Le prime costruzioni dell’uomo risalgono a circa due milioni di anni fa, per lo più si trattava di ripari e capanne molto rudimentali.Spesso erano semplici strutture realizzate con rami, foglie, pelli di animali e pietre, usate per proteggersi dalle condizioni meteorologiche e dagli animali selvatici. L’uomo ha cominciato a costruire per bisogno, per proteggersi dal freddo e ripararsi dalle intemperie. Nel corso dei secoli ha migliorato la tecnica delle costruzioni, passando da rudimentali capanne a grattacieli con appartamenti dotati di ogni comfort.Ciò ci suggerisce che probabilmente sia cambiata l’idea alla base del bisogno di costruzione, che non siamo più di fronte ad un indispensabile aiuto alla sopravvivenza, ma probabilmente siamo davanti ad una continua ricerca di comodità, fino a sfociare, in epoca moderna, nel lusso sfrenato.Ma perché nell’ideologia umana ha preso tanto spazio il bisogno di costruire? Perché non si arriva mai alla “costruzione perfetta”, ma si continua nella spasmodica ricerca di qualcosa di migliore, di più grande, financo di irraggiungibile?In natura nessun’altra specie interviene così tanto nell’ambiente circostante per renderlo più conveniente alla propria sopravvivenza.Nel mondo animale assistiamo a costruzioni basilari, quali le tane dei tassi, dei conigli, dei roditori. Troviamo i classici nidi di uccelli e insetti.Le strutture più complesse le forniscono i castori, solerti nel modellare tronchi sminuzzando ramoscelli e creando un fittissimo intreccio con fango e pietre per costruire le loro dighe, atte a sfruttare rifugio e sostentamento dall’acqua, oltretutto favorendo molte specie animali e vegetali che vivono nelle stesse zone. Come non citare le formiche con le loro complesse gallerie sotterranee che ospitano intere colonie.Nonostante questi esempi rimane l’interrogativo sul perché l’uomo continui in modo compulsivo a pianificare costruzioni sempre più elaborate, talvolta in modo grottesco o esagerato. Siamo dinnanzi a un fabbisogno psicologico o a un bisogno pratico?Difficile dare una risposta, al massimo possiamo provare a ispirarci ai filosofi del passato per formulare una ipotesi.In particolare ci sembra utile rispolverare un pensiero di Blaise Pascal (matematico, fisico, filosofo e teologo francese vissuto nella prima parte del 1600 in Francia) il quale sosteneva che l’uomo nascesse con una capacità intrinseca di provare un amore infinito, un desiderio che va oltre ogni possibile esperienza materiale.In altre parole l’uomo porterebbe dentro di sé un amore divino e una naturale ricerca dell’infinito. Questo anelito però non trova mai la sua giusta corrispondenza, troppo spesso sviato verso l’amor proprio e verso gli oggetti materiali.Per il filosofo francese la vera fonte di questo amore è Dio, una volta consumatosi il peccato originale, l’uomo rimane con questo barlume di infinito che non riesce più a soddisfare.Da ciò ne potrebbe derivare che l’uomo è alla continua ricerca di qualcosa che non troverà mai, nonostante avanzi sensibilmente nel progresso, nelle scienze, nelle costruzioni.L’uomo avrà sempre bisogno di continuare a costruire nella vana ricerca di soddisfare un bisogno che ha poco a che vedere con le scoperte ma che trova radici molto più profonde. Radici che germogliano verso l’infinito tendere in direzione di qualcosa o di qualcuno mediante le inclinazioni che ognuno ha, anche senza una destinazione vera e propria ma verso uno stato d’animo o un obiettivo.Probabilmente, e qui abbassiamo sensibilmente l’appeal della citazione: “L’errore più grande a cui l’uomo può credere mai, è cercare lontano le cose che ha dentro di lui.”

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