
Condiziona la vita dell’uomo e lo fa sia aldilà della sua volontà sia attraverso la sua volontà. Nel primo caso lo costringe all’accettazione, nel secondo alla scelta. Non vorrei essere così categorico e universale, vorrei limitarmi alla mia esperienza ma, oggettivamente, in questo caso penso che la mia esperienza sia sostanzialmente simile a quella di tutti. Le certezze nella vita sono anche tante ma non sono durature, quelle sicure sono veramente poche: la morte e la convivenza con il dubbio, con l’ignoranza del nostro destino, in breve, con la certezza dell’incertezza che caratterizza la vita di ognuno. Quindi? L’accettazione di questo status è obbligatoria, la rassegnazione anche, poi c’è un larghissimo spazio per sua maestà il dubbio, e, sua conseguenza, la scelta, ed è li che, auspicabilmente, comincia ad operare la nostra volontà. Diversamente ci illudiamo di avere scelto.
In gioventù è tutto più semplice, perché la vitalità è talmente tanta che lascia poco spazio ai dubbi. La considerazione di se stessi a quell’età è smisurata. È un bene, perché è giusto vivere una vita piena e ignorante, nel senso letterale del termine, cioè che ignora l’incertezza. Diciamo che un alto grado di insensibilità caratterizza la vita degli adolescenti. Non è cinismo, non dico che i giovani sono insensibili ma che lo sono dove serve esserlo, perché non si ha consapevolezza del rischio, di quello che potrebbe succedere; la forza vitale é tale che si persegue un obiettivo senza porsi domande, ma solo con la determinazione. Non serve il coraggio, è naturale, funziona così. Tutto questo fa vivere meglio. Ma la prospettiva a sedici anni è limitata, perché a quell’età l’io è così grande, che non ammette deroghe e distrazioni.
La prospettiva cambia crescendo. La metafora del palazzo calza: al primo piano vedo un albero, al secondo due al settimo una foresta, al nono qualcosa di non meglio identificato, un fiume? Una strada? Boh l’immagine è sfocata,” incerta”, non possiamo essere sicuri di quello che vediamo …e, soprattutto, di quello che sarà. Oltre all’allargamento della prospettiva c’è la crescita della sensibilità che si rivela inversamente proporzionale alla crescita dell’io, più siamo sensibili più il nostro io si perde. Ecco che all’orizzonte, dal nono piano vediamo un’infinità di possibili scelte, di opzioni ed è li che scegliere diventa un impresa titanica, perché ci accorgiamo di quanta bellezza esiste, di quanta ne possiamo abbracciare dovendo necessariamente abbandonare tutta l’altra. La gioia che ci da la nostra scelta comprende la consapevolezza di avere abbandonato un altro mare di gioia che non potremo esperire. Come disse qualcuno, ogni scelta è una rinuncia ed ogni rinuncia, quando si cresce, non é a cuor leggero. Forse si cresce così, scegliendo e rinunciando. Ogni scelta è una grande responsabilità e ce ne assumiamo le conseguenze. Qualcuno ci ha dato questa possibilità, o meglio, questo obbligo di scegliere: sta a noi fare la scelta più giusta e più opportuna. Spesso, potendo, si delega e si sceglie di non scegliere, ma anche questa è una scelta. Bisogna essere onesti e il grado di onestà lo stabilisce solo la nostra coscienza. Ci si rifugia dappertutto, nel lavoro, nell’amore, in se stessi, in Dio, ma quanto è sincera la nostra scelta lo sappiamo solo noi, ammesso che ci poniamo la domanda…