
Quando penso alla Grecia, la mia mente si riempie subito di immagini del mare, del sole che illumina le isole bianche e blu. Ma più ancora del paesaggio, mi fa pensare alla filosofia. È infatti agli antichi greci che dobbiamo l’origine del domandarsi, del cercare di comprendere sé stessi e il mondo.
Essendo molto appassionata di educazione — in particolare di un’educazione più autentica — trovo spesso ispirazione negli insegnamenti di Socrate e Platone. E proprio con quell’attitudine del mettere in discussione ogni credenza ora vorrei fare un esercizio con te lettore. Prima di continuare a leggere, fermarti un momento a riflettere sulla seguente domanda. Cerca di non accontentarti con la prima risposta che ti viene in mente. Prova a sfidare quelle che sono le abitudini e conoscenze comuni. Ed ecco la domanda…
Che cos’è per te l’educazione?
La associ alla scuola? All’insegnamento? Al crescere un bambino? Al modo di comportarsi con gli altri? E perché educhiamo?
Anche io mi sono fatta questa domanda in passato e ci ho riflettuto tanto, mettendo in discussione ogni pensiero anche il più contrario cercando genuinamente di trovare una mia risposta.
Nelle mie ricerche personali, sono andata a guardare il significato etimologico della parola educazione che deriva dalle parole latine Educare, Educere ed Educatum, cioè ‘tirare fuori, crescere’. Aspetta un attimo … ‘tirare fuori’???
Questa origine linguistica mi ha lasciata molto perplessa. Anche perché nell’educazione tradizionale ricevuta normalmente in scuola, la ‘conoscenza’ è qualcosa acquisita esternamente. Ce la insegnano i professori o i genitori. Siamo come una tabula rasa, un contenitore vuoto da riempire di conoscenza e informazioni.
Ma quindi educare ha a che fare con ‘riempire’ o ‘tirar fuori’? Secondo te?
Beh, nella mia di ricerca, gli insegnamenti di Platone ed il suo grande maestro Socrate, hanno incominciato a fare più senso. Loro credevano nell’importanza dello sviluppo del corpo, della mente e dell’anima e stabilivano lo scopo dell’educazione, come quello di “estrarre” la conoscenza latente nell’anima di ogni individuo. In altre parole, è come se tutti avessimo un piccolo seme dentro di noi che ha bisogno di essere coltivato per poter crescere in ciò che è già intrinseco nel seme stesso.
Quindi il vero sapere si trova già dentro di noi in forma un po’ ‘addormentata’. L’educatore, come un “assistente dell’anima”, aiuta semplicemente a far emergere ciò che già c’è.
È un’idea radicalmente diversa da quella di una scuola che riempie la mente di contenuti.
Significa credere che ogni individuo possieda una conoscenza interiore, un potenziale, una scintilla di verità che attende solo di essere portata alla luce.
Da questa consapevolezza è nato il mio modo personale di intendere ed impartire l’educazione, e anche il mio metodo di lavoro — ‘Cultivating Life Skills’ che vuol dire ‘Coltivando Abilità per la Vita’. Questo è un progetto che ho sviluppato in una fattoria britannica, dove i bambini imparano facendo e seguendo il proprio intuito, il proprio interesse e la propria curiosità con disciplina e rispetto.
Per me la curiosità è il motore dell’apprendimento. È ciò che accende e stimola la mente e l’anima. Quando un bambino è curioso, non ha bisogno che qualcuno gli dica cosa imparare: ha solo bisogno che qualcuno gli dia lo spazio per farlo.
E allora, qual è il ruolo del genitore o dell’educatore?
Io lo vedo come il ruolo di chi si prende cura di un seme.
Ritornando infatti quell’idea, per me è come se ognuno di noi nasce con un piccolo seme dentro di sé — unico, irripetibile. Il compito di chi educa non è decidere che tipo di pianta dovrà diventare, ma creare l’ambiente giusto perché possa sviluppare quel seme in specifico. Come un giardiniere, l’educatore offre acqua, luce, terreno fertile, protezione. E solo col tempo, quando quel seme germoglia, scopriamo se diventa un pero, un girasole o una quercia. Ciascuno di noi fiorisce secondo la propria natura e unicità.
Quando impariamo a rispettare la natura del seme, allora l’educazione non è più imposizione, ma crescita condivisa. Più una persona segue la propria inclinazione profonda e unica, più si sente realizzata, viva, in armonia con sé stessa e con il mondo, contribuendone di conseguenza nella crescita sociale.
Per me, essere educatori significa proprio questo: accompagnare e facilitare; guidare le persone — bambini, ragazzi o adulti — a sviluppare la capacità di ascoltarsi, di seguire il proprio intuito e la propria curiosità. A conoscersi.
Significa offrire libertà, ma anche responsabilità. Libertà di esplorare, di sbagliare, di scoprire. Ma con disciplina come forma di rispetto per sé e per gli altri, non come imposizione.
Se pensi a chi ha inventato l’aeroplano, nessuno gli ha detto come farlo. Non esisteva un manuale. È stato l’intuito, la curiosità, la libertà di immaginare qualcosa che ancora non c’era. E questo vale per ogni grande scoperta, artistica o scientifica: nasce sempre da un atto di libertà interiore.
Forse oggi la scuola e la società tendono ancora troppo a “riempire” anziché “tirar fuori”.
Ma se davvero crediamo che ogni individuo porti in sé un potenziale unico, allora l’educazione dovrebbe cambiare direzione: diventare un viaggio di scoperta e di espressione.
E ora torno alla domanda iniziale:
Che cos’è, per te, l’educazione?
Forse non c’è una sola risposta.
Forse, come diceva Socrate, la risposta è già dentro di te — basta solo qualcuno che ti aiuti a tirarla fuori.