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Una “strana” storia d’amore

Antonio Barone 14 luglio 2024


Quella che sto per raccontarvi è una “strana” storia d’amore che ha come protagonista Nino, uno che con le donne era stato sempre un po’ imbranato, e con l’amore poche volte nella vita aveva imboccato la strada giusta.
Per Nino era stato uno di quegli incontri inaspettati nella vita. Uno di quegli incontri che aveva aperto una finestra nella sua esistenza, a volte, monotona, grigia; in una quotidianità a tratti soffocante. E si era accorto, ad un tratto, come una persona, con un volto, due occhi, due mani, un cuore come i suoi, potesse riuscire a fargli provare nuovamente che “era vivo”; che poteva di nuovo amare; che nel mondo c’era anche lui.
E pensare che a farli incontrare erano stati i libri. Quei fogli pieni di lettere, di segni che diventano parole, suoni, sogni, lacrime, sorrisi, non appena la tua mente e il tuo cuore li divorano come per nutrirsene.
L’aveva vista per la prima volta in una calda, strana mattinata d’ottobre. Aspettava di entrare in classe, cercando di far quadrare, ancora una volta, ciò che avrebbe detto ai suoi studenti con quello che è parte della sua e della loro vita. Ma non sempre ci riusciva.
La prima cosa che aveva notato in lei erano state le mani piccole, con le dita magre e levigate che avevano dato invece una stretta di mano decisa, avvolgente. L’aveva interpretata come segno di grande temperamento non appena gli occhi erano andati sulla sua fronte aperta, spaziosa, sui suoi occhi scuri, sempre mobili ed attenti. Le sue labbra carnose gli avevano offerto parole come ovattate che si perdevano nell’aria, procurandogli una sensazione piacevole, inusitata.
Poi il suo sguardo si era posato sul sottile filo di perle che faceva bella mostra di sé dalla scollatura della camicia di un bianco accecante. Per un attimo avrebbe voluto infilare la mano nella scollatura della camicetta e sentire scorrere tra le dita quelle piccolissime perle come i fili d’erba che in primavera, da ragazzo, aveva accarezzato senza alcuna malizia.
Aveva allontanato immediatamente quel pensiero, catturato dalla sua voce che avrebbe convinto anche il più ostinato ascoltatore della validità della sua idea: fare incontrare gli studenti del liceo con alcuni scrittori contemporanei, “d’avanguardia”.
L’idea gli era piaciuta subito e aveva accettato così di collaborare al quel progetto. Le aveva dato il proprio contatto telefonico e l’aveva salutata per andare in classe. Il silenzio dopo quel primo incontro era durato quasi due settimane. Silenzio che aveva interpretato come una mancata riuscita del progetto, e per lui come il tempo necessario per dimenticarsi di lei.
Un pomeriggio indolente di fine ottobre, invece, aveva ricevuto la sua chiamata. L’aveva riconosciuta subito dal suono della voce, ugualmente calda, ugualmente ovattata, nonostante venisse filtrata dall’apparecchio telefonico. Si era scusata subito per quel lungo silenzio e gli aveva detto che ci sarebbero rivisti l’indomani a scuola per avviare la fase operativa del progetto.
Dopo la telefonata Nino aveva riflettuto sul fatto che non era stato attento a quanto aveva detto ma alle modulazioni della sua voce, a come le parole fossero arrivate al suo orecchio, procurandogli un piacevole senso di smarrimento. Si era sforzato, inoltre, di riportare alla mente i lineamenti del suo volto, il profilo degli occhi, ma tutto gli appariva sfocato, come una foto ingiallita dal tempo, come un bel paesaggio visto per pochi istanti da un treno in corsa.
La rivide con piacere. Dopo la scuola erano andati in un bar del centro a prendere qualcosa da bere, per definire nel frattempo alcuni aspetti organizzativi del progetto. Aveva notato che, mentre parlava davanti al suo caffè, aveva infilato il dito sottile dentro la bustina dello zucchero lasciata mezza piena. Lo aveva tirato fuori col polpastrello ricoperto di minuscoli granelli di zucchero.
Avrebbe voluto essere una formica per arrampicarsi sino alla punta del dito e nutrirsi di ogni singolo granello di zucchero e prolungare quella strana sensazione di piacere che stava provando in quell’istante. Ma, quasi senza accorgersene, il dito era stato portato velocemente tra le labbra, uscendone, altrettanto velocemente, ormai privo del suo “tesoro”.
Altro periodo di silenzio. Stavolta, però, Nino non era riuscito a dimenticarla. Anzi gli capitava di pensare a lei durante le sue giornate, oppure svegliarsi la notte pensando a lei.
Altra sua telefonata. Aveva deciso di prendere lui l’iniziativa e l’aveva invitata al cinema per quella sera. Aveva accettato l’invito senza esitazioni, almeno così gli era sembrato dalla sua risposta. Aveva voluto che Nino non passasse a prenderla a casa ma si sarebbero visti davanti al cinema all’ora stabilita.
Salutandola aveva notato che era passata dal formale, freddo “lei” dei primi incontri al “tu” più confidenziale e spontaneo. La cosa naturalmente gli aveva fatto piacere. Molto. La serata era trascorsa piacevolmente anche dopo la visione del film.
Avevano parlato tutta la serata come due amici che si conoscono da molti anni. E la loro differenza di età sembrava non influire in quel rapporto ancora così acerbo ma già così intenso. Si erano lasciati che era notte fonda. Aveva fatto la strada per rientrare a casa pensando ad ogni momento, ad ogni parola, ad ogni gesto di quella serata. Ed ogni volta si ripeteva (o si illudeva?) di aver conosciuto una persona “speciale”, di grande sensibilità, capace di fargli provare emozioni da tempo sopite.
Sapeva anche che tutto questo gli avrebbe potuto procurare inquietudine, sofferenza, “pena d’amore” al suo cuore, ma era felice lo stesso.
I loro incontri si erano intensificati non appena il progetto era entrato nella sua fase di attuazione e gli studenti avevano iniziato ad avere gli incontri con alcuni giovani autori italiani.
Tra di loro si era innescato lo strano gioco del gatto e il topo, ma Nino non riusciva a capire chi fosse dei due. La vedeva in certi momenti, allegra, compiaciuta della sua presenza, in altri invece appariva distante, sfuggevole, chiusa.
Avvicinandosi la fine del progetto, aveva deciso di fare il grande passo e così l’aveva invitata una sera a Catania. La sera che l’aveva sentita empaticamente vicina. Molte volte aveva avuto l’impressione che i suoi occhi volessero leggere dentro di lui, scrutare i suoi pensieri e il suo cuore. E lui a cercare di nascondere, o quantomeno camuffare, ogni minima emozione che potesse tradire esteriormente quanto lo aveva coinvolto emotivamente questa presenza nella sua vita.
Nino sapeva bene di non esserci sempre riuscito, ma gli andava bene così. Era felice perché aveva davanti a sé, dopo molto tempo, una persona a cui voleva bene, una donna che avrebbe potuto e voluto amare.
Purtroppo quell’amore non avrebbe avuto mai modo di nascere, di crescere, di “farlo crescere”. Forse per vigliaccheria da parte sua. Non aveva saputo dirle quanto si sentisse legato a lei. Semplicemente. Pavidamente aveva preferito nutrirsi delle attese, delle speranze, dei suoi sguardi, dei suoi sorrisi. E non aveva mai trovato la forza di dirle cosa significava per lui averla accanto, sentire la sua voce, essere parte della sua vita.
Agli inizi di dicembre, con la fine del progetto, i loro incontri si erano via via diradati, le telefonate a farsi meno frequenti. E di lei gli era rimasto solo il ricordo di una piacevole ossessione.

Antonio Barone

Vive a Licodia Eubea, piccolo centro della provincia catanese, nel comprensorio dei Monti Iblei. Da 35 anni lavora nel mondo della scuola come docente di materie umanistiche nei licei. Scopre la scrittura durante gli anni universitari, come naturale espressione del proprio mondo interiore e della relazione con l’Altro, alternando la scrittura poetica a quella dei racconti. Ha curato, inoltre, la prefazione e la presentazione di numerosi libri e la realizzazione di numerose mostre.

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