
Professore emerito di Storia dell’Architettura presso la prestigiosa Berkeley University of California, Stephen Tobriner è uno dei massimi esperti mondiali di architettura e urbanistica in aree sismiche. Nella sua lunga ed intensa esperienza di ricerca si è occupato di studiare gli effetti dei terremoti sui centri abitati e la storia delle diverse strategie usate dagli uomini per ricostruire e proteggersi da disastri futuri. Grazie anche alle sue straordinarie doti umane ha lavorato in team sparsi in ogni parte del mondo, offrendo con semplicità le sue conoscenze ed il suo originale metodo di ricerca. Proprio in una di queste squadre ho avuto la fortuna e l’onore di conoscerlo nel 1998, durante il progetto di ricostruzione della cattedrale di Noto. Neolaureata, fui incaricata dell’indagine archivistica propedeutica e Stephen ci seguiva da lontano (allora solo per email). Ogni tanto ci raggiungeva a Noto, dove la nostra sala riunioni era il caffè Sicilia, tra un cannolo e una granita, ed in cui oggi ci incontriamo di nuovo. Sebbene il nostro periodo di lavoro insieme sia stato relativamente breve, si è creato un bellissimo rapporto e lui non dimentica mai di avvisare la mascotte del gruppo (ero la più giovane ed inesperiente) quando ritorna a Noto, a cui, come vedremo, è particolarmente legato.
Quando è nato il tuo amore per la Sicilia?
Nel 1964, come studente presso l’Università di Stanford in California, partecipai ad un campus organizzato dalla stessa università a Firenze. Io ero già interessato all’architettura barocca ed il professore Lorenzo Gori-Montanelli, che ci guidava, mi consigliò di visitare il Sud Italia e la Sicilia. In inverno, inseguendo il caldo e trovando invece pioggia, vento e freddo, insieme ad un amico, Jon Reider, visitai prima la Grecia e poi la Sicilia. Nonostante le molteplici disavventure, le difficoltà e i malanni del mio compagno di viaggio, capii che quest’isola aspra, ma anche dolce, arretrata pur essendo ricca di storia ed umanità, meritava un altro viaggio che avrei compiuto però in solitaria.
Tornato negli Stati Uniti, sono stato ammesso a studi post-laurea per un dottorato in storia dell’arte presso l’Università di Harvard. Lì ho studiato con il brillante professore George Kubler (in visita dall’Università di Yale) che era un esperto di architettura precolombiana e coloniale spagnola. Sotto la sua supervisione ho studiato prima architettura e poi antropologia della civiltà mesoamericana.
Fu il professor James Ackerman, uno dei massimi esperti di Michelangelo, a sciogliere i miei dubbi, indirizzandomi verso la Sicilia, ma senza nascondermi le possibili difficoltà. Né lui né alcun altro importante storico dell’architettura, a parte Anthony Blunt, avevano mai visitato la Sicilia.
Inoltre l’interesse per il meridione d’Italia ed i suoi molteplici problemi è un’eredità che mi ha lasciato mia madre, che ha studiato economia ed ha scritto una tesi di master sulla cassa del Mezzogiorno. Non solo avrei studiato un territorio praticamente vergine e quindi promettente ed originale dal punto di vista scientifico, ma avrei provato anche a dare il mio contributo per migliorare la vita dei suoi abitanti. Mi colpiva molto anche l’esperienza di Danilo Dolci, che dagli studi di architettura era transitato ad una proposta di innovazione sociale radicale ed al tempo stesso non violenta.
Così nel 1967, con una piccola borsa di studio, tanto spirito di adattamento, ed un pizzico di incoscienza, affrontai il mio tour della Sicilia…in autostop! Era l’unico mezzo che mi permetteva di raggiungere anche i centri più piccoli e sperduti. Potrei scrivere un libro su questa esperienza! Indimenticabile fu quando, per diversi giorni, mi unii ad una banda musicale in giro per le feste patronali, e spesso le famiglie del posto mi invitavano a mangiare e dormire a casa loro. Ho un bellissimo ricordo del calore e dell’accoglienza dei siciliani.
E alla fine hai scelto Noto, come mai?
Sono rimasto colpito dalla bellezza sia di Noto che di Ragusa, ma ho visto Noto come straordinaria per il disegno della sua pianta urbana e per i suoi numerosi e raffinati edifici barocchi. Tra le città ricostruite dopo il terremoto del 1693, argomento che avevo deciso di studiare, mi sembrava molto interessante, ma soprattutto nel panorama desolante delle istituzioni culturali del territorio sembrava offrire qualche appiglio da cui cominciare. C’era una biblioteca, un vivace gruppo di studiosi locali, e non troppo lontano, l’archivio di Siracusa. Pertanto nel 1969 ho deciso di vivere a Noto e studiare la città per un anno.

Abituato alla vivace atmosfera dei prestigiosi campus che hai frequentato, come hai vissuto in un posto dove non c’erano altri studiosi americani?
Viaggiare in un luogo e lavorarci sono due esperienze molto diverse. A quei tempi a Noto c’erano solo due pensioni (due stelle sotto zero), due trattorie, un tavola calda e qualche osteria. Ero uno straniero e, prima di studiare la città, dovevo capire come viverci. Questa era di per sé una sfida. Ho così tante storie da raccontare! È difficile catturare l’atmosfera di Noto alla fine degli anni ’60. Non solo tanti edifici erano chiusi, abbandonati e degradati, ma anche la società era molto diversa. Una cosa che è cambiata completamente è lo sguardo silenzioso con cui a volte venivano accolti gli stranieri. Antonioni, nel suo film L’Avventura, sottolinea “lo sguardo silenzioso”, ma era una cosa che esisteva veramente! Fui accompagnato in Sicilia dalla mia prima moglie, una bellissima donna. Quando entravamo in un caffè, nella sala calava il silenzio e gli uomini la fissavano. Alla fine, dopo che questo trattamento fu ripetuto più volte, dissi in italiano: “Che succede, non avete mai visto una donna prima?” Tutti risero e l’incantesimo si ruppe.
Un’altra volta stavo osservando gli edifici lungo una strada di Noto bassa, quando dei bambini mi urlarono oscenità mentre gli uomini guardavano con aria seria. Dopo aver rotto il ghiaccio salutando tutti con un “buongiorno”, ho annunciato in italiano: “Il mio accento è un po’ strano perché sono un ingegnere di Torino, mandato qui per un sopralluogo per un aeroporto. Ci sarà una pista da costruire su questa strada. Vi mandiamo tutti a Pachino!” Ci siamo fatti una bella risata e siamo diventati amici.
Certo, le differenze culturali erano evidenti, ed erano accentuate dalla mia giovane età, dalla mia alta statura, dai jeans, dai capelli lunghi e dalla mia ingenuità. Ma a loro merito, molti abitanti di Noto hanno stretto amicizia sia con me che con mia moglie, e alcuni sono diventati amici per la vita.
A parte gli episodi divertenti, il mio lavoro era scandito da una routine molto serrata. Archivi e biblioteche al mattino, studio e misurazione degli edifici nel pomeriggio. C’è stata una pausa solo quando ho scoperto che il professore Paul Hofer, dell’Università E.T.H. di Zurigo, aveva scelto di studiare Noto. Avevo sentito parlare del suo lavoro sulle città siciliane, ma sono rimasto sorpreso nello scoprire che si stava concentrando sulla mia stessa città, temendo che le nostre ricerche fossero in concorrenza. Ma poi lui mi ha mostrato generosamente una magnifica mappa e gli splendidi prospetti stradali che lui e i suoi studenti stavano realizzando. Ho capito che il mio lavoro su Noto sarebbe stato diverso: volevo sapere chi fossero i singoli committenti, gli ingegneri e gli architetti che avevano plasmato l’architettura e la città. Avevo bisogno non solo di un attento esame visivo dell’ambiente fisico, ma anche di documenti a supporto e della ricostruzione del contesto culturale e sociale. Ogni giorno guidavo la mia Fiat 124 fino a Siracusa, e lì mi immergevo nei registri dei notai antichi per analizzare ogni tipo di transazione, sperando di trovare documenti relativi agli edifici di Noto.
Ho imparato moltissimo in quel periodo: il disegno ed il rilievo (che non facevano parte degli insegnamenti previsti nel mio corso di studio) e la lettura dei documenti d’archivio.
Sono così tante le avventure di quel periodo: ricordo che mi sarebbero state molto utili delle foto aeree, così mi recai a Sigonella e mi rivolsi ai militari americani di stanza lì. Ero pronto ad un rifiuto, ma l’ufficiale addetto mi disse che erano annoiati di perlustrare il mare alla ricerca di sottomarini sovietici, e qualche foto di città sarebbe stata divertente. Così, quando qualche giorno dopo vidi un elicottero volare sui tetti di Noto, capii che avrei avuto le mie foto. A patto che non parlassi mai a nessuno di questo episodio, ma sono passati così tanti anni ed ora tutti possono accedere a google earth!
Il tuo libro The genesis of Noto, che è un testo fondamentale per la storia dell’urbanistica e dell’architettura barocca, uscì nel 1982. Come mai tutto questo tempo dai primi studi alla sua pubblicazione?
Ho completato la mia tesi di dottorato presso l’Università di Harvard nell’autunno del 1971, e mi sono laureato nel 1972. Nel frattempo, sono stato assunto come professore assistente dall’Università della California, a Berkeley. Iniziava così la mia carriera di insegnante, e dovevo trovare il tempo per completare bene il mio lavoro. Un libro non è una tesi e c’era ancora molto da fare prima di pubblicare. Avevo bisogno di controllare tanti dettagli, e così, grazie ad una borsa di studio, sono tornato a Noto nell’ estate del 1972 e per alcuni mesi del 1973. Negli anni seguenti uscirono molti nuovi libri e vennero alla luce altri documenti, che mi diedero ulteriori spunti. Così la redazione definitiva fu completata solo nel 1979. La pubblicazione era affidata ad una prestigiosa casa editrice britannica, Zwemmer publications, ed il mio referente era sir Anthony Blunt. Peccato che proprio in quegli anni si scoprì che Blunt, oltre ad essere storico dell’arte, editore e conservatore delle opere d’arte della Corona, fosse anche una spia al soldo dei sovietici! Quindi le vicende della guerra fredda rallentarono il completamento dell’opera, che fu pubblicata in inglese ed ebbe un’ottima accoglienza nelle librerie e presso il mondo accademico. Qualche anno dopo Corrado Latina, un architetto di Noto e professore all’Università di Firenze, vide il volume in una vetrina di Oxford e decise che avrebbe fatto di tutto per vederne una versione in italiano. Il sindaco dell’epoca, Corrado Passarello, fu entusiasta dell’idea ed appoggiò finanziariamente l’impresa, mentre Latina si occupò della traduzione. La versione italiana e’ stata pubblicata nel 1988. Venti anni dopo (2008) la giunta del sindaco Corrado Calvo mi conferì la cittadinanza onoraria di Noto
Oggi Noto è completamente cambiata, piena di turismo ed offerta culturale. Come ti spieghi la sua trasformazione?
Il punto di svolta è avvenuto negli anni ‘90, quando si verificarono due eventi decisivi, anche se molto diversi tra loro.
Le celebrazioni per i 300 anni dal terremoto del 1693 portarono molti studiosi in Sicilia, molti libri e studi furono pubblicati. La prof. Lucia Trigilia organizzò per anni un convegno di studi internazionali sul barocco in Sicilia e questo permise il contatto tra gli storici e la crescita di giovani leve di studiosi.
Nel 1996 invece il crollo della cattedrale di Noto accese i riflettori sul degrado della città e sulla necessità di interventi. La risposta pubblica fu importante, fu in quell’occasione che ci incontrammo, e da quel momento gli interventi di consolidamento e restauro si moltiplicarono. L’iscrizione di Noto e delle altre città del suo Valle nella lista UNESCO dei siti patrimonio dell’Umanità, avvenuta nel 2002, non è stata altro che la consacrazione di un percorso molto più lungo.
Sono molto contento quando osservo questi cambiamenti: vedo realizzati i miei obiettivi, ovvero quello di studiare un luogo, non solo perché è interessante dal punto di vista urbanistico e architettonico, ma anche perché si può contribuire al miglioramento della vita dei suoi abitanti.
La ricerca, lo studio, l’interesse ed il punto di vista di studiosi internazionali e locali svegliano la coscienza e la consapevolezza degli abitanti, che comprendono il valore dell’eredità che hanno ricevuto dai propri antenati. Ugualmente richiamano l’attenzione dei flussi turistici nazionali ed internazionali, propongono questi luoghi nell’immaginario collettivo, tanto da farli diventare location di eventi e di produzioni cinematografiche.
Noto è rinata due volte, la prima volta quando i suoi abitanti l’hanno ricostruita in un luogo lontano dalla sua sede originaria e la seconda volta anche grazie a chi l’ha studiata! Da parte mia, visitando Noto per tanti anni, sia nei momenti belli che in quelli brutti, ho imparato ad amare la città e i suoi abitanti ed è un grande onore per me essere considerato un Netino.

Complimenti a Gaudenzia e al Prof. Tobriner, che meriterebbe la
Cittadinanza Onoraria
Siciliana!
Complimenti a Gaudenzia, un articolo molto scorrevole e interessante e un grazie al Prof.Tobriner per essersi interessato negli anni a questa parte del sud-est della Sicilia .