
Occhi spalancati nel cuore della notte; tachicardia; mal di stomaco e contratture. Questi sono solo alcuni sintomi con cui l’ansia si manifesta ogni giorno. Un nodo all’altezza della gola al pensiero di ciò che sarà di noi nei prossimi giorni, mesi, anni, nel nostro futuro. Si presenta nei momenti cruciali della nostra vita, quando dobbiamo intraprendere un nuovo percorso. Nel momento in cui dobbiamo scegliere se andare o meno all’università, o quale corso frequentare, per esempio. E per alcuni ancora prima per la scelta della scuola superiore. E ritorna tutte le volte in cui dobbiamo capire cosa fare da grande (o di grande, come ci dice Alessandro D’Avenia). A volte pare non ci abbandoni mai, che siano interrogazioni ed esami o una semplice conversazione al telefono. Secondo gli esperti l’incertezza è il male della nostra generazione. Ma come potrebbe non esserlo?
Siamo la generazione più formata che sia mai esistita, ma abbiamo più difficoltà a trovare lavoro dei nostri nonni, che a stento avevano concluso le scuole elementari. Le guerre che incombono su di noi ci minacciano con la loro eco di morte e violenza, mentre il cambiamento climatico ci consuma facendoci sentire impotenti e responsabili. I social ci costringono al paragone, alla ricerca della perfezione, all’inconcepibilità del fallimento. Paventiamo il contatto fisico e tendiamo a trascorrere la maggior parte del nostro tempo da soli.
Siamo costantemente informati, sempre rintracciabili, perennemente oppressi dal giudizio delle generazioni passate. Le quali ci definiscono prive di desideri mentre fanno a pezzi ogni nostro sogno ed ambizione. Portiamo il peso delle responsabilità dei nostri avi, dal colonialismo al buco nell’ozono e assistiamo disillusi al succedersi di governanti a noi completamente disinteressati.
Siamo cresciuti nella paura di perderci sempre qualcosa, nel terrore di non essere mai abbastanza, nella convinzione di aver sempre da dimostrare qualcosa. Temiamo di essere costantemente in ritardo. Perché non abbiamo un lavoro stabile a venticinque anni o una famiglia a trenta.
E mentre il mondo ci spinge a correre verso una direzione precisa, decisa per noi da altri, la risposta giusta sembrerebbe invece fermarsi.
Respirare.
Ascoltare noi stessi e le nostre sensazioni.
Imparare a chiedere aiuto.
Comprendere che il percorso di ognuno di noi è diverso, che ciò che appare semplice ad una persona può sembrare impossibile per un’altra. E va bene così.
Allora, forse, l’ansia potrebbe diventare la nostra migliore alleata.
Perché ci costringe a rallentare, a concentrarci su cose semplici ma fondamentali, a guardarci dentro e cambiare strada. Può essere il segno che ci importa ancora, che non siamo disposti a mollare e rassegnarci all’indifferenza.
Perché la verità è che possiamo ancora scegliere di essere tutto ciò che vogliamo, possiamo sbagliare e cambiare idea milioni di volte ed essere sempre in tempo, perfettamente in orario con la nostra vita.
Sempre in tempo, ciascuno al proprio passo. Alla scoperta di un futuro che un po’ ci aspetta e un po’ vuole essere acchiappato. Come nei giochi migliori, di quando eravamo bambini.
Grazie per le tue parole, in cui riconoscersi è semplicissimo.