Si dice che per costruire bisogna distruggere. A volte, purtroppo, si distrugge solo per il piacere di distruggere, per vendetta. È quello che è successo tra il 13 e il 15 febbraio 1945, durante la Seconda Guerra Mondiale, a Dresda, in Germania.

Situata nella Germania orientale, sulle rive dell’Elba, Dresda era chiamata la “Firenze sull’Elba” per la sua architettura barocca, i musei, i teatri, le gallerie d’arte e una grande tradizione musicale. Fino al 1945, la città era stata in gran parte risparmiata dai bombardamenti alleati, probabilmente perché non era un obiettivo strategico in quanto priva di importanti industrie belliche e di particolari strutture militari.

In quei mesi di inizio 1945, con l’Armata Rossa in avanzamento da est e gli alleati che spingevano da ovest, la città era diventata un rifugio ritenuto sicuro da civili, profughi e feriti di guerra. E invece, con una operazione durata tre giorni, denominata “Operation Thundeclap”, la città venne completamente distrutta.

Il bombardamento di Dresda è uno degli episodi più discussi della Seconda Guerra Mondiale, non solo per l’entità della distruzione e il numero di vittime civili, ma per le implicazioni morali e strategiche che ancora oggi alimentano il dibattito storico. Fu un atto necessario per accelerare la fine del conflitto? O un esempio di violenza indiscriminata travestita da strategia militare?

Naturalmente i giudizi sono diversi e diametralmente opposti. Per alcuni è considerato un crimine di guerra in quanto un atto sproporzionato perché da lì a poco la Germania si sarebbe arresa (lo fece il 7 maggio) e in ogni caso quello non era un obiettivo che poteva giustificare un simile attacco. Per altri invece si deve considerare legittimo perché la città per i tedeschi era un importante snodo e quindi il prolungare la guerra avrebbe causato più morti di quanti non ce ne siano stati durante i tre giorni di bombardamenti.

Che si creda all’una o all’altra versione, di certo c’è che Dresda è diventata un simbolo della brutalità e dell’inutilità della guerra moderna (quello che sta accadendo nella striscia di Gaza o in Ucraina è forse qualcosa di diverso?), dove la linea che separa gli obiettivi militari da quelli civili spesso diventa invisibile. Per questo la guerra, come diceva spesso Gino Strada, non è mai una soluzione. Perché ciò che si distrugge, ammesso che si possa ricostruire, non sarà mai come prima.

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