Il 10 luglio del 1984, se non eravamo già al mare a bordo di un canotto, per me e mio fratello era un giorno come tanti altri, in cui vigeva il divieto di giocare fuori dal cortile condominiale. Un cancello arrugginito alto due metri, sempre aperto, ma custodito da un Super-Io col mitra puntato, era il limite delle nostre partite a pallone e di nascondini sempre mal riusciti.
Nella stessa data, almeno otto quotidiani della Repubblica Democratica Tedesca riportavano la notizia della visita di Bettino Craxi a Berlino Est. In tutti si può vedere la stessa foto di Honecker che indica cordialmente all’ospite il quasi completamento del Piano, l’eroismo dei lavoratori e la saggezza del partito. Lo strillo di ogni testata mostra gli invariabili termini Willkommen che significa Benvenuto, Offiziellem che significa Ufficiale e Besuch che è il nome che davano a Genova a chi votava per Craxi.
In questo modo inatteso e risonante, con l’espediente di riprodurre la vetrina di un’edicola, il Museo della DDR di Berlino mostra ai visitatori cosa era la libertà di stampa ad est, negli anni della Germania divisa.
Il resto delle sale di questo intrigante museo mostra, con qualche eccesso di teatralità, i numerosi aspetti legati alla vita quotidiana della popolazione di Berlino est e della Germania orientale in genere. Certo, c’è spazio per la STASI, le carceri, la dissennatezza dell’ideologia con tutto il suo armamentario di simboli e apparati. Ma più intriganti e vitali sono le letture tra le righe di tutti gli stratagemmi messi in atto dai cittadini per contrastare l’ortodossia e la paranoia che ne è l’istantaneo prodotto. Dai surrogati automobilistici (la mitica Trabant), alle pratiche del nudismo e del naturismo che il partito dovette accettare inglobandole in un concetto di uguaglianza socialista. Anche lo sport era da un lato motivo di orgoglio patriottico, soprattutto con i successi nell’atletica (ricordate quante atlete vincevano trattamenti ormonali gratuiti e medaglie olimpiche per la DDR?), ma anche fonte di dissenso. Alle partite dell’Union Berlino i tifosi aspettavano il momento delle punizioni per invitare il centravanti e la storia a calciare forte contro la barriera schierata dagli avversari: “Die Mauer muss weg” (il Muro deve cadere).
Un finto ascensore pieno di effetti speciali porta il visitatore nelle stanze di una tipica casa condominiale nella Berlino est degli anni ‘80. E lì mi è tornata in mente mia madre, la mia famiglia e i miei giorni da bambino.

Nella ricostruzione di quelle sale lievemente depresse, ma protette da un comfort di grado quasi animale (chissà nel socialismo, che mamme!) ho avvertito aria di famiglia. Non era la stessa di casa nostra quella carta da parati labirintica? E non assomigliava al nostro quel divano avvilito davanti a una TV con i colori troppo saturi, ma che prendeva anche i canali proibiti (ah la biondina di Colpo Grosso!)? E le tribune elettorali e i giornalisti capelloni, ma con cravatte grigie e i mobili costruiti in serie e i tavolini bassi col divieto di poggiarci i piedi? Quanto erano vicini alla mia infanzia quei prodotti alimentari di sottomarche e gli armadi pieni di abiti dei cugini più grandi? Mancava solo che partisse come colonna sonora la sarabanda dell’Almanacco del giorno dopo. Non eravamo anche noi bambini provinciali del 1984 esclusi, ma protetti? Prigionieri, ma confortati? Forse è proprio analizzando questo stato d’animo che è nato in Germania il delizioso termine Ostalgie, che àncora solidamente la nostalgia a un punto cardinale che nessuna bussola indica più. E come si chiama allora l’analogo mal d’africa isolano?
Certo è che avere 9 anni a Ragusa a metà anni ‘80, in una famiglia con un solo stipendio, non doveva essere molto diverso da averne 40 a Berlino est. O così mi è parso.
Ma poi, come una lanciatrice del peso della DDR, mi erano spuntati i peli sulle gambe, Reagan e Gorbaciov si erano dati la mano, i missili si erano progressivamente diradati a Comiso, il Muro a Berlino era stato tirato giù, Craxi aveva perso il referendum e preso il diabete e le compagne della terza media cominciavano a svelare morbidi aspetti interessanti, che pungevano una curiosità nuova un palmo sotto l’ombelico. E alla fine anche io e mio fratello potemmo uscire dal cortile e andarci a mangiare la pizza al Ristorante Pizzeria La Valle, lanciati 500 metri oltre il cancello, verso le più fantastiche mete, da raggiungere entro le 22 di ogni sabato sera, a Ragusa ovest.

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