Facciamo un rapido elenco, partendo da quelle che ho visitato di più escludendo le italiane:

Parigi 8 o 9 volte; New York 5 volte e c’erano ancora le torri gemelle; Vienna e Barcellona 4 volte; Tarragona; Palma di Maiorca, 4 volte; Ibiza; Minorca; Madeira; Tenerife; Gibilterra; Londra 3 volte; Copenaghen 3 volte; Stoccolma 2 volte; San Pietroburgo 2 volte, ma una di queste era ancora Leningrado; Budapest 2 volte; Praga 2 volte; Oslo 1 volta, Amsterdam 2 volte; Dublino 1 volta; Bruxelles 1 volta; Berlino 1 volta e c’era ancora il muro; Mosca una volta e c’era ancora il comunismo; Cairo 2 volte; Tunisi almeno 3 volte; Hammamet; Monastir; Cipro; Colonia 1 volta; Stoccarda; Amburgo 2 volte; Lille e Rennes una volta; Miami una volta, Boston, solo all’aeroporto; Bratislava, solo l’aeroporto; Menfis e Detroit, solo aeroporto; Tallin 1 volta; Little Rock 1 volta; Orlando 1 volta; Istanbul 1 volta, ma due volte in Turchia; Atene 1 volta; Cos; Cefalonia; Rodi; Svizzera di passaggio, più volte; Strasburgo; Malaga, forse un paio di volte, come a Marbella; Siviglia; Toledo; Luxor e Assuan 2 volte; Sharm el Sheick e Hurgada, una volta ciascuna; Mont saint Michelle; Dubrovnik 2 volte; Mostar con annesso terremoto; Madrid; Lione; Monaco e principato di Monaco, almeno 2 volte; Bergen; Spalato; Zagabria; Corfù.

Alcune di queste città le ho visitate da solo, qualcuna con gruppi di amici o di agenti di viaggi, la maggior parte con i gruppi organizzati da mio padre, quasi tutti fino ai miei 30 anni di età, ora ne ho 50.

Quest’ultimo dato mostra che il mio viaggiare è stato inversamente proporzionale a quello dei miei coetanei: quando io giravo tra Europa e America, la maggior parte di loro aveva visto al massimo Roma e Venezia, e quando il mio viaggiare è diminuito i miei coetanei hanno scoperto mete che io neanche mi sogno.

Ma viaggiare è elencare destinazioni o mettere mattoni più o meno grandi, sulla costruzione della propria esperienza di vita?

Propendo per la seconda ipotesi, viaggiando ho imparato molte cose, alcune belle, alcune brutte.

Ho imparato l’inglese e scampoli di frasi, spesso gli annunci in stazione, di lingue che per il resto sconosco; ho mangiato da Mcdonalds e Burger King quando il 99% degli italiani ne sconoscevano l’esistenza, ho fatto mangiare per la prima volta un kebab a un agente di viaggio di Gela a Parigi; ho pranzato in un minuscolo ristorante cinese a Montparnasse dove giravano per la sala degli enormi gatti; ho sentito la terra tremare violentemente; ho sentito colpi di ak47 passare sopra la mia testa; ho visto grattacieli, piramidi, templi, musei, persone, amori della mia vita, mi sono fatto tantissime risate, ho camminato moltissimo, ho fatto migliaia di chilometri in autobus, ho pianto; ho cantato; ho passato notti insonni; mi sono ubriacato.

Mio padre organizzava i viaggi di gruppo e, da Ragusa, quasi ogni estate almeno un pullman partiva per la Spagna, o per Parigi e Londra, o per le capitali nordiche. Io adoravo i pullman e, ignorando, come tutti a quell’epoca, qualsivoglia regola di sicurezza macinavo migliaia di chilometri seduto sullo scalino accanto all’autista. Volevo diventare autista di pullman, ma poi ho preso altre strade.

Ci sono state città che mi sono rimaste indifferenti e altre che, invece, avrei scelto come luogo dove vivere.

E nella mia fantasia ho vissuto lì, ho avuto storie d’amore, come quando da bambino a Stoccolma mi innamorai di una bambina in un cabinato, o a Dublino ho incrociato sguardi con cui ho costruito, in un lunghissimo attimo, una famiglia.

Da venti anni ho viaggiato di meno, ho girato di più l’Italia e ho vissuto in posti differenti, da Ragusa a Pavia, a Torino e a Nichelino (che è praticamente Torino), e di nuovo in Sicilia, al mare, in provincia di Ragusa. Ho cambiato lavoro all’inizio di questo ventennio, mi sono sposato e separato. Ho conosciuto centinaia di ragazzi, i miei alunni. E viaggio sempre, come sempre, anche se sto fermo, cercando infine la città, o il paese, o il villaggio in cui inventarmi e reinventarmi, crescere e invecchiare.

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