
In un numero che ha come tema centrale la raccolta, il testo di Eco La vertigine della lista non può che essere considerato un riferimento a cui guardare con attenzione, sia perché raccoglie una moltitudine di esempi sia letterari che pittorici, che fotografici, tali da essere loro stessi vertiginosamente accostati un un elenco impossibile degli elenchi, sia perché prova a dare un senso a un’abitudine che è propria del nostro modo di ragionare: la categorizzazione.
In effetti quando a scuola spiego il ragionamento in psicologia, si passa abbastanza presto a parlare di categorizzazione, la nostra capacità di racchiudere le cose in cassetti concettuali inclusi in più grandi “credenze”, anch’esse concettuali, e cosi via.
La nostra capacità di categorizzazione segue una logica, ma il modo in cui si passa dall’elenco di attributi alla definizione di una categoria per essenza, si passa da un mondo a un altro con rapporti di dipendenza reciproci non sempre evidenti.
Tutto questo e molto altro ce lo spiega, meglio di me, proprio Umberto Eco, che parte dalla distinzione tra la forma e l’elenco, esprimendo la prima qualcosa di chiuso e costrittivo dentro i suoi confini di forma, e fa l’esempio dello scudo di Achille e l’elenco per descrivere una moltitudine che non si può confinare, e si porta ad esempio l’elenco delle flotte degli Achei nell’Iliade.
Con questo riferimento al testo omerico Eco ci spiega che per raccontare o memorizzare una moltitudine ci siamo sempre serviti di liste: della spesa, di cose da fare, di cose da dire, di nomi di persone, di elementi naturali, di partecipanti, di elementi bellici, di guerrieri, di persone da eleggere, di elettori, di firmatari di petizioni, di invitati, di liste come in questo caso, ecc.
La tesi da cui parte Eco nella sua disamina sulle liste è proprio questa: la capacità delle liste di far comprendere e di racchiudere, ma non totalmente, un tutto, talvolta innumerevole.
Ma perché la vertigine?
La vertigine è uguale a quella che deriva dalla contemplazione del sublime, la vertigine verso qualcosa che è enumerabile, ma è allo stesso tempo al di là della nostra comprensione: potremmo iniziare ad enumerare le stelle del cielo, ma saremo costretti ad un certo punto a ricorrere all’eccetera, che è un’apertura all’infinito, che è tale perché non non ne vediamo la fine. Allora se non è quantità infinita è sicuramente innumerevole, cioè non si può enumerare in toto, ma per rendere l’idea possiamo cominciare a fare una lista, più o meno lunga.
La vertigine riguarda anche la possibilità di distaccarsi dal mondo reale cominciando ad enumerare e a raccogliere, ed è lo svolgimento di una corona di preghiere, delle caratteristiche di una figura mistica, un mantra che ti porta via da te, dai tuoi pensieri, dai tuoi finiti bisogni. Io amo costruire elenchi di cose inutili, di cose utili, di cose che ho fatto e di cose che avrei dovuto fare. L’enumerazione ti coinvolge, ti tiranneggia talvolta, ti rassicura, ti porta lontano.
Ed è forse proprio la possibilità del percorrere la lunghezza della lista a renderla affascinante, perché è un viaggio che sembra avere una meta ma è sospeso, come un eccetera, ma proprio per questo sempre possibile, un elenco di cose che si interrompe quando si è stanchi e che si può completare quando si ha voglia di farlo.
È un elenco infine, mettere una dietro l’altra tante frasi, senza che esse siano necessariamente collegate tra loro e cercare ciò che le rende appartenenti allo stesso nucleo tematico, ed è elencare il ragionare, cioè mettere una cosa dietro l’altra, e lo sragionare, mettere cioè assieme cose che non si somigliano neanche, come un candelabro, lo scudetto della tua squadra di calcio, il cane del vicino che abbaia, le scale della casa in montagna, il pane cotto, l’uomo di Neanderthal, il colore grigio, la fisiognomica, la danza latino americana, una bottiglia, tutti, ma proprio tutti, i nostri sogni, eccetera…