
Era uscito come sempre, quella mattina, per la sua solita lunghissima passeggiata solitaria.
Lo trovarono due ragazzini di una fattoria vicina, in escursione sugli sci, incuriositi da quella figura riversa sulla neve. La faccia verso il cielo, e la mano sul cuore, avvolto in un mantello nero. Il cappello rotolato un po’ più in là.
Era il giorno di Natale del 1956.
Come caduto da un sogno, e dimenticato.
Robert Walser è considerato uno dei più grandi scrittori e poeti svizzeri.
Ma è una considerazione silente, sommessa, quasi un ossequio alla sua volontà in vita: quella scelta di scomparire, lentamente e inesorabilmente lungo un sentiero di bellezza e povertà (io la definirei assoluta semplicità).
Starsene in un angolo di silenzio, lontano dall’abisso di una società sempre più indifferente, distratta e opaca.
E così, è come se, anche chi avesse avuto la fortuna di leggerlo, ne rispettasse la discrezione. Si fermasse al limitare di quelle orme vaghe sulla neve. Di quel vento che ricompone un prato da un passaggio umano.
<< Vado per il mio cammino; / esso conduce per un pezzo lontano / e pure verso casa: poi senza suono / né parola io sto in disparte >>.

Penultimo di otto figli, di una modesta famiglia, con la madre preda di costanti crisi depressive, il piccolo Robert viene seguito dal fratello maggiore Karl (pittore) e dalla sorella Lisa. Sarà proprio Lisa ad accompagnarlo, nel 1929, in una clinica, laddove gli verrà diagnosticata la schizofrenia (mai però confermata).
In una adolescenza costellata da piccole incurie, Robert Walter deve abbandonare gli studi, e trova un lavoro che si confà al suo carattere dimesso e solitario: il ‘Commis’, ossia l’impiegato tuttofare, anonima figura di ogni azienda dell’epoca.
Finirà per rinchiudersi con voluta serenità prima nella clinica Waldau di Berna, poi definitivamente nella clinica psichiatrica di Herisau, nel Cantone Appenzello, dove trascorrerà ben 33 anni (gli ultimi) della sua vita.
Nel frattempo, è stato anche in Germania, ha pubblicato romanzi, racconti e poesie. Ha conosciuto Rilke, Hesse, Elias Canetti, e persino Kafka, che amava le sue prose brevi.
Da Stoccarda, un giorno, tornerà a piedi fino a Zurigo. Una passeggiata di 200 km.
Questi brevi cenni biografici sono utili per comprendere la sua personalità e la sua scrittura.

In una esistenza asettica e fredda, si predispone ad accogliere la bellezza, a cercarla in ogni angolo e in qualunque situazione, rinunciando ai preconcetti e alle tristi prerogative dell’io.
E rinunciando non a scrivere, tutt’altro: semmai a non pubblicare più. A scomparire, a dissolversi, ad annullarsi come persona e come artista.
Quasi un anno dopo la sua morte, Carl Seeling – erede letterario dello scrittore – riceve una scatola di scarpe.
Contiene un fastello disordinato, eppure a suo modo labile, fluttuante, sovrumano, di 526 fogli manoscritti. Sono moduli, telegrammi, cartoline, pagine di giornali o riviste, retro di buste, biglietti di carta, spesso riusati e riutilizzati, ricoperti da una grafia quasi tremante, a matita, tratteggi come di insetti di follia. Calligrafie infantili, scrittura patologica, segni indecifrabili e inafferrabili di un individuo che cerca la serenità dentro la malattia mentale.
Microgrammi.
Percorsi come di animali tra i boschi. Come di danze di fiocchi di neve, di foglie d’autunno. Di gocce di temporale lungo i vetri d’una finestra.
Come se il poeta del camminare avesse deciso di sottrarsi alla gravità del mondo, a quell’incessante avanzata d’un fronte opprimente, disperdendo pensieri in fitte trame di lapis, per fare perdere ogni traccia di sé.

Robert Walser definì la sua scrittura “Il territorio della matita”. Era un tratteggio, un riversare pensieri e idee, versi e prosa, che gli consentivano una maggiore libertà rispetto alla penna.
A volte, trascriveva a penna, ma solo quando decideva di fissare qualcosa, anche modificando e correggendo.
I ‘Microgrammi’, di fatto, sono trame di segnetti, pulviscolo di geroglifici, universo di grafie che si susseguono e si sovrappongono, seguendo un disegno inconcepibile, senza confini rigidi e rispetto per le suddivisioni. Sanno essere insieme “crittogramma e segno di sopravvivenza della scrittura” (W.G. Sebald).
La scrittura di Robert Walser possiede la prerogativa di una nevicata dopo un passaggio lungo un pendio innevato: quella di posarsi, lieve, cancellando frase dopo frase le precedenti. Come se l’artista volesse fuggire scrivendo, come se ‘ogni sua parola sottendesse una precedente catastrofe’.
<<…Di pezzo in pezzo io guizzo, / di prosa in prosa, / con la qual cosa metto a tacere / quel che un tempo ero, / se mi sfiorano affetti che non spero. >>

Ho scoperto Robert Walser per caso.
Mi è apparso – durante il confino covid – su un articolo online. E così ho deciso di acquistare un libro, “Pezzi in prosa”, e poi un altro, “La passeggiata”.
I suoi “Microgrammi” sono stati editi in Italia solo quest’anno, da Adelphi, e ho acquistato anche quelli.
Peraltro, a causa di seri problemi alla schiena e della seria impossibilità di poter frequentare degnamente una piscina (nuotare mi piace moltissimo, da sempre. Più di correre), ho iniziato a camminare.
Chilometri e chilometri, molto spesso in solitudine, scoprendo piccole sorprendenti bellezze negli angoli meno visibili, lungo sentieri sconosciuti, attraverso zone sfiorate con una autovettura e quindi senza troppa attenzione ai dettagli.
Camminare è scoprire mondi con occhi nuovi, incantarsi per frammenti di realtà che le nostre rincorse quotidiane ci impediscono di svelare.
I miei passi giornalieri mi hanno dischiuso a riflessioni e meditazioni, mi hanno svuotato da tossine e allontanato da torme di superficialità innecessarie. Hanno sfrondato la mia anima dal superfluo, concedendomi piccole soglie di vuota libertà.
Quella della riservatezza è una cultura, quella del silenzio è una disciplina coraggiosa.
Come per Robert Walser, l’assenza e la solitudine sono un nascondersi tra le pieghe della vita per salvarsi l’anima.
Come scrisse Citati, << Passeggiare era il ritmo interiore della sua mente […] >>, e in fondo è grazie a lui, a Robert Walser, se lentamente sto tentando di abdicare al mio io, continuando ad amare la scrittura come una parte di me, che però non ha bisogno di mostrarsi, di apparire.
<< Ciò che non viene detto, ha la vita più forte, perché ogni dire ed ogni accennare toglie qualcosa all’oggetto, lo intacca, e così lo diminuisce >>

(R. Walser)
Comments are closed, but trackbacks and pingbacks are open.