
Sicilia-USA. Due realtà nel destino, lontane, apparentemente antitetiche. Lui, Francesco Virlinzi, catanese di famiglia agiatissima, fondatore della casa discografica Cyclope Records, nata nel 1991 dopo aver prodotto un disco, Flor de Mal, inciso dalla band omonima. Professione: discografico, comunicatore di mondi.
Le pendici del Vulcano sono ricche di una terra fertilissima che ha un colore duro, pervasivo, stimolante. Virlinzi aveva capito che, se trapiantato dagli States, il seme del rock sarebbe attecchito nella sua Catania, come i ficus che anticamente furono portati nell’Isola dall’Asia Minore. Aveva fiuto per le imprese Virlinzi, noto ai più come Checco, e la dote di farsi voler bene.
La sua Cyclope Records si contraddistinse per scelte artistiche di successo, pur non potendo competere economicamente alla pari coi colossi del mondo discografico. Aveva un occhio solo la Cyclope – così come voluto dagli dei – ma era acutissimo: tra i nomi lanciati spiccano i Flor, Brando, Mario Venuti e Carmen Consoli.
Catania si tramutò in un calderone magmatico, dove la cultura era incandescente quanto la lava; non era solo una città in pieno rilancio, ma il simbolo di un popolo in cerca di riscatto. Questo spirito si trasfigurò in forme antropomorfe con l’arrivo in città dei R.E.M, band statunitense conosciutissima e ancora oggi culto nel pantheon rock. Anche questa volta fu Virlinzi a patrocinare un nuovo arrivo dall’Oceano sulle sponde del Mediterraneo, grazie all’amicizia intessuta negli USA col frontman Michael Stipe che, a onor di cronaca, ricevette uno scappellotto in una trattoria per aver messo del parmigiano su una pasta al pesce.
Era il 6 agosto 1995. Catania fu invasa da cultori della musica provenienti da tutto il mondo durante una delle sue rassegne estive più belle, quella diretta da Franco Battiato. Sembrava giunta l’ora della rinascenza guidata dall’estro e dalla cultura. Purtroppo, il concerto dei R.E.M. fu l’acme di una stagione che finì troppo presto. Il 28 novembre del 2000, Francesco Virlinzi morì a New York dopo una lunga malattia a soli 41 anni. La sua dipartita improvvisa segnò la fine di un progetto artistico e sociale irripetibile.
Sono passati esattamente 25 anni da allora e in molti, oggi, affermano che Catania sia piombata in un’atrofizzazione culturale profondissima. Colpisce constatare quanto anche i fenomeni più vitalistici siano legati a doppio filo con l’incertezza degli eventi, così come il destino di una singola esistenza possa fondersi, a seguito di un fortunato miscuglio di fattori, a quella di una città. All’impresa di tramutare Catania in una capitale mondiale del rock noi siciliani dobbiamo moltissimo; ed è attraverso questo esempio visionario che è passata una parte importante della riqualificazione e del riscatto dell’intera Isola. Di fronte a questo anche l’incertezza della morte scopare lasciando spazio a nuovi futuri possibili.