
È il titolo di un disco di Pino Daniele, al quale ha collaborato il trio di Peter Erskine con Alan Pasqua al piano e Dave Carpenter al basso. Perché lo abbia intitolato così non lo so, ma, mi piace pensare, che Pino ha semplicemente sottolineato con questa scelta, di evidenziare che il suo cammino di artista non si è mai adagiato sugli allori. Un cammino è fatto di passi e il suo, anche se interrotto troppo presto, è stato un cammino lungo, instancabile, pieno di importanti soluzioni musicali fresche e nuove. Un cammino mosso dall’amore infinito per la musica, per la chitarra. Una curiosità e un interesse a tutto raggio per i musicisti del mondo, per le loro culture. Una voglia di misurarsi con tutti per dare e per ricevere, per avere nuovi stimoli, nuove strade da percorrere, per fare nuovi passi. Questo disco che, mio parere personale, non è tra i più belli, ha comunque dentro delle perle e, soprattutto, testimonia l’attaccamento alla musica e alla sperimentazione. Mette insieme i madrigali di Gesualdo da Venosa con le canzoni, il jazz, Django Reinhardt (sua la splendida Nuages), operando una sintesi meravigliosa. Un connubio che sembra naturale e non lo è per niente. Studio, studio e ancora studio per riuscire a fare questo matrimonio senza che sembrasse, come succede spesso, uno stupido copia e incolla, motivato da interessi extra musicali. Tutt’altro invece, un impresa titanica che di sicuro non ripagava in termini economici, ma gratificava il cuore perché aveva senso. “Arriverà l’aurora”, il brano che apre l’album, testimonia questo e commuove per la sua bellezza. Fa sentire che tutto quello che è stato, non è stato invano (neanche Gesualdo ci avrebbe creduto). Il disco ha tra l’altro un tempo dilatato, lento, che tira indietro, quasi per imbrigliarlo questo tempo, catturarlo e fermalo in ogni suo attimo. Per farci godere ogni singolo respiro e ogni singola nota. Per scavare nel profondo dell’anima. Forse è una cosa che notano solo i musicisti, ma c’è, statene certi, e denota quasi una soddisfazione di essere la, in quelle note come a dire “io sto qua e non mi schiodo”.
Nel disco precedente (Medina) Pino va in Afric (ci va proprio) a e dialoga con la musica araba, col nay (flauto)del grande Omar Faruk Tekbilek, con Salif Keyta, con Mike Manieri e tanti altri maestri, anticipando nell’ultimo brano “Ahi disperata via” (un madrigale di Gesualdo) il disco successivo, perché in ogni passo c’e un venire “da” e un andare “verso”, crescendo: questo è il senso del cammino. Ogni musicista che Pino ha incontrato ha costruito questo percorso. Wayne Shorter, Nana vasconcelos, Eric Clapton, Al di Meola, Gato Barbieri, Chick Corea, Ritchie Heavens e tanti altri non li ha incontrati per caso, li ha cercati perché rappresentavano il suo mondo musicale, quelli che lui ha ascoltato e amato. Con ognuno di loro ha camminato, suonato e ribadito se stesso e il suo pensiero musicale. Senza trascurare naturalmente i suoi vicini di casa: Tullio, Joe, Rino, James, Tony: la super band che lo ha accompagnato e che lo ha aiutato a forgiare il suo suono ruvido e raffinato.