
Da bambino, durante una delle nostre passeggiate per le strade di Militello, mio nonno materno mi portò alla chiesetta di Sant’Antonio da Padova.
Si trova quasi in un angolo, in fondo alla via Pietro Carrera, quel lungo capillare che parte dalla centrale piazza Vittorio Emanuele (in paese chiamata piazza Santa Nicola), passa sotto il retro dell’antico palazzo nobiliare di famiglia, e sfocia nella zona di levante del paese.
Mio nonno mi mostrava la particolarità del campanile, a fasce bianche e nere, ricostruito da un mastro scalpellino subito dopo il terribile sisma del 1693.
Mi diceva che oggi (ed erano gli anni ’70) nessuno riuscirebbe a fare un lavoro del genere.
All’indomani di quella sciagura, bastò semplicemente un abile artigiano della pietra per costruire un nuovo campanile al posto di quello crollato giù.

Una delle frasi di mio nonno che maggiormente mi colpì – osservando quello spiazzo lievemente reclinato – riguardava il fatto (reale) che questa chiesa sia stata una ‘costruzione senza fine’.
Ho voluto condividere questa riflessione con un carissimo amico di mio padre, probabilmente il maggiore conoscitore e studioso della storia di Militello in Val di Catania: Mario Abbotto, autore di numerose pubblicazioni proprio sul borgo (attualmente) più famoso d’Italia.
E la mia ideale passeggiata con lui parte proprio da quello spiazzo nel quale – secondo una traditio sospesa tra leggenda e possibilità – Sant’Antonio da Padova si riposò durante il suo cammino, da Leontinòi verso le pendici degli iblei.
“Mario, ma è possibile che il Santo di Padova si sia fermato proprio qui?”
“E non solo lui. Si dice che anche San Francesco sia passato da qui, risalendo lungo il Vallone di Loddiero. In quell’epoca, tale strada era molto usata, perché permetteva il transito fra l’entroterra dell’isola e lo Scalo di Agnone, nel territorio di Lentini. Questo scalo oggi non esiste più: ma fino al 1700 era utilizzato per il suo approdo naturale delle imbarcazioni provenienti dalle coste africane, in quanto protetto da due alture che permettevano al mare un percorso serpentino fino a questo bacino, oggi completamente coperto da rigogliosi agrumeti.”
“Quindi nulla toglie che anche il Santo di Assisi sia passato da qui.”
“Esatto. Ne abbiamo notizie in quanto fra’ Paolo da Venezia, il quale avrà personalmente conosciuto Francesco, aveva costruito nel 1235 un convento e la chiesa, laddove oggi sorgono il convento dei Cappuccini e l’“Immacolata” (volgarmente così chiamata), su un pianoro più a monte rispetto a quella antica strada di transito, non distante comunque dallo spiazzo in cui si trova attualmente la chiesa di Sant’Antonio. Fra’ Paolo venne trucidato da malfattori, perché creduto in possesso di ingenti somme.”
“Tornando alla chiesa di Sant’Antonio: quando venne costruita? Preesisteva un tempietto o una costruzione sacra, in questa zona? È vero che in questo punto siamo fuori dal borgo medioevale?”
“La notizia certa è che i devoti di Sant’Antonio dovettero iniziare a costruire la chiesa nel 1503 sulla base di storie tramandatesi nel corso dei secoli. Questa zona si chiamava Carrubbara, e si trovava fuori dal borgo, comunque non distante dal Castello. La chiesa sorse con prospetto a ponente, in quanto i festeggiamenti del Santo (12 e 13 giugno) cadevano “con tempo caldo e notte breve”. Venne completata, con lavori pressoché continui, nel 1574, e sopra l’ingresso venne apposta una lapide con l’incisione “Hic ubi an. MDIII hoc erectum est templum B. Antonius fatigatus ex itinere sedisse traditur”.
“Quale aspetto aveva la chiesa? Quanto ne vediamo oggi corrisponde al disegno originario, a parte il campanile?”
“La chiesa era certamente più grande. I lavori vennero ultimati dopo oltre settant’anni, nel 1574: e questo lo si desume dall’iscrizione sulla chiave della cupoletta con lanterna cieca esagonale, sopra la zona presbiteriale. Si presentava con rimandi di architettura medioevale, e con una preziosità accattivante, equilibrata e modesta che, insieme al grazioso lanternino dell’abside, dona ancora oggi alla costruzione rari tocchi di raffinata eleganza costruttiva. Considera però che i lavori alla chiesa furono continui, subì anche diverse riparazioni, e – da un certo momento in poi – anche lavori di riconfigurazione, in modo da adeguare la struttura ed il suo piano sghembo agli scossoni ed alle erosioni di questa zona. In questo modo, purtroppo, perdendo anche qualcosa nella sua cifra storica e stilistica”

“Il terremoto del 1693 fu un vero disastro per molte chiese di Militello, e dunque anche per questa. Diversi anni prima c’era stato anche un importante incendio, tra l’altro, che aveva coinvolto diversi edifici del borgo…”
“L’incendio scoppiò nel 1618, ad essere coinvolta fu principalmente la chiesa di Santa Maria della Stella. Ma il terremoto del 1693 fu una sciagura per tutto il paese e per i principali monumenti. La chiesa di Sant’Antonio da Padova fu riparo delle parrocchialità di Santa Maria della Stella e anche della chiesa di San Nicolò la Vecchia, interamente crollata. Al punto che il fonte battesimale, tra le altre opere, di forma ottagonale ed in pietra calcarea locale, venne messo a riparo nell’orto attiguo”
“Mio nonno mi raccontava che il campanile di questa chiesa crollò proprio col terremoto”
“Crollò del tutto. E toccò ad un artigiano della pietra ricostruirla, mastro Antonio Sciré Giarro, tra l’altro padre di un prelato locale. Iniziò nel 1716 e terminò tre anni dopo. Alternò le fasce in pietra di arenaria con quelle in pietra lavica, con la cuspide sommitale, controbilanciando in maniera ingegnosa il campanile con la pendenza del piano, nella speranza che potesse resistere nel tempo anche ai fenomeni di bradisismo”
“Mi pare che crollò anche il soffitto ligneo, simile a quello della chiesa della Catena, il quale però è rimasto intatto fino ai giorni nostri.”
“Non erano dissimili, i due soffitti. Quello della chiesa della Catena è però del secolo successivo, databile 1674. Dunque, è probabile abbiano inciso sia le evolute tecniche di costruzione d’un tale tipo di soffitto, sia la zona in cui la chiesa è stata costruita. In ogni caso, la chiesa della Catena presenta un piano rialzato, che meglio ha resistito al tremendo urto del sisma”.

“I lavori principali a quale periodo risalgono? Nei tuoi scritti ho letto di lavori pressoché continui nel 1700, post cataclisma, ma anche databili nel 1800.”
“Di sicuro nel 1721 vi furono lavori sostanziali, la chiesa venne rimpicciolita. Ma anche nel 1838, allorché venne riparato – diciamo così – il soffitto ligneo irrimediabilmente compromesso, con lavori di muratura e travi trasversali. Nel corso dei secoli, in generale, vennero però create sei cappelle laterali, in pietra calcarea locale, sul lato di levante. Addirittura, nel 1982 vi furono eseguiti lavori di ricognizione, volti a trovare segni delle primitive strutture cinquecentesche. Tali lavori portarono alla luce unicamente una porta laterale, lacerti di affresco, oltre a una certa approssimazione nelle opere ottocentesche di consolidamento”
Parlare di Militello con Mario apre orizzonti e curiosità.
Ma, oltre alla sua voce, per lui parlano anche i suoi scritti. E la sua disponibilità.
E così, mi sono ritrovato davanti a questa tastiera a digitare su file la storia di questa chiesa: una delle oltre trenta – alcune delle quali scomparse – che hanno costellato e ancora splendono in paese.
Questa in particolare, con la sua storia di costruzioni e ricostruzioni senza fine, di silenzio discreto e di rinuncia alla perfezione, fatta anche di accoglienza e di opere lignee (quelle sopravvissute si trovano esposte al Museo di San Nicolò), mi ha riportato alla mente un brano di Niccolò Fabi, dal titolo (guarda un po’) “Costruire”:
<<…e tutto il resto è giorno dopo giorno / e giorno dopo giorno è / silenziosamente costruire / e costruire è sapere / è potere rinunciare alla perfezione…>>
“Il Capitano Mario Abbotto, ufficiale dei Carabinieri, si definisce studioso appassionato della storia di Militello in Val di Catania, più che uno storico. Presidente dell’Archeoclub di Acireale, nonché da 60 anni Presidente dell’Associazione Nazionale Carabinieri. Nato e cresciuto tra antichi documenti, ha coltivato la sua passione fino a divenire riferimento storico, grazie alla guida del Prof. Di Fazio e dell’ing. Tomarchio. Ha dato alle stampe nel 2008 il volume, “Militello in Val di Catania nella storia”, tiene conferenze sulla Sicilia, collabora con la rivista “Agorà”. “
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