
Da qualche mese Operaincerta era diventata una testata registrata in tribunale quando, eravamo alla fine del 2005, Antonio La Monica, allora come adesso direttore di questo giornale, mi aveva chiesto se mi andasse di scrivere per il quindicinale “La Città”, del quale era caporedattore o qualcosa del genere. Naturalmente avevo accettato con gioia, ed è stato grazie alla collaborazione con queste due testate che, qualche tempo dopo, mi sono potuto iscrivere all’Ordine dei Giornalisti.
Si giustifica così il mio legame affettivo con “La Città”, e il tema di questo mese mi offre l’opportunità di ricordare quel periodo, molto bello per me, e quel giornale, per quello che ha rappresentato per la città di Ragusa e la sua provincia. Lo faccio intervistando Antonio, nonostante qualche sua riluttanza legata al pudore che ha nel parlare di sé.
Antonio, quando è nato il giornale “La Città”?
Cominciamo male… non lo ricordo con esattezza, ma credo fossero i primi anni del nuovo millennio. Se dovessi fare la parte del bravo concorrente di un quiz televisivo senza l’aiutino da casa ti direi che è nato nel 2001. Ma potrei anche sbagliare.
Com’è nata l’idea del giornale, chi l’ha avuta?
L’idea è venuta a Giovanni Iacono e Armando Cannata, due imprenditori di Scicli che erano soliti dire: alcuni hanno la barca, altri come noi hanno un giornale. A dirla tutta, credo che loro avessero entrambe le cose. Tuttavia va reso loro il grande merito di avere dato vita ad un progetto editoriale abbastanza sganciato dagli interessi politici, nonostante uno dei due avesse un ruolo attivo in consiglio comunale a Scicli e l’altro avesse ambizioni per posti di sottogoverno. Li ricordo entrambi con molta simpatia. Erano aperti alle idee che venivano proposte e non posso dire che fossero ingerenti nei riguardi del direttore e dei collaboratori.
Perché un quindicinale?
Anche questa è una domanda che dovresti rivolgere agli editori. Io so che la periodicità si è rivelata più che giusta per il tipo di lavoro che facevamo. Dava il tempo alla redazione di pensare ed elaborare idee spesso non banali. C’era una certa attinenza con l’attualità, ma anche il tempo per effettuare approfondimenti che altri giornali, soprattutto i quotidiani non potevano avere. In alcuni periodi ci ha permesso di realizzare delle prime pagine molto creative anche dal punto di vista grafico. Ricordo alcuni lavori molto accattivanti realizzati da Domenico Schembari; in una inchiesta sulle professioni dei politici o sui politici di professione, realizzò un “Quarto stato” con i visi dei nostri rappresentanti istituzionali al posto degli originali. Per alcuni di loro fu uno shock!
Chi era il direttore?
Il direttore è sempre stato Giorgio Liuzzo, firma storica de “La Sicilia” e collaboratore di molte testate giornalistiche sia in video che sulla carta stampata. Audace come pochi, buon maestro per chi volesse imparare cosa fare e non fare per essere un valido giornalista.
Perché è nato il giornale? Quale era il suo obiettivo?
Come molte imprese del tutto folli, credo che anche questa non avesse un obiettivo chiaro e se lo aveva non credo sia stato né raggiunto né si sia mai percorsa la strada per farlo. Posso dirti, però, che nel suo piccolo è riuscito a rappresentare spesso una voce fuori dal coro. Un giornale con una certa credibilità e che i lettori, soprattutto in alcune piazze della provincia di Ragusa, aspettavano con trepidazione. Io avevo un compito molto particolare, perché oltre a scrivere, titolare i pezzi, correggere e impaginare, mi occupavo anche della distribuzione fisica dei giornali nelle edicole del territorio. Ebbene, quando arrivavo a Vittoria consegnavo le 40 copie all’edicola della piazza e non appena riprendevo l’auto per ripartire mi accorgevo che già una decina di persone erano accorse per acquistare la propria copia. Era una bella soddisfazione!
Che meriti attribuisci a questo progetto?
Quello di avere rappresentato una voce alternativa e nuova, senza essere fanatica o rivoluzionaria a tutti i costi. Gli riconosco anche il merito di avere infastidito il potere anche grazie alla satira e al coraggio che molti hanno manifestato con le loro inchieste. Infine, La Città ha riunito varie firme di un certo prestigio a livello locale e ciò ha garantito la realizzazione di belle pagine da leggere anche a distanza di tempo.
Tu quando sei arrivato al giornale?
Nel 2003, questo lo ricordo! All’inizio La Città aveva una redazione composta da firme storiche del giornalismo ragusano. Collaboratori dei tre quotidiani regionali e di alcune emittenti televisive costituivano la spina dorsale del progetto. Poi mio fratello Vincenzo è stato coinvolto e, bontà sua, ha tirato dentro anche me. All’inizio scrivevamo i pezzi a doppia firma (e anche questo per il giornalismo tradizionale locale era un fatto strano). Era interessante perché grazie a questa collaborazione riuscivamo a moltiplicare le idee e le forze. Soprattutto riuscivamo, spero, ad ottenere una sintesi tra lo stile alto (in tutti i sensi) di Vincenzo e la mia necessità di fare sintesi, di comunicare in modo semplice. Credo che nel tentativo di portare sulla Terra mio fratello io abbia imparato qualcosa sia nello scrivere del discreto giornalismo che nel leggere una bella letteratura.
Che cosa ha significato per te?
Non vorrei apparire esagerato, ma è stata una esperienza che mi ha cambiato le prospettive di vita e di lavoro. A quei tempi ero uno studente universitario fuori corso e fuori sede con idee molto confuse. Ho scoperto in pochi mesi che il giornalismo era il mio possibile mestiere. Mi piaceva, non mi costava fatica e mi regalava grandi soddisfazioni, se non economiche, almeno professionali. Credo che mi abbia dato modo di esprimere una parte di me che non conoscevo e di superare una timidezza che credevo mi appartenesse ma che ho scoperto lontanissima dalla mia vera natura.
È stato anche una fucina di giovani. Era previsto che fosse anche questo?
Se questo rientrava tra gli obiettivi è stato senza dubbio centrato. La Città ha scoperto e formato moltissimi giovani e meno giovani che hanno trovato una sorta di scuola e una bella occasione di crescita. Molte delle firme ancora oggi in attività hanno mosso i primi passi nella nostra redazione. Credo che la libertà che si respirava favorisse una certa sperimentazione, incoraggiasse il talento. Ricordo che curavamo anche alcune pagine scritte proprio dagli studenti delle scuole superiori della provincia. Insomma credevamo molto nelle giovani leve essendo molti di noi parte di esse.
Perché e quando ha terminato le pubblicazioni?
L’ultimo numero è uscito nell’agosto del 2010. In pochi anni il mondo del giornalismo è stato rivoluzionato da internet e dalla così detta informazione digitale. Il motivo della chiusura è piuttosto scontato: i soldi e i bilanci molto precari che gravavano sugli editori. La conversione al formato digitale non è mai partita, ma credo che non avrebbe avuto un respiro lungo.
Che cosa resta de “La Città”? Nel territorio e in te?
Inutile girarci attorno: direi che del progetto “La Città” resta molto poco se non nulla e, in fondo, è giusto così. Quando il giornale nasceva, la nostra provincia contava su tre redazioni di quotidiani regionali. Alcuni periodici, specie di natura religiosa, pubblicavano con regolarità. Erano attive non so quante emittenti tv anche di un certo rilievo e non mancava l’informazione radiofonica. C’erano testate progressiste e altre che lo erano decisamente meno. Il panorama dell’informazione sembrava poter garantire lavoro a tanti professionisti e offrire un buon servizio alla comunità. Di tutto questo oggi resta davvero pochissimo. È evidente come la rivoluzione digitale abbia moltiplicato le fonti di informazione senza renderle più credibili, migliori e professionali di un tempo. Ma non voglio essere del tutto catastrofico: resta in me il senso di una esperienza forte che mi ha formato e che mi ha permesso di capire molte cose su me stesso, sulla politica e sulla società in genere. È anche grazie a “La Città” che ancora oggi qualcuno, tu che fai le domande, io che ti rispondo può divertirsi scrivendo con la speranza di offrire qualcosa di buono ai lettori.