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Giovanni Vicari

Guglielmo Tasca 14 marzo 2024


Nel 1972 esce Il padrino, di Francis Ford Coppola, vincitore di incassi, di tre premi oscar e capolavoro assoluto della cinematografia mondiale. Non parlerò del film e poco parlerò anche della colonna sonora. Nino Rota ha stabilito, con le musiche scritte per questo film, lo standard delle colonne sonore dei film di mafia, così come Morricone con C’era una volta il west ha creato lo standard per il film western. Rota è riuscito ad uscire dal suo stile “felliniano” e a rendere il tutto più epico, più drammatico e più tragico, visto l’argomento di cui parlava il film. Una attenzione maniacale alla storia, basti dire che, ad esempio, fa eseguire ad un certo punto la melodia del tema da una sola cornetta per esprimere la solitudine di Don Vito Corleone. Con questo espediente, nell’immaginario popolare, “quella sensazione diventa quella che prova l’immigrato italiano al suo arrivo in un grande paese come l’America” (Francesco Tresca). Forse questo effetto non era neanche cercato, o forse sì, ma la musica ha un potere evocativo che è più forte delle parole e delle intenzioni stesse di chi la compone. Il film parte con la scena famosa del matrimonio ma, primo colpo di scena, pare (e sottolineo “pare”) che a firmare quella parte di colonna sonora sia stato Carmine Coppola, padre di Francis Ford Coppola. In realtà si tratta di temi popolari. Bisogna comunque considerare che, se da un lato anche per i brani popolari c’è sempre traccia di qualcuno che li ha scritti, dall’altro, negli anni venti, con la nascita del grammofono, dei 78 giri e delle prime registrazioni e di un diritto d’autore ancora troppo giovane, era pratica comune firmare brani copiati e spacciarsi per autori (anche quando si era solo esecutori o, al massimo autori del solo arrangiamento). Ma che succeda questo negli anni settanta suona un po’ strano. Negli anni venti il diritto d’autore era appena nato o meglio, per essere più concreti, erano appena nate le case discografiche che, per incidere i brani, dovevano pagare chi ne deteneva i diritti. All’epoca del film però in America le regole del copyright erano ormai chiare, quindi a me rimane il dubbio: uno di questi brani è La luna mienzu o mari che già dal 1927 era stato pubblicato da Paolo Citarella, uno di quei musicisti siciliani emigrati in America.
Ma proprio nella scena del matrimonio viene inquadrato nell’orchestra un signore che suona, da par suo, il mandolino. Questo signore risponde al nome di Giovanni Vicari, musicista catanese nato nel 1905 ed emigrato in America a vent’anni nel 1925. Oggi vi parlerò di lui.
Negli anni dieci e venti, quelli dell’emigrazione più massiccia dei siciliani e dei meridionali nel nord America (dal 1876 al 1900 erano più le popolazioni del nord Italia ad emigrare, Veneto, Friuli e Piemonte), partirono parecchi musicisti che, tra gli emigrati, furono quelli che inizialmente ebbero più fortuna. Soprattutto perché erano bravi. In Italia c’era infatti la grande tradizione della banda che formava questi musicisti. In America non c’era questa tradizione ma le prime musiche incise dalle case discografiche erano di derivazione bandistica e di genere “semi culto”, perché erano pensate per gli emigrati.
Giovanni Vicari si era formato a Catania, con la grande tradizione dei teatri, della strada, dei barbieri ma non era un musicante, era un musicista (e che musicista). Prima di lui c’era stato il grande Giovanni Gioviale, anche lui mandolinista, anche lui catanese e anche lui per qualche anno registrato in America, il terzo era Frank Fazio. Giovanni Vicari suonava anche la chitarra e il violino. Giunto in America, imparò il banjo, rivoluzionandolo addirittura. Pare che abbia “inventato” il banjolin cioè un banjo a quattro corde doppie (cori) come quelle del mandolino. Perché, nelle storie di emigrazione ci sono anche storie di integrazione e, come si dovevano integrare i protagonisti dell’emigrazione, si dovevano integrare anche gli strumenti. Il banjo aveva subito già la prima trasformazione partendo dall’Africa come tamburo (anche se c’era già qualche tamburo con le corde in Africa) ma arrivato in America incontrò i siciliani e cambiò ancora. Successe anche al friscalettu siciliano sostituito (e non trasformato) dal clarinetto, strumento più versatile e più facile da reperire.
Nel 1972 la fama di Giovanni Vicari era consolidata in America, aveva infatti calcato i palcoscenici più importanti, suonando con grandi musicisti e suonando il banjo nel musical Hello Dolly. Questo spiega perché pensarono a lui per il mandolinista nella scena del matrimonio e gli fecero la famosa “offerta che non si può rifiutare”. Il suo stile era severo, da musicista classico nonostante abbia inciso moltissimi brani strumentali (polche, valzer e mazurche) scritti espressamente per la comunità siciliana a New York. Tra i brani da lui incisi ricordiamo Pensandoti, Speranze perdute e Appassionato.
Un’ultima curiosità rimane per la colonna sonora del Padrino che (secondo colpo di scena), per quanto stupenda, non appare tra le ben dieci nomination all’oscar. Nino Rota utilizzò per Sicilian Pastorale (un valzer che faceva parte della colonna sonora) una melodia da lui scritta nel 1958 per un film sceneggiato da Fellini e diretto da Eduardo De Filippo (Fortunella), ciò causò il ritiro della candidatura all’oscar per la musica.
Anche altri ebbero offerte che non si possono rifiutare: Mario Puzo, autore della storia, a cui la Paramount Pictures offrì “dodicimila dollari e mezzo per finirlo promettendogliene altri ottantamila se avesse accettato di farne un adattamento cinematografico”.
Francis Ford Coppola a cui “offrirono” la regia del film dopo il rifiuto di Sergio Leone impegnato con la raccolta di materiale per C’era una volta in America. Diverse poi furono le “offerte” fatte in vari momenti nel film per convincere i personaggi a fare ciò che andava fatto.
In ultima analisi anche a me è stato “offerto” di poter parlare di parlare di musica, e non ho potuto rifiutare, almeno, io l’ho interpretata così.

Guglielmo Tasca

Guglielmo Tasca è nato a Scicli (RG) nel 1962. Si è laureato al Dams e negli anni ha approfondito lo studio delle musiche e delle tradizioni popolari siciliane.
Nel 1996 ha vinto, insieme a Rinaldo Donati, il premio Recanati per la canzone d’autore con il brano Beddu nostru Signuri. Ha inciso numerosi dischi e si è esibito su palcoscenici.

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