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Les fiancés

Giuseppe Cusumano 14 luglio 2024


Me ne stavo in piedi, davanti al borbottio muto del mio professore di arte intento a osservare il mio disegno, quasi fosse un pezzo di carta imbrattato e indecifrabile. Occhiali scivolati fin sulla punta del naso, e quell’aria che soleva essere severa a tutti i costi, forzosamente burbera direi. Quegli attimi di silenzio nell’attesa della sua pronuncia, però, avevano la singolare capacità di sospendere respiri e brusio in una classe - la nostra, di prima media maschile - con una spiccata propensione a tutto fuorché all’arte.
Avevo seguito (ed eseguito su carta, coi miei incerti mezzi) una visione della domenica precedente, quella di un ragazzo che sospingeva in spiaggia, con scherzosa ostinazione, una sedia a rotelle fino alla battigia, senza avvertire né grecale né sabbia né rincorsa di nuvole. E i lunghi capelli, davanti a lui, che si imbizzarrivano ad ogni folata, castani e sottili dallo schienale di quel marchingegno metallico, disegnando la direzione di quel vento, immaginavo fossero quelli della sua fidanzata. Per un tratto, scoscendendo da una duna irsuta, mi era sembrato si stessero quasi ribaltando entrambi, poi nel fragore delle loro risate, lui aveva colto un gambo con una strana infiorescenza rossastra accanto a una barca capovolta, uno di quei doni colorati ed inattesi della nostra macchia mediterranea.
All’improvviso, da dietro l’ansa pietrosa erano apparsi - nella controluce fosca - dei cavalli, cinque o sei, non di più, laddove un anziano e il nipotino provavano a far levare un aquilone di plastica. Ed io lì, allo stravento di un muro scrostato dal salmastro, con in mano la mia armonica nuova. Il ragazzo, nel frattempo, si era accovacciato ai piedi della sedia a rotelle, e quelle loro risate adesso erano diventate: soffio di poesia.

Ecco, tutto questo da far entrare, con dei pastelli e matite colorate, con tanta fantasia e troppa approssimazione, dentro a un foglio da disegno. Argomento: “Paesaggio marino”. Sottotitolo del prof: “Mi raccomando, non strofinate colori per imbrattare un cielo e un mare qualsiasi!”. E ora me ne stavo lì, ad attendere il solito giudizio brusco e arguto, inappellabile!, una sorta di critica impietosa dentro alla quale mi toccava di volta in volta rovistare nel tentativo di reperire qualcosa di non-negativo.
Non mi dispiace affatto – riuscì infine a bofonchiare, togliendosi gli occhiali e fissandomi di traverso – originale e visionario. Ma delle due l’una: o non hai affatto il senso delle proporzioni, oppure sei il novello Marc Chagall!”. E mi segnò un 6+ sul retro del disegno.

Non capii.

E allora, non appena messo piede a casa e risposto alle domande post-scolastiche dei miei, ero andato dritto dritto fino allo studio di mio padre, in fondo al corridoio a sinistra. Avevo tirato fuori il volume della Treccani, dapprima alla lettera ‘S’, senza trovare nulla: poi avevo avuto una intuizione, prima di mettermi a letto, dopo cena. E alla lettera ‘C’ lo avevo finalmente trovato.
Marc Chagall. Pittore russo, naturalizzato francese. Giusto tre foto dei suoi dipinti. Tanto per farmi una mia prima idea.

<< Erano galline capovolte e capre abnormi e dissolvenza di cavalli blu sotto lune appartate in angoli di cieli ferroviari e di stelle fiorite
dove giganteggia l’ombra della torre Eiffel sullo sfondo d’un violoncellista trasparente impigliato tra rami di una quercia
con due fidanzati volanti in un bacio surreale, lei con in mano un bouquet di fiori di campo e lui a fluttuarle intorno
e tappeti sopra cupole ortodosse con un fiabesco suonatore di flauto in cappello verde e un angelo a penzoloni con le ali aperte
sopra barlumi colorati d’un notturno equino a pois >>

Chiostro del Bramante, a Roma. Mostra di Chagall. Anni dopo, almeno quattro decenni.
Ho scritto questo appunto di getto, davanti a una sequenza di opere, “Les fiancés”, da seduto.
Il tempo si è fermato, e davanti alle tele sfuma, indistinto, un mondo di silenziosa contemplazione. Poi, accanto a me, percepisco un sorriso trattenuto, e lo scambio di bisbiglii sommessi.
Lui è un ragazzo con gli occhi luccicanti, i capelli leggermente arruffati e le maniche della camicia scura arrotolate con falsa cura appena sotto i gomiti. Si è chinato appena accanto al viso di lei, capelli lunghi sopra le clavicole, sguardo di opale e pantaloni di lino, seduta su una sedia a rotelle, e le ha estorto uno sbuffo divertito prima di un bacio in avvitamento.
Davanti a loro il quadro che si intitola la passeggiata, “Promenade”, quello in cui il pittore passeggia in abito scuro e camicia bianca tenendo per mano la sua Bella, vestita d’un etereo viola, in volo sopra Vitebsk. 

Giuseppe Cusumano

Giuseppe Cusumano è nato nel 1968 in un paesino del Polesine che oggi non esiste più, da genitori etnei di Militello in Val di Catania. Vive a Ragusa da oltre 40 anni e scrive quasi da sempre, da mancino corretto: ama la musica, nuota e si diletta di fotografia, ha praticato calcio e arti marziali, si nutre di libri, di natura e di umanità.
Risulta curioso, poco ortodosso, distrattamente attento, dotato di ottima memoria - e anche per questo dicono soffra di ‘retrotopia’.
Di professione Malaùssene, da nove anni coordina un Progetto di volontariato (nato in Ambasciata e radicato presso la missione di Kitanewa) per la costruzione di scuole di ogni ordine e grado nella regione di Iringa, in Tanzania, e continua a farsi correggere i compiti dalla sua prof di lettere.
Ha pubblicato diversi racconti e articoli, un diario di viaggio africano (Quaderni tanzani, OperaIncerta Editore), un romanzo (La terza banca, La Zisa Ed., recensito su Repubblica), e incredibilmente una raccolta di poesie (Minimalia, Libro Italiano World Ed.).
Saltuariamente ha scritto su un blog, ma non è cosa sua.
In compenso, a breve pubblicherà il suo nuovo romanzo, ambientato in Africa, dal titolo Agli elefanti invece sì, editore cercasi.

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