
Secondo la Treccani, per “verità”, termine che viene dal latino vērĭtas -atis, derivazione di verus, vero, si intende il senso di “conformità o coerenza a principî dati o a una realtà obiettiva”, mentre, relativamente a fatti, vuol dire “sapere, conoscere”.
La verità, però, purtroppo, non è sempre “a portata di mano”, immediatamente disponibile. A volte, e in certi ambiti lo è spesso, la verità bisogna cercarla e non sempre si riesce a conoscerla.
Di questo abbiamo parlato con Salvo Palazzolo, palermitano, inviato speciale per il quotidiano “La Repubblica”, che da trent’anni prova a raccontare l’evoluzione del fenomeno mafioso da dopo le stragi di inizio anni novanta. Si è occupato di alcuni casi irrisolti, fra cui quello di Lia Pipitone, la figlia di un boss mafioso uccisa a Palermo nel 1983 durante una finta rapina. La pubblicazione del suo libro, Se muoio, sopravvivimi, scritto insieme al figlio Alessio Cordaro, ha fatto riaprire il caso. Da poco ha pubblicato per Rizzoli L’amore in questa città, un libro con il quale indaga sul caso di una ragazza, Cetti Zerilli, uccisa nel settembre del 1935. Una storia che gli era stata raccontata da un vecchio giornalista.
Salvo, continui a vivere e lavorare a Palermo e la tua missione sembra quella di cercare la verità, le verità nascoste.
Faccio il giornalista a Palermo da più di trent’anni per scelta, e continuo a cercare quei pezzi di verità che ancora non ci sono. Verità che ancora non abbiamo sulle stragi di Falcone e Borsellino, ma anche sui tanti omicidi eccellenti. Non conosciamo ad esempio il nome del killer che uccise Piersanti Mattarella, il Presidente della Regione che voleva riformare la politica e la Sicilia. Ma mi sono occupato di tanti altri casi come appunto quello di Cetti Zerilli, una storia che il fascismo aveva cancellato del tutto.
Come si cerca la verità?
Innanzitutto cercando e parlando con chi è stato testimone di quelle stagioni. Io credo che ci siano delle persone che sanno e che non parlano perché non hanno ancora avuto il coraggio e la forza di farlo. La verità si cerca tornando anche ad ascoltare le testimonianze dei familiari delle vittime, che in questa terra hanno sempre chiesto giustizia e verità. Si cerca sostenendo chi ogni giorno questa verità la cerca, penso a pezzi della magistratura, alle forze dell’ordine, ma anche a sindacalisti, a sacerdoti, a intellettuali, a testimoni. In questa nostra Sicilia tante persone hanno cercato la verità e continuano a cercarla, e allora il dovere dei giornalisti, ma anche di tutta la comunità civile, è quello di sostenere chi continua a cercarla.
Ma perché è importante cercare la verità?
Chi è stato ucciso la stava cercato, e forse aveva anche trovato pezzi di verità. E allora è importante indagare sulle vittime ancora senza giustizia per cogliere le loro intuizioni, quello che avevano compreso e avevano capito. Chi li ha uccisi ci ha anche rubato le loro parole migliori. Hanno rubato l’agenda rossa di Borsellino, il diario di Falcone, le carte di Peppino Impastato, l’archivio del generale Dalla Chiesa. Non gli è bastato uccidere queste persone per fermarle, hanno pure cancellando, rubato, le loro parole che erano probabilmente parole che facevano riferimento a intuizioni, a indagini, a progetti. Allora, la ricerca della verità in questa terra è, oggi, ricercare quelle parole, che devono essere un punto di riferimento per costruire il futuro. Ed ecco perché la ricerca della verità non può essere soltanto impegno di magistrati e poliziotti ma deve essere impegno di tutta la comunità civile.
Quindi come si fa, una volta trovata la verità, a mantenerla viva, a non farla dimenticare?
La ricerca della verità è un percorso che spesso ha delle battute di arresto o anche pericolosi ritorni indietro. Chi non vuole che si trovi la verità mette in campo anche dei depistaggi. Per questo è necessario sostenere chi continua a cercarla. È necessario difendere le cose che si scoprono per evitare dei pericolosi ritorni al passato, e questa terra, purtroppo, mi sembra che abbia una tendenza molto forte di ritorno al passato.
Come facciamo ad evitare tutto ciò?
Ribadisco che la ricerca della verità deve vedere come protagonisti pezzi della società civile. Per tutta la comunità dev’essere una ricerca costante. In questo senso è importante il ruolo dei giornali, anche del vostro. Ci vuole un presidio permanente che continuare a cercare la verità, per non dimenticare chi l’ha cercata, cercando di mettere assieme tutti quei tasselli che un domani potrebbero darci un quadro più chiaro riguardo a quanto è accaduto nella nostra terra
Secondo te perché e quanto è pericoloso dimenticare?
In questo nostro Paese abbiamo la tendenza a perdere la memoria e a dimenticare la verità, che è il rischio più grande perché ci sono state delle verità che sono state conquistate con fatica, anche con il sangue, e che però qualcuno sta provando a cancellarle. E allora il vero rischio è questo, che i passi avanti che sono stati fatti vengano cancellati. Per questo è necessario tenere sempre alta l’attenzione.