 
	“Siamo stelle. Ed il  cielo appartiene alle stelle”. Si narra che Buddy Holly disse questa frase per  incoraggiare lo spaventatissimo Ritchie Valens prima di prendere il fatale volo  “vinto” a sorte per poter viaggiare al caldo in una notte gelida del loro tour  invernale (agli altri spettò un vecchio bus senza riscaldamento). Persero la  vita insieme al pilota e The Big Bopper schiantandosi a Clear Lake/Iowa. “The  day the music died”. Il giorno in cui la musica morì. Usò queste parole il  cantautore Don McLean per descrivere le sue emozioni di adolescente in quel  nefasto giorno del 1959. Frase contenuta nel suo più grande successo, American Pie. 
                      Mi  sembra interessante e giusto rendere omaggio a questi sfortunati eroi del rock  che avrebbero meritato certamente miglior sorte e che, nonostante la  giovanissima età, lasciarono un segno indelebile nella storia della musica. 
                      The  Big Bopper (pseudonimo di Jiles Perry Richardson Jr), il meno creativo dei tre  dal punto di vista compositivo, riversava la sua genialità nelle originalissime  esibizioni. Coi suoi modi da simpatico giullare intratteneva il pubblico con  energica ironia miscelando l’esecuzione delle sue canzoni con l’attività di  disk jockey, un mix originale e vincente.
                      Ritchie  Valens (Richard Steven Valenzuela) non aveva neanche 18 anni quando avvenne  l’incidente. Di origini messicane, era cresciuto in uno stato di assoluta  povertà. I suoi sogni ruotavano intorno ad una chitarra decrepita con sole due  corde che trattava come il più prezioso dei tesori perché gli consentiva di  imitare le gesta dei suoi idoli. Erano gli anni dell’esplosione rock’n’roll.  Bravo performer, iniziò a scrivere canzoni sue con ottimi esiti. In particolare  fu La Bamba (rivisitazione di un vecchio classico della tradizione messicana) a diventare, nonostante gli  scetticismi dei discografici, un successo straordinario, sconfiggendo i  pregiudizi un po’ razzisti verso i suoi tratti somatici e verso quel brano che  in qualche modo esaltava quelle origini. Valens riuscì nel non facile compito  di ritmarla a suon di rock trasformandola in una hit clamorosa. Con i soldi  guadagnati iniziò la risalita sociale sua e dei suoi cari, interrotta purtroppo  dal tragico epilogo che abbiamo già descritto. Nel 1987 uscì nelle sale il film La Bamba (regia di Luis Valdez),  realizzato con la collaborazione e le testimonianze dei familiari. Ebbe un  certo successo di pubblico e critica e rese parziale giustizia a questo ragazzo  talentuoso e sfortunatissimo.   
                    Buddy  Holly (Charles Hardin Holley) aveva una statura artistica monumentale. Basta  elencare qualche nome tra coloro che si sono sentiti da lui ispirati: Elvis  Costello, Beatles, Rolling Stones, Bruce Springsteen, Don McLean, Bob Dylan,  Steve Winwood, Eric Clapton. Non proprio quattro scappati di casa, direi. Determinante  fu il suo contributo all’evoluzione del genere rock, contaminato istintivamente  e sapientemente dalle passioni infantili e adolescenziali, dal gospel delle  chiese battiste al rhythm and blues degli artisti afroamericani. Influenze che  lo ispirarono musicalmente ma anche umanamente diventando con semplicità un  fulgido esempio di antirazzismo. Per comprendere appieno questo aspetto  dobbiamo contestualizzare le vicende di questo ragazzo. Sono gli anni ’50 e ci  troviamo nella contea di Lubbock, Texas, una zona degli Stati Uniti ancora  adesso non proprio pervasa da illuminate aperture mentali. Buddy mise tutta la  sua sana ribellione, oltre che nella musica, anche nella sua vita di giovane bianco  dalla faccia da bravo ragazzo. Sposò Maria, l’amatissima fidanzata portoricana,  contro il parere di vicini e familiari. E si sentì in sintonia con le altre  culture. Emblematico in tal senso l’episodio raccontato dal film The Buddy Holly Story (1978) di Steve  Rash. Era il 1957 ed il cantante si apprestava ad esibirsi all’Apollo Arena di  Harlem/New York, un posto frequentato da soli afroamericani. Nessun bianco  aveva mai suonato lì. C’era stato un malinteso con i promoter a causa di  un’omonimia. Infatti The Crickets non era solo il nome della band di Buddy ma  anche quello di una band nera e gli organizzatori, nell’accettare la richiesta,  avevano creduto che si trattasse della seconda. Insomma, un vero pasticcio,  possibile in tempi senza internet in cui le informazioni ed i nastri  viaggiavano con lentezza e senza immagini. La platea, nel vedere quel trio di  pallidi ragazzotti, si mise a fischiare. Ma, presi gli strumenti in mano, Holly  & The Crickets iniziarono a picchiare duro portando i presenti alla più  bella euforia, quella che forse solo la musica, abbattendo le barriere, riesce  a scatenare. 
 
                            Marcello Gurrieri è nato a Ragusa il 09/05/1973 ma risiede a Mascalucia (CT). Ha curato per 10 anni, dal 2007 al 2017, per il sito di Legambiente Catania, la rubrica "ecofilm...ecopensieri" incentrata su opere artistiche a tema ambientale; ha inoltre scritto piccole recensioni cinematografiche per vari periodici e articoli sull'attualità per "Argo Catania". Ha frequentato il corso di sceneggiatura cinematografica tenuto presso il Teatro Impulso di Catania. Ha scritto e pubblicato i seguenti libri: "Le anime libere della notte" con la casa editrice Libroitaliano; "L'ostinazione della speranza - Credere, sentire, vivere" e "Il rugby ... secondo me" con ilmiolibro.it. Ha inoltre scritto altri piccoli lavori divulgati autonomamente: "Grazie bisteccone! - Omaggio a Giampiero Galeazzi"; "I portieri più pazzi del mondo"; "Magma rock - Eravamo ragazzi nella Seattle d'Italia"; "Zagare nell'universo". Ha lavorato prevalentemente nel sociale e continua attualmente a farlo.
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