
Una premessa è doverosa: non spiego l’esperimento nei suoi particolari perché non ne ho la competenza. Chiunque fosse interessato all’argomento troverà su Google tutte le informazioni che desidera a tal proposito, anche rielaborate dall’intelligenza artificiale. Dato dunque per scontato che qualora non ne foste a conoscenza vi sarete sicuramente rivolti all’oracolo virtuale, posso addentrarmi nella discussione del pezzo dell’esperimento che mi interessa, quello in cui il gatto è contemporaneamente sia morto che vivo.
Trattandosi di un esperimento che ricade nell’ambito della scienza fondamento, ovvero la fisica, possiamo dire certamente che lo stato di incertezza trova uno spazio importante nel dominio delle certezze.
Il dubbio filosofico che nasce è il problema della gnoseologia kantiana, anticipata dall’ “Esse est percipi” di Berkeley e dall’empirismo scettico di Hume, ripresa dal “mondo come rappresentazione” di Schopenauer, per arrivare alla fenomenologia Husserliana: possiamo essere certi di ciò che vediamo? È l’abitudine a generare la connessione causa-effetto? La realtà come la percepiamo è la realtà reale o è solo il riflesso dello specchio deformante delle nostre percezioni?
Esiste una risposta certa a queste elucubrazioni?
Sì, la risposta esiste ed è no.
Il fatto però è che l’incertezza sulla vita/non vita del gatto si dissolve quando apriamo la scatola, quando decidiamo di assumere il punto di vista dell’osservatore con le sue specifiche peculiarità riusciamo a determinare uno stato certo: il gatto sarà o vivo o morto, ma lo sarà in conseguenza dell’apertura della scatola.
La scienza, dunque, apre le scatole del dubbio, indirizzando le risposte che ne derivano. Cosa vuol dire? Che la scienza non scopre la verità dello stato del gatto quando è dentro la scatola, ma solo quando la scatola è aperta. Ma quello che vedrà, una volta aperta la scatola, è verità: il gatto sarà vivo o morto.
La ricerca scientifica non trova la verità, ma quello che trova riesce a spiegarlo, riesce cioè a dirti anche cosa possa aver ucciso il gatto o cosa possa averlo salvato.
Questo discorso dovrebbe servire a spiegare che la scienza in un certo senso forza la realtà che indaga, per cui talvolta incorre in errori che però cerca di ridurre il più possibile applicando protocolli di ricerca sempre più precisi, ma mantenendo sempre un margine di indeterminazione, di imprecisione che non può pretendere di controllare, dovrà aprire la scatola affinché possa vedere un risultato, deve, cioè, sperimentare, correndo il rischio di uccidere il gatto. Questo ci dice che sbagliavano i positivisti a pensare che la scienza potesse risolvere tutti i problemi dell’umanità, non può farlo, ma se si lasciasse il gatto dentro la scatola il suo stato di indeterminazione, la sua sospensione tra l’essere vivo e l’essere morto, non farebbe bene né al gatto né al padrone del gatto.
La questione può inoltre essere applicata anche alla nostra quotidianità, quando l’ansia verso qualcosa che potrebbe accadere spesso ci paralizza, se non la utilizziamo come spinta ad aprire la scatola per vedere cosa succede, accettando anche la possibilità che il gatto siamo morto, o sia un gatto veramente brutto, perché l’attesa dell’incertezza è cosa ben peggiore, divora, annienta e non risolverà mail il nostro dubbio: il gatto è vivo o è morto? Viva il gatto!