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«Il castello d’amore» di Scott e Zelda

Petula Brafa 14 luglio 2024


Quando nel 1917 Francis Scott Fitzgerald (1896-1940) lascia gli studi a Princeton e si arruola nell’esercito, è un giovane ambizioso, che aspira al successo letterario e all’agiatezza, e ancora non sa che un altro sogno sta per entrare nella sua vita. Assegnato a Camp Sheridan in Alabama, in attesa di partire per combattere in Europa, una sera di luglio del 1918, si ritrova in divisa da sottoufficiale di fanteria a un ballo dell’alta società al Country Club di Montgomery, e la sua attenzione è catturata da una bella ragazza, aggraziata, civettuola e brillante, tanto da essere tra le più corteggiate in città.
È Zelda Sayre (1900-1948), figlia di un giudice e ultima di quattro sorelle, le altre già sposate, e tutto quello che vuole è «essere sempre molto giovane e molto irresponsabile e sentire che la mia vita mi appartiene, vivere ed essere felice e morire a modo mio, fare come piace a me», come rivelerà di sé in una lettera dell'autunno del 1919. La stagione tragica della guerra sospende il tempo al corso degli eventi e insinua un’aria di romanticismo sulla serata, sul corteggiamento da parte degli ufficiali e sull’attesa del ventiquattro luglio, data del suo compleanno.
Ventunenne lui, quasi diciottenne lei, Scott e Zelda avviano da quella sera una fitta corrispondenza epistolare, che consente di ricostruire le radici della loro intensa unione e dell’ispirazione realistica dei rispettivi romanzi - Di qua dal paradiso (1920), Belli e dannati (1922), Il grande Gatsby (1925), Tenera è la notte (1934), Gli ultimi fuochi (1941), e Lasciami l’ultimo Valzer (1932), l’unico di Zelda - nei quali la vita diventa letteratura. Nessun’altra può rapirgli il cuore, sul suo zibaldone scrive di essere innamorato e, alla pagina del ventiquattro settembre, pone il sigillo al bilancio dei suoi ventidue anni: «Un anno di enorme importanza. Lavoro e Zelda». La concorrenza dei pretendenti è spietata: mentre gli avieri sorvolano casa Sayre, per sorprendere e stupire la ragazza con le loro acrobazie, anche regalandole le rispettive mostrine, Scott compete vantandosi che si affermerà come grande scrittore.
Le lettere dal 1918 al 1920, anno delle nozze, raccontano l’affetto tra due giovani, ma soprattutto l’ambizione di lui e l’istinto vitale di lei, accomunati dall’impulsività sentimentale, che li rende avidi l’uno dell’altra. Quelle di Fitzgerald sono andate perdute; di quel biennio restano i suoi dodici telegrammi, incollati da Zelda in un taccuino, e quelle di lei, poetiche, ricche di metafore e pervase da una femminilità estrema e da una «fragilità tutta rosa», fatta di promesse, attese e ringraziamenti per i regali, nel timore di perderla: l’anello della madre, un ventaglio di piume magenta «color fenicottero», un golf, un orologio di platino e diamanti.
«Questo mondo è un gioco, e finché mi sento sicuro di te, Amore, tutto è possibile. Sono nella terra dell’ambizione e del successo e la mia sola speranza e fiducia è che il mio cuore adorato sarà presto con me» – le scrive da New York nel telegramma del febbraio 1919, ormai in congedo dall’esercito e impiegato presso l’agenzia pubblicitaria Barron Collier, mentre vive il fallimento dei propri esperimenti letterari.  Le sue condizioni economiche non sono floride, ha pubblicato solo un racconto, e la sua angoscia contrasta con la vitalità di Zelda, che continua a condurre vita di società tra balli e feste. Di fronte alla sua gelosia, gli confessa tutto il proprio amore: «Non capisco come fai ad andartene in giro portandoti addosso tutto l’amore che ti ho dato» (marzo 2019); e lo accusa di essere tormentato: «La tua mente si fissa su cose che non rendono felici» (giugno 1919). Ma non basta a rassicurarlo. La ragazza intrattiene una corrispondenza con l’ennesimo corteggiatore e, per errore, spedisce a Scott la lettera indirizzata all’altro. È il giugno 1919, e la scoperta lo fa precipitare a Montgomery per spiegazioni: lei rifiuta la sua proposta di matrimonio - anche perché non si era ancora affermato, raccontano i biografi - e rompe il fidanzamento.
È lo spartiacque tra il prima e il dopo. Fitzgerald torna a New York e nel luglio 1919 lascia il lavoro, deciso a concentrarsi unicamente sulla scrittura e sul manoscritto del romanzo The Romantic Egotist, finora rifiutato. Tuttavia successo letterario e amore sono per lui due conquiste parallele, e in settembre scrive ancora a Zelda. La raggiunge a Montgomery, i dissidi sembrano superati e i due si fidanzano di nuovo: i Sayre insistono per un uomo con maggiore stabilità economica, ma lei vuole sposarlo, come si ricava dalle lettere: «Tutto il fuoco e la dolcezza, l’energia emotiva di cui siamo capaci sta crescendo, crescono e proprio perché anche l’equilibrio e la saggezza crescono e noi stiamo costruendo il nostro castello d’amore su solide fondamenta» (autunno 2019).
Mentre il suo primo romanzo assume nuovo aspetto - con il sostegno di Maxwell Perkins presso la casa editrice Scribner, figura importante come più avanti l’agente letterario Harold Ober, artefice del successo economico de Il grande Gatsby - Fitzgerald lavora ad altri progetti e ne scrive a Zelda. Vende due racconti al Saturday Evening Post in gennaio e, un mese dopo, i diritti cinematografici di Head and shoulders. La fama stavolta è dietro l’angolo: dal telegramma del 28 marzo 1920 sappiamo che il romanzo è stato pubblicato con il nuovo titolo Di qua dal Paradiso, e Fitzgerald sarà così grato nel tempo a Perkins da presentargli una serie di promettenti autori ancora poco conosciuti, quali Gertrude Stein, Ring Lardner, Ernest Hemingway, Erskine Caldwell, Franz Kafka, John Peale Bishop. La prima edizione viene esaurita in due giorni, mentre si concludono i preparativi per il matrimonio, che sarà celebrato il 3 aprile 1920.
La coppia diventa il simbolo degli Anni Ruggenti - la stagione di dinamismo economico e culturale tra la fine della prima guerra mondiale e la grande depressione del 1929 - tra lusso, viaggi, feste ed eccessi che, nel tentativo di confrontarsi con la dimensione sfuggente delle cose, con la potenza del possibile contro la logica del reale, alimenteranno il materiale autobiografico dei romanzi e dei numerosi racconti di Fitzgerald.
Tra questi, i Racconti dell’età del jazz (1922) ritraggono lo scintillio di uomini eleganti e bellissime donne, e il vago pessimismo di una società permeata da differenze sociali, quando il ballo dei bianchi era la musica dei neri, con un esercizio di lingua e scrittura di preludio ai romanzi successivi. Di questa raccolta fa parte Il curioso caso di Benjamin Button, incentrato sul topos della vita vissuta all'indietro, secondo un’idea suggerita all’autore da Mark Twain, rintracciabile anche nella Storia di Pipino nato vecchio e morto bambino (1911) di Giulio Gianelli, poeta crepuscolare e scrittore di racconti per ragazzi, di cui Fitzgerald avrebbe potuto avere notizia durante il viaggio in Europa del 1921.
Fantastico e visionario, stravagante e grottesco, il racconto ha come protagonista un uomo nato anziano, la cui vita si assottiglia con il ringiovanimento fino all’aspetto neonatale; e il tema ispiratore appare il sentimento del tempo, nell’impossibilità di incrociare come atto compiuto, se non brevemente, l’illusoria felicità. Infatti, dall’insorgenza all’esaurimento di volontà e desideri, tutte le emozioni attraversano la dimensione cronologica, rivelandosi mutevoli e varie nell’arco della vita, in cui amore e morte, istinto e distruzione convergono nella medesima unità. Si tratta di una riflessione ricca di spunti, che ha ispirato altre soluzioni artistiche: così per C’era due volte il barone Lamberto (1978) di Gianni Rodari, un classico della letteratura per ragazzi, in cui l’invenzione surrealista intesse la trama brillante di un giallo senza cadavere e assassino; così per la trasposizione cinematografica del racconto (2008), con regia di David Fincher e sceneggiatura di Eric Roth, interpretata da Brad Pitt e Cate Blanchett, dove la costruzione drammaturgica è incentrata sulle congiunture che consentono ai due protagonisti di esplorare uno la vita dell’altro fino a innamorarsi, perdersi e – forse – ritrovarsi nel Tempo dell’Universo.
Se il Barone Lamberto di Rodari, tenuto in vita dall’interpretazione letterale della massima di un santone egiziano, è tentato dal fidanzarsi con Delfina, la più graziosa tra gli incaricati a ripeterne il nome in soffitta, invece nel racconto di Fitzgerald del 1922 incontriamo un vero e proprio fidanzamento: il protagonista sposa una donna che assisterà al suo ringiovanimento odiandolo al pari del figlio, imbarazzato dalla stranezza del caso. È una destrutturazione dell’amore, che, alla luce del fatto che Scott e Zelda consumarono in un’unica fiamma le proprie esistenze, all’epoca della pubblicazione appare come una profezia.
 L’idillio si infranse nel 1930, senza che fosse il sentimento a dividerli, piuttosto l’angoscia esistenziale della malattia, l’alcolismo per l’uno, la schizofrenia per l’altra, portandoli all’autodistruzione, seppure senza reciproche responsabilità, come ha tramandato la figlia. Non fu Fitzgerald a condurre Zelda alla follia, né ci fu competizione tra loro, anche quando nel pieno della lavorazione delle versioni di Tenera è la notte, Zelda consegnò al suo agente letterario il proprio romanzo, scatenando l’ira del marito, per aver usato lo stesso materiale autobiografico attinto al viaggio in Europa; nonché il nome di uno dei personaggi di Di qua dal Paradiso, rischiando di coprirlo di ridicolo e rovinarlo finanziariamente. Le parti coincidenti furono eliminate, e addirittura lui la aiutò nella revisione dell’opera, organizzò la pubblicazione di suoi articoli e una mostra dei suoi quadri.
Il successo di Fitzgerald non era più un fatto letterario, ma una necessità economica per sostenere l’alto tenore di vita e le cure mediche della moglie. In queste condizioni, il mal di vivere dietro l’alcolismo non poteva che essere il senso di perdita e fallimento, che Scott si portava addosso da sempre. Da bambino, aveva sognato di essere un orfano di sangue reale, da ragazzo era stato detestato dai compagni, all’università non era riuscito a conquistare un ruolo nei club studenteschi, da ufficiale non era partito per la guerra, e anche a fianco di Zelda come scrittore di successo vedeva l’ombra del fallimento inseguirlo, il ricordo delle opere rifiutate dagli editori. Le ambizioni si spostavano sotto i suoi occhi, come un inafferrabile raggio di sole, e il senso di sconfitta generava la malinconia e l’incrinatura del dolore per le cose perdute, incluso l’amore del primissimo istante.
Agli amici, che a poche settimane dalle nozze gli avevano sconsigliato di sposarla, Fitzgerald aveva scritto: «Nessuna personalità forte come quella di Zelda potrebbe mai andare esente da critiche…l’ho sempre saputo, ma mi sono innamorato del suo coraggio e del suo ardente rispetto di sé, e sono queste le cose in cui continuerei a credere anche se il mondo intero si lasciasse andare a feroci sospetti sul suo conto. Ma naturalmente la vera ragione …è che l’amo e questo è il principio e la fine di tutto».

Riferimenti bibliografici

Petula Brafa

Pubblicista, laurea in Lettere e tesi sulla scrittrice Alba De Cespedes, e romana dal primo amore per le sue pagine nelle vie del quartiere Prati, maturato nell'andirivieni tra Roma, Catania e un borgo di mare ragusano. Ho collaborato negli anni con giornali e blog, agenzie di servizi editoriali e riviste letterarie. Credo nella letteratura e nella conoscenza umanistica, nel potere della parola e delle parole.

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