
Dal punto di vista di noi occidentali, e in particolare per ciò che interessa la categoria dei cosiddetti “giovani”, questa non è certamente un’epoca di costruzione; al contrario, ci siamo da poco scoperti inermi spettatori di inarrestabili processi di distruzione, decadimento, destituzione.
Dalla pandemia all’emergenza climatica, dall’aumento spropositato dei femminicidi alla salma del diritto internazionale, che vediamo decomporsi davanti ai nostri occhi al continuo esplodere di nuovi conflitti, l’impressione è che il tessuto stesso della realtà si stia incrinando irrimediabilmente; che, in seguito a una lunga fase come di sospensione e di cieca incoscienza collettiva, le contraddizioni stiano tutte venendo a galla. E stavolta le loro conseguenze sono davvero urgenti, impossibili da ignorare.
Le immagini satellitari di Gaza, ormai quasi completamente rasa al suolo, sono una vera e propria fotografia di questo percepito “crollo della civiltà”, il nostro colpevole riflesso allo specchio. E guardando ogni giorno quella devastazione, consapevoli di fare parte dello stesso sistema che l’ha resa possibile, giustificandola, minimizzandola, persino finanziandola, come possiamo blaterare di costruire qualcosa? Cosa dovremmo costruire? Uno Stato palestinese? O magari un’Unione Europea trasparente, etica, diplomatica, sinceramente democratica e, perché no, anche competitiva? Un futuro sostenibile per le nuove generazioni? E con quali premesse?
Beh, almeno ci resta il ponte sullo Stretto.
No, seriamente. Forse una delle cause di questa situazione disperata va rintracciata nel rapporto malato che, come occidentali, abbiamo instaurato negli ultimi decenni (e anche molto prima) con quello che viene definito “lo spirito apollineo”.
Da un lato, abbiamo fatto di tutto per contribuire al suo completo dissanguamento, interiorizzando motti del tipo “tanto non cambia mai niente” o “non c’è nulla che valga la pena”; ricercando continuamente emozioni forti e dopamina istantanea, ma rifiutando al contempo qualsiasi sforzo attivo o impegno intellettuale. E gli effetti sono visibili a tutti i livelli: bassissima affluenza elettorale, improbabili complottismi, individualismo estremo, shopping compulsivo, binge-watching di film e serie tv, adesso pure il brain rot!
D’altra parte, in maniera solo apparentemente paradossale, ne abbiamo determinato una sorta di ipertrofia, che trova la sua perfetta immagine plastica proprio in quel fisico da body-builder ormai esibito da chiunque nei social network. Ossessione per il corpo, per le diete, controllo spasmodico dei parametri vitali (misurazione della pressione, analisi del sangue, continue visite specialistiche), app per pianificare la settimana, parallelamente all’ascesa delle destre, all’annuncio di folli spese militari… sono tutti segnali inequivocabili di un rigor mortis che precede e annuncia la definitiva débâcle della nostra civiltà.
La sensazione, dunque, è che costruire possa ormai significare, concretamente, soltanto ricostruire: attendere una qualche rottura definitiva… e poi ricostruire. Eventualmente.
È l’ennesimo millenarismo, alimentato dalla vivida impressione che ci stiamo tutti dirigendo verso una qualche forma di singolarità. Che forme assumerà, solo il tempo sarà in grado di dircelo. Potrebbe trattarsi dell’olocausto nucleare come di un anticipatissimo takeover dell’intelligenza artificiale, di un cataclisma naturale o di mille altre cose. Magari nessuna di queste.
Eppure, le tensioni in gioco (geopolitiche, socio-economiche, psicologiche) rimangono straordinariamente complesse, apparentemente irriducibili, e non possono che generare un diffuso senso di perenne insicurezza, terrore e impotenza.
Per inciso, accanto alla volontà di salvare il salvabile e a un ormai sfinito approccio riformista, esiste anche la tentazione (inconfessabile) di partecipare direttamente a questo declino. Velocizzarlo il più possibile per passare, finalmente, a una fase di rifondazione, che appare comunque inevitabile. Inaugurare ufficialmente la post-apocalisse, che ormai da anni domina l’immaginario di prodotti letterari, cinematografici e videoludici.
Una ventata d’aria fresca, ricominciare da capo: è forse questa la nostra istanza fondamentale.
Intanto, nell’attesa che anche l’ultima delle speranze e delle ipocrisie venga spazzata via, non ci resta che mantenerci vigili, sempre critici, e non perdere mai, nonostante tutto, la fiducia nel domani. Ciò che conta davvero, come sosteneva Bukowski, è quanto siamo bravi a camminare attraverso le fiamme.