
Allora Dio disse a Noè «È venuta per me la fine di ogni uomo, perché la terra, per causa loro, è piena di violenza, ecco io li distruggerò insieme con la terra.»
(Genesi, 6,13)
Innumerevoli sono i miti che narrano la distruzione della terra ad opera degli dèi. In moltissime culture le divinità adirate avrebbero scatenato diluvi che, sommergendo terre e animali, avrebbero punito la malvagità degli esseri umani.
Ho scelto di iniziare dal diluvio narrato nella Bibbia forse il più famoso al grande pubblico, tra quelli che ho scelto. Dio guardando sulla terra si accorse della corruzione e crudeltà degli esseri umani e si pentì di averli creati. Decise allora di cancellare ogni cosa, ma si accorse di un uomo buono e retto, Noè, che insieme alla sua famiglia non meritava di morire. Dio gli ordinò allora di costruire un’arca e li salvò, insieme ad una coppia di ogni animale. Questa narrazione giudaico-cristiana differisce di pochissimo con quella islamica, secondo cui invece, la moglie e uno dei figli di Noè, essendo stati corrotti, non salirono sull’arca e morirono insieme agli altri.
Il racconto biblico ha molti punti in comune con quello raccontato nell’Epopea di Gilgamesh, un’opera sumera e con quello greco-romano di Deucalione e Pirra, narrato da Ovidio nelle Metamorfosi. Anche in queste due tradizioni il dio Enlil, per i sumeri, e Zeus o Giove, per i greci e i romani, decisero di inondare la terra, per annientare gli uomini diventati violenti e superbi. Tuttavia, essendo questi due popoli di tradizione politeista, a salvare i giusti sono altre divinità. Il dio Ea avvertì il re Utnapishtim dell’imminente diluvio e gli consigliò di costruire un’arca per salvare sé stesso, la sua famiglia e gli animali. Mentre secondo Ovidio fu Prometeo, colui che aveva rubato il fuoco, ad avvertire suo figlio Deucalione e la moglie Pirra, anche il titano consigliò ai due coniugi la costruzione di un’arca per salvarsi dalle acque. I miti differiscono nei giorni di navigazione, per Noè furono quaranta giorni e quaranta notti, per i romani, invece, nove, per Utnapishtim solo sei giorni.
Alla fine di questo periodo di pioggia torrenziale, tanto Noè quanto Utnapishtim, fecero uscire dall’arca degli uccelli per trovare una terra in cui approdare. Il primo giunse sul monte Ararat, secondo gli scritti ebrei e cristiani mentre sul monte Judi secondo quelli musulmani. Il secondo, invece, arrivò sul monte Nisir, nell’odierno Iraq. Le somiglianze tra questi due miti sono veramente tantissime e la vicinanza geografica, tra i luoghi in cui i due popoli hanno dato origine a questi racconti, ci suggerisce che si possano essere influenzati a vicenda.
Il racconto latino invece si distanzia in questo punto, dopo il diluvio i due anziani, che non avevano figli, si rivolsero ad un oracolo che suggerì loro di coprirsi il capo e di gettare dietro di sé “le ossa della grande madre”. Capendo che si riferiva alle pietre, i due si affrettano ad eseguire la profezia e in questo modo fecero rinascere l’umanità. Le pietre lanciate da Deucalione formarono gli uomini mentre quelle scagliate da Pirra le donne.
Anche se mosso dallo stesso scopo, punire gli esseri umani troppo orgogliosi e dimentichi degli dèi, di molto si discosta, dalle narrazioni precedenti, il racconto del diluvio conservato nel Popol Vuh. Quest’antico manoscritto in lingua quiché e in lettere latine ci ha tramandato le leggende Maya. Il dio Huracan scatenò un diluvio di pioggia nera, colpendo gli uomini di legno, incapaci di ricordare e venerare gli dèi, solo in pochi si salvarono rifugiandosi nelle foreste e da loro discendono le scimmie.
Per quanto riguarda la cultura Maya, bisogna fare una precisazione, infatti, secondo la loro mitologia, gli umani sarebbero stati distrutti più volte e ricreati con materiali diversi, in ere differenti, quattro in tutto. Nella prima era, il mondo era fatto di fango ma i suoi abitanti erano deboli e non potevano parlare e gli dèi li annientarono, la seconda, invece, fu quella degli esseri umani fatti di legno e anch’essi vennero eliminati, nella terza era, erano fatti di terra e fango ma non riuscivano a ricordare le divinità e anche loro vennero cancellati, infine nella quarta era, che è quella attuale, gli dèi crearono gli umani con la farina del mais e finalmente questi riuscivano a vedere, pensare e parlare e veneravano i loro creatori.
La stessa ὕβρις (superbia), che gli antichi condannavano perché portatrice di distruzione e morte, spinge noi, uomini e donne assurti al ruolo di divinità, a provocare le medesime catastrofi. Oggi come allora, siamo noi esseri umani a causare da soli la nostra stessa fine. Alluvioni, incendi, siccità sono solo piccole dimostrazioni di come la nostra vera colpa, il cambiamento climatico, ci condurrà a una distruzione pari a quella tramandataci dai nostri antenati. Questa volta però l’unica arca che potrebbe salvarci non è fatta di legno ma di cambiamento. È forgiata di rispetto e attenzione per la natura che ci circonda; di consapevolezza e azione per il nostro presente; di tenerezza e lungimiranza per coloro che verranno.