I primi passi non sono uguali per tutti.
Lo osserviamo ogni giorno in comunità, dove i ragazzi al loro arrivo si pongono in maniera diversa, ognuno in linea con le proprie caratteristiche personali, cosi come succede ad ognuno di noi allorché veniamo inseriti in un nuovo contesto. Generalmente facciamo emergere con più forza i nostri limiti e le nostre attitudini, parimenti i giovani ospiti dei centri di accoglienza portano in dote qualcosa di sé stessi. C’è chi è più estroverso, chi più timido, chi si adatta subito, chi vuole capire immediatamente dove è finito tempestandoci di domande.
E c’è chi va semplicemente a dormire!
Gli scenari comuni sono facilmente immaginabili, ma ogni tanto capita qualcosa di atipico. Coloro che hanno subìto tante sofferenze nella vita, riescono ancora a sognare e, chissà perché, credono e sperano nel futuro.
È il caso di Mohamed, entrato in comunità in punta di piedi. Lo caratterizzava una timidezza invalidante, era cupo, analfabeta e spaventato.
Una storia terribile alle spalle: aveva visto morire il padre davanti ai suoi occhi a causa dei “ribelli”, e la madre era rimasta vittima di un “banale” incidente stradale. La vita aveva così strappato a Mohamed affetto e punti di riferimento.
Questo ragazzo così vulnerabile incuriosì da subito tutti gli operatori, anche perché non parlava mai e non stava mai fermo. Lo si vedeva girare con una scopa in mano, o magari spolverare forsennatamente o aiutare convulsamente in cucina. Spesso puliva sul pulito.
Col tempo scoprimmo che lo faceva “per non pensare”, così diceva. Preferiva riempire il tempo in azioni per paura di rimanere solo coi suoi pensieri che affluivano prorompenti nei momenti di noia e vuoto. Temeva che la sua mente lo riportasse a quegli attimi, a rivivere quelle scene violente e indelebili che si erano impresse nella sua memoria e che albergavano nella sua anima.
Di notte faticava a prender sonno e quando ci riusciva, non prima delle luci dell’alba, lo faceva mantenendo rigorosamente la luce della lampada accesa.
Aveva paura del buio come un bambino, ma non poteva più chiedere alla mamma di dormire con lei.
In questi casi le solerti regole della comunità lasciano il campo al buon senso. La priorità per noi diventa lasciare spazio a questi ragazzi, far sentire loro la nostra vicinanza ma senza pressioni, semplicemente in silenzio, con piccoli gesti di accoglienza e qualche sorriso.
Mohamed cominciò pian piano a fare i suoi primi passi. Fu una grande gioia quando in modo concitato e nel suo “dialetto fula”, chiese se poteva andare a pregare in moschea insieme agli altri ragazzi.
Con il passare dei mesi, fu indescrivibile la commozione nell’ accompagnare questo ragazzo a fare nuove amicizie, a cominciare a ridere, giocare e divertirsi…fu bello persino vederlo litigare!
Oggi Mohamed, a distanza di 5 anni, ha lasciato l’accoglienza e lavora in un noto ristorante della città, vive in una casa in affitto e si è da poco fidanzato con una ragazza italiana.
Forse il buio non gli fa più paura ma, per sicurezza, in casa sua c’è sempre una piccola luce accesa.

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