messa in sicurezza e di conservare memoria anche per la sua storia antica. La prima conferma dell’esistenza di un centro abitato arcaico si ebbe nel 1956 grazie a Vincenzo Tusa. Casualmente scoprì la Pietra di Poggioreale, epigrafe in dialetto dorico selinuntino con dedica a Eracle. (Balarm, marzo 2023). Ci sono poche tracce dei periodi storici successivi, mentre abbiamo documenti che testimoniano di un Podium Regale, fondato nel 1642 dal Marchese di Gibellina, Francesco Morso, che poi ebbe il titolo di Principe di Poggioreale. Il corso della storia di Poggioreale ha subito una frenata nel 1968, quando il sisma, seppur devastante, ha lasciato intatto l’intero piano urbano caratterizzato dalla forma a scacchiera, con strade delimitate dai muri perimetrali degli edifici non crollati. Dopo oltre cinquant’anni sono ancora rintracciabili le botteghe semidistrutte, le abitazioni con i propri ambienti di cui è possibile intuirne l’arredamento, la scuola in cui sono ancora presenti seggiole e banchi ridotti a pezzi. Camminando lungo i viali si vedono balconi rotti, persiane sfondate, tetti caduti, insegne ormai cancellate. Tutti i monumenti sono andati distrutti, ma sono ben riconoscibili le tracce inconfondibili del teatro comunale, del palazzo di città, della chiesa di Sant’Antonio e di quella Madre.

Ad un paio di chilometri dai ruderi sorge il paese nuovo, che è nato morto a causa dell’emigrazione accentuatasi subito dopo il sisma e che oggi appare moribondo anche a causa dello spopolamento; sembra in fin di vita perché appare senz’anima e infonde sconforto a chi lo visita. Poggioreale nuova seguì la sorte delle altre città del Belice (vedi Gibellina), fu ricostruita con tecniche urbanistiche all’avanguardia per gli anni ‘70, ampie strade e piazze larghe, strutture ampie e poi alcune opere firmate da famosi architetti: la piazza Elimo, realizzata da Paolo Portoghesi; la fermata dell’autobus e la Cappella di Sant’Antonio realizzate da Franco Purini. Fu progettato un modello urbanistico astratto, una città ideale, ma senza radici storico e sociali, infatti desta desolazione più di quella semidistrutta perché appare senz’anima. Fu costruita e poi abbandonata a se stessa, i 4 mila abitanti del 1968 oggi sono millecinquecento, solo gli anziani costudiscono la memoria e ricordano: “Siamo scappati da casa con le chiavi in tasca. Ci sono rimaste le chiavi di casa in tasca, ma la casa non c’era più”. La memoria è tenuta in vita anche dall’Associazione Poggioreale Antica presieduta da Giacinto Musso, che da decenni si impegna assiduamente per la messa in sicurezza e per la rinascita dell’antico borgo, con tanta caparbietà e costante impegno, perché la memoria è costruita da coloro che continuano a vivere quotidianamente la vecchia e la nuova Poggioreale, mentre i visitatori, gli artisti, i giornalisti, i documentaristi e i politici visitano, studiano, amministrano e poi se ne vanno.
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