Secondo Wikipedia, “l’Archivio di Stato, in Italia, è un archivio le cui competenze consistono nella conservazione e sorveglianza del patrimonio archivistico e documentario di proprietà della Repubblica Italiana in un determinato territorio e nella sua accessibilità alla pubblica e gratuita consultazione”.
Gli Archivi di Stato sono 101 e sono presenti in quasi tutti i capoluoghi di provincia. Quello di Ragusa si trova in viale del Fante al numero 7 (sotto il palazzo della Provincia) e dal 2020 è diretto dal ragusano Vincenzo Cassì, quarant’anni, una laurea in Lettere, un diploma in archivistica paleografia diplomatica e un dottorato in filologia romanza. Lo abbiamo intervistato.

Dottore Cassì, gli studi l’hanno portata a vivere per diversi anni lontano da Ragusa. Quando ne ha avuto la possibilità è tornato nella sua città per dirigere il locale Archivio di Stato. Perché questa scelta?
Sono un funzionario archivista presso il Ministero della Cultura, quello che era chiamo un tempo Ministero dei Beni Culturali, e dal 2020 dirigo l’Archivio di Stato di Ragusa, direzione che ho assunto con la consapevolezza che ci sono oneri e onori, nel senso che oltre essere naturalmente un ruolo di rilievo, perché dirigere un ufficio pubblico è sempre un grosso onore, si assume anche una grossa responsabilità. Però, per quella che è la mia formazione e i miei interessi, reputo questo lavoro veramente prezioso, non tanto il mio personale quando il lavoro e il ruolo degli archivi di Stato, che rappresentano dei presidi di conservazione della cultura della memoria storica. Sono contento, dopo tanti anni spesi fuori, di poter dare il mio contributo al territorio dove sono nato.

Quando sono nati gli Archivi di Stato?
Sono nati in un contesto post unitario, quindi nella seconda metà dell’Ottocento, quando il neonato Stato Italiano si pose il problema della gestione della grande mole di documentazione prodotta nei diversi staterelli preunitari che avevano caratterizzato la complessa storia politica amministrativa istituzionale della penisola italiana. Dopo la dissoluzione dell’impero romano, che era un’istituzione centralista e centralizzata, tutto il periodo successivo era stato caratterizzato da una frammentazione politico-amministrativa della nostra penisola e si era giunti a una unità nazionale molto più tardi rispetto agli altri paesi europei. Naturalmente la storia culturale italiana, prima nell’era medievale e poi nell’età moderna, è stata ricca e variegata, e quindi la produzione di documenti in ognuno degli stati regionali, in ognuno dei comuni dell’età settentrionale o nei regni del sud Italia, è stata grande. All’indomani del 1860, il neo stato unitario si è quindi posto il problema di come conservare così tanti documenti, e la risposta è quella di istituire gli Archivi di Stato. All’inizio ce n’erano solo alcuni, poi, con l’evoluzione della disciplina archivistica e con delle importanti leggi, negli anni trenta e negli anni sessanta/settanta (in questo caso grazie alla figura illuminata di Giovanni Spadolini e all’istituzione del Ministero dei Beni Culturali), siamo arrivati a quello che sono oggi gli Archivi.

Qual è lo scopo, la mission degli Archivi di Stato?
Certamente quello della conservazione e della tutela del patrimonio storico archivistico, che è a tutti gli effetti patrimonio culturale, ma anche quello di dare la possibilità, a chi lo desidera, di fruire di questo patrimonio. Questo doppio compito degli Archivi è stato poi confermato dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio del 2004, che prescrive da una parte le attività di tutela e conservazione, quindi le attività tese alla protezione alla conservazione del patrimonio, e dall’altra anche tutta una serie di attività di valorizzazione tese a promuovere la conoscenza e la fruizione del patrimonio culturale anche attraverso iniziative culturali.

Che documenti si trovano nell’Archivio di Stato di Ragusa?
Noi custodiamo tutto il patrimonio documentario preunitario prodotto nel territorio provinciale, dal Medioevo al 1860, e poi tutto quello che è stato ed è ancora prodotto dallo stato unitario italiano di provenienza statale. Per quanto riguarda il patrimonio documentario antecedente l’unità d’Italia abbiamo gli archivi delle istituzioni presenti sul territorio, ad esempio quelli della Contea di Modica, quelli degli antichi comuni, e gli atti e i registri dei notai della nostra provincia redatti dal tardo Medioevo fino a oggi, così come delle corporazioni religiose. Per quello che invece riguarda la documentazione dello Stato statale post unitario, noi accogliamo la documentazione degli uffici periferici dello Stato che deve essere conservata permanentemente.

Immagino che non tutto quello che viene prodotto dagli uffici periferici dello Stato si debba conservare. Chi decide cosa tenere e cosa scartare?
Lo fanno delle commissioni di sorveglianza, che vengono istituite proprio per decidere quali documenti conservare e quali invece scartare, attraverso l’utilizzo dei massimali di scarto, strumenti archivistici che consentono di scartare tipologie documentarie in relazione, ad esempio, al numero di anni trascorsi dall’esaurimento di una pratica. Il fine è quello di riuscire a scartare ciò che ha esaurito il suo interesse giuridico-amministrativo, nel caso in cui non abbia anche un interesse culturale. La parte residuale viene poi versata agli Archivi di Stato. Normalmente si tratta di documentazione di interesse giuridico oppure di interesse storico-culturale, e molto spesso le due cose coesistono. Abbiamo ad esempio gli archivi giudiziari, quelli delle Preture, dei giudicati regi che sono gli antenati delle Preture, oppure l’archivio della Questura o della Prefettura di Ragusa, che è uno dei fondi archivistici più importanti per lo studio della storia del nostro territorio nel Novecento. Inoltre, conserviamo anche fondi di provenienza non statale, come alcuni importanti archivi familiari di casate che nei secoli hanno ricoperto ruoli di rilievo nelle amministrazioni pubbliche. Si tratta di misure virtuose perché consentono ad archivi familiari, che magari comprendono documentazione antica e di una certa rilevanza storica, di essere ospitati in un istituto statale e quindi essere disponibili per la pubblica fruizione. Un’altra importante fonte sono gli archivi dei notai, che costituiscono una fonte privilegiata per lo studio della storia del territorio nei secoli precedenti al terremoto del 1693, che costituisce una sorta di cesura anche per quanto riguarda la conservazione dei documenti.

Quanto e perché è importante conservare la memoria?
È molto importante! Molto spesso ci si dimentica di quanto sia importante conoscere la storia del proprio territorio e questo si può fare anche attraverso la consultazione dei documenti che si conservano negli Archivi di Stato. Per esempio, dagli antichi registri notarili si riesce a ricostruire la vecchia fisionomia della città, i quartieri, le strade, il castello, le torri, le porte. È come se noi riuscissimo a visualizzare un qualcosa che non esiste più, come se fossimo proiettati in quello che era la società del tempo, riuscendo a capire chi abitava dove, perché scriveva, cosa faceva, quali erano i sistemi produttivi economici. In definitiva, attraverso i documenti si riescono a estrarre tutta una serie di dati e di notizie trasversali che permettono approfondimenti non solo di natura economica ma anche culturali e sociali. Perché un Paese che non conosce il proprio passato, è un Paese che non ha futuro.

Come si fa ad accedere e consultare i documenti che si conservano nell’Archivio di Stato? Chiunque può venire e chiedere di visionare un documento?
Certamente. Noi abbiamo un servizio di “sala studio” che è quotidiano, libero e gratuito. Si viene qui e si chiede agli archivisti il documento che si vuole esaminare. È chiaro che nel momento in cui si entra in archivio bisogna, non dico avere le idee chiare, però sapere bene che cosa si sta cercando, o almeno avere un’idea del tema della propria ricerca. In questo modo il personale di “sala studio” può indirizzare la ricerca suggerendo dei possibili fondi archivistici su cui concentrare la propria attenzione, e da lì partire alla ricerca di ciò che si sta cercando. Perché la ricerca di un documento si può paragonare ad un’attività di scavo.

Per concludere, facciamo un bilancio di questi suoi cinque anni da direttore?
Il bilancio di questi cinque anni è abbastanza positivo, perché siamo riusciti a fare tante belle cose, lavorando ai fini di una maggiore apertura dell’archivio verso il territorio, la cittadinanza e il mondo della scuola. L’archivio è solitamente visto come qualcosa di vecchio, di polveroso o popolato da figure poco avvezze alla socialità. In realtà non è così. Gli archivi sono realtà dinamiche, moderne, che fanno parte di una famiglia, quella dei beni culturali, che mira a valorizzare quello che hanno in custodia. Lo scopo della conservazione è anche quello di permettere ai documenti che proteggiamo di essere conosciuti all’esterno e di raggiungere quante più persone è possibile perché altrimenti torniamo alla concezione di archivio che si aveva 200 anni fa. L’archivio dev’essere, e nei fatti lo è, un posto vivo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *