
«Antonio. Antonio. Antonio», urlò Giovanna, in piena notte.
«Nonna, ma che…? Nonna. Che ore sono?», rispose Amelia ancora assonnata.
«Tu chi sei? Perché sei qui? Antonio! Antonio!», Giovanna guardava la stanza intorno a lei ma non riconosceva il luogo in cui si trovava. Tutto intorno le era completamente sconosciuto e la persona che aveva di fronte era un viso estraneo.
«Nonna. Sono Amelia, tua nipote».
«Amelia? Antonio, dov’è Antonio? Voglio Antonio. Tu non sei Antonio», rispose Giovanna con rabbia, alzando la voce.
«Antonio… nonna, Antonio non è qui, tra poco torna, rimettiti a letto tranquilla», la confortò Amelia.
«Non mi toccare, vattene. Antonio! Antonio!». La voce di Giovanna si alzò ancora di qualche decibel. Era arrabbiata, cercava delle risposte che quella fanciulla non riusciva o non voleva dargli.
«Mamma», esordì Giuseppe dall’uscio della porta, «che sta succedendo? Perché non dormi?»
«Oh Antonio, finalmente. Dov’eri finito?», disse Giovanna con una voce sottile e piena di sollievo. «Dobbiamo andarcene da qui. Vedi quelle donne?», indicando Amelia e la mamma Anna, «quelle vogliono metterti le mani addosso come le hanno messe a me. Dobbiamo andarcene. Vestiti!» gli comandò, mentre apriva i cassetti del comò della nipote. «Dove sono i miei vestiti? Dove sono?»
«Mamma, calmati. Non ce ne possiamo andare. Sono le tre di notte. Fuori non c’è nessuno. Dove dovremmo andare? Dobbiamo rimetterci a dormire e domani ce ne andiamo, ok?»
«A dormire? Quelle donne, sono là che ci fissano. Sono delle poco di buono. Ce ne dobbiamo andare da qua. Vogliono te e i nostri soldi. Andiamocene! Antonio perché non mi ascolti?» Giovanna era furibonda, quella persona che credeva essere suo marito non voleva portarla via da lì.
«Mamma, sono Giuseppe, tuo figlio. Quelle donne sono Amelia, tua nipote, e Anna, tua nuora. Ora ci dobbiamo rimettere a letto e dormire».
Giovanna non sentiva ragioni. Le parole del figlio non le ascoltò neanche. Voleva andarsene con il suo Antonio, a casa e nel cuore della notte.
Passarono dieci minuti e Giuseppe riuscì a convincerla a rimanere, utilizzò parole dolci, che la fecero capitolare. Le diede un calmante, le preparò una camomilla, la rimise a letto e lui si sdraiò nel letto di Amelia, accanto a lei.
Giovanna, nonostante avesse il suo “Antonio” vicino non era tranquilla, non riusciva a prendere sonno. Si ritrovava in una stanza che non riusciva proprio a ricordare. Ma com’era finita lì? Perché Antonio non le dava retta? Perché quelle donne erano in quella casa? C’erano tante domande a cui non riusciva a dare una soluzione, per tale motivo svegliò nuovamente Giuseppe. «Antonio, non ce la faccio! Ce ne dobbiamo andare. Alzati!»
«Mamma», Giuseppe si alzò e si mise seduto sul letto, prese la mano della madre e la fece accomodare accanto a lui, «sono Giuseppe, tuo figlio, non Antonio, tuo marito».
«Giuseppe. Io ho un figlio che si chiama Giuseppe. Giuseppe…», Giovanna sembrò riconoscere in quel viso qualcosa di familiare. «Giuseppe», scandì bene ogni lettera e lo iniziò a guardare con occhi più dolci.
Amelia e Anna, che dal corridoio ascoltarono ogni parola, decisero di entrare, portando con loro un album di foto. Volevano farsi riconoscere, così si sedettero nell’altro letto, di fronte a Giovanna e cominciarono a farle vedere delle foto del suo amato Antonio, credevano fortemente che una volta sfogliata quella raccolta di immagini, Giovanna sarebbe ritornata in sé.
«Nonna, Antonio è questo qua. Giuseppe, invece, è questo qui. Le persone accanto a lui siamo io e la mamma. Siamo noi, nonna. Sono Amelia», spiegò con voce strozzata la nipote.
«Mamma, Antonio non c’è più. È morto quattro mesi fa. Ti ricordi?», disse Giuseppe con gli occhi lucidi e la voce rotta, forse era la prima volta che lo diceva ad alta voce e quella frase toccò Anna e Amelia, le quali abbassarono gli occhi.
«Morto… Morto? Mio marito è morto?», replicò Giovanna. Il suo amore, l’uomo della sua vita era morto e lei non riusciva a ricordarlo?
«Quando? Quando? Io… tu lo hai lasciato morire?»
Giuseppe non riuscì a rispondere a quella domanda. Aprì la bocca, ma non uscì nulla, neanche un suono, così prese la parola Amelia. Si inginocchiò davanti a sua nonna e le prese una mano.
«Nonna, il nonno stava male da un po’», fece una pausa cercando di non piangere, «non si riusciva ad alzare da un po’, portava l’ossigeno e tu sei rimasta sempre accanto a lui, gli davi l’acqua, a volte ti addormentavi sulla sedia che era vicina al suo letto e gli raccontavi la tua giornata».
«Accanto a lui ero?»
«Sì. Non lo hai lasciato un attimo».
«Non l’ho lasciato un attimo».
Giovanna faceva da eco a sua nipote. Cercava di comprendere quelle parole che per lei erano inspiegabili. Più Amelia parlava, più il viso della nonna diventava triste. Più la nipote cercava di addolcirle la cruda verità, più lei sentiva una pugnalata al petto sempre più forte.
«Il nonno se n’è andato quattro mesi fa», concluse Amelia porgendole la foto del loro cinquantesimo anniversario. Giovanna la prese come se fosse un oggetto preziosissimo, la guardò, con il dito seguì il contorno del viso di suo marito, poi la strinse a sé e cominciò ad accarezzarla con delicatezza.
«Antonio è morto», sospirò Giovanna. Fu allora che scoppiò in lacrime.
Era un pianto disperato, inarrestabile. Il dolore era riaffiorato. Le urla incontrollabili risuonavano in quella stanza. Giuseppe cercò di confortarla, Amelia le stringeva le mani e piangeva insieme a lei e Anna guardava il soffitto con le lacrime che le segnavano in viso.
«Oh Antonio. Oh amore mio, te ne sei andato», ripeteva senza sosta. Sembrava una vera e propria cantilena.
«Oh Antonio. Oh Antonio».
Nel silenzio della notte, quelle sue parole facevano rumore, un rumore assordante che trafiggevano il cuore. Erano stati insieme ben sessantadue anni e adesso lei era rimasta da sola. Quel dolore era stato cancellato per qualche ora e lei non se n’era accorta, ma non appena Amelia aveva pronunciato quella frase il tormento era riemerso più forte che mai. Quelle grida che perforavano le orecchie, quella mano che batteva forte sul petto e quegli occhi che non facevano altro che lacrimare, fu per Giuseppe, Amelia e Anna come rivivere nuovamente la scena di quattro mesi prima.
Quali parole possono confortare un dolore del genere? Quanti abbracci servono per attenuare la perdita? Cosa si può fare in questi casi? Pensieri che si insediavano veloci nella mente di Giuseppe che voleva solo calmare quella madre devastata dall’angoscia.
«Dobbiamo andare al cimitero… devo stare con lui», asserì Giovanna verso il figlio.
«Ti porto da lui domani», le assicurò Giuseppe, baciandole la fronte, «ma adesso andiamo a riposare».