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Case da pazzi

Rita Luciani 14 aprile 2024


La pazzia spesso abita nella testa degli umani e nelle loro case come eccentricità, come ribellione o come originalità. La casa diventa così specchio dei proprietari, abitanti spesso bizzarri e stravaganti, ribelli e resistenti, pazzarelli veri o presunti tali. 

A Bagheria nel 1715, Don Ferdinando Gravina IV principe di Palagonia, fece costruire la sua dimora, oggi conosciuta anche come Villa dei Mostri.
Ha una pianta articolata in due elementi quadrati, congiunti da una parte centrale curvilinea. Nel lato concavo, sotto il fastoso stemma della famiglia Gravina, è posto lo scalone d’onore a doppia e simmetrica rampa. Dal grande pianerottolo si accede al piano nobile della villa, col prezioso salone degli specchi che ricoprono interamente il soffitto, mentre le pareti sono adornate da finissimi marmi, vetri colorati e altorilievi marmorei. Nel 1787 J.W. Goethe, durante il suo Gran Tour, fa visita al principe di Palagonia Ferdinando Francesco II, e così scrive a proposito del giardino: “Se ci si immagina di queste figure eseguite a centinaia, prive di senso e intendimenti, riunite senza scelta e senza scopo, se ci si rappresenta quei plinti, quei piedistalli e quei mostri allineati a perdita di vista, si parteciperà dell’impressione penosa che deve sentire chiunque è cacciato fra queste verghe aguzze della follia”. Queste sculture mostruose che hanno reso la villa famosa nei secoli, sono statue raffiguranti animali fantastici, figure antropomorfe, statue di dame, cavalieri, musicisti e caricature varie, oggi ne sopravvivono sessantadue, ma originariamente sarebbero ammontate a circa duecento. Il principe Ferdinando Francesco, nipote del fondatore della villa e committente delle stravaganti statue, non era né pazzo né stupido, ricopriva vari incarichi di prestigio, eppure non fu compreso da molti illustri pensatori e letterati. La sua villa rappresenta il caos del mondo, le mostruosità umane, la disillusione nella ragione; è la dimora di un visionario, di un precursore dello scetticismo, che distaccandosi dall’Illuminismo proprio del suo tempo, anticipò ansie e inquietudini tipicamente romantiche.

Non meno originale fu il barone Pietro Pisani, che si definì il primo pazzo di Sicilia. Era un funzionario dell’amministrazione borbonica e nel 1812 ebbe l’incarico di gestire la Real Casa dei matti di Palermo. 
L'edificio di via La Loggia, nei pressi di palazzo dei Normanni, fu costruito come convento nella seconda metà del Settecento, adibito poi come manicomio e successivamente come carcere militare; oggi versa in stato di abbandono. E’ costituito da un corpo di fabbrica principale che si sviluppa su due livelli, e da quattro manufatti ad un piano. Il barone Pisani si dedicò per prima cosa alla riorganizzazione medica e sanitaria: divise i malati psichici dai malati in lunga degenza, debellò l’uso di catene e migliorò la qualità del cibo; inoltre introdusse pratiche ricreative, registro dei malati e regolamento per il personale. Riguardo alla ristrutturazione edile scrisse: “Degli uomini i più giovani e i più robusti, unitamente ai furiosi, li assegnai alla costruzione di un nuovo edificio, gli attempati ai lavori di giardino, il rimanente a nettare e pulire l’intero stabilimento”. La sorprendente dedizione di Pisani alla Real Casa è esempio di quanto sia indispensabile per la salute fisica e mentale il luogo in cui si vive.

Ci sono due donne che la propria casa l’hanno difesa ad oltranza contro la mafia, guidate per trent’anni da una sana, ostinata e onesta “pazzia”, nella convinzione che i propri diritti non vanno mai svenduti: “Se abbassi la testa anche una volta sola, hai perso”. Siamo in piazza Leoni a Palermo, nei pressi del Parco della Favorita, dove la famiglia Pilliu possiede due case che non hanno mai voluto vendere, nonostante le numerose insistenze di un costruttore mafioso. Sono due palazzine a due piani dei nonni materni, abitate da tutta la famiglia, nulla di prestigioso, ma sono d’intralcio alla costruzione degli orrendi e mostruosi palazzoni propri del “sacco di Palermo”. Nel 1988 Innocenzo Lo Sicco dichiara di possedere lotti di terreni, compresi quelli dove sorgono le casette della famiglia Pilliu, ottiene il permesso di costruire e ben presto tutta la zona viene recintata. Savina e Maria Rosa Pilliu consultando le carte del progetto, scoprono che anche le loro case erano state inserite all’interno della concessione edilizia, sebbene non ci fosse mai stata una vendita. A seguito di numerose intimidazioni, Savina e Maria Rosa denunciano e parlano anche col giudice Paolo Borsellino nel 1992, poco prima del suo omicidio. L’imprenditore mafioso comincia a costruire e nel tirar su i palazzi danneggia gravemente le casette “resistenti”, allora le sorelle Pilliu denunciano la ditta edile e dopo trent’anni viene riconosciuto un ricompenso per danni, ma non saranno mai risarcite perché nel frattempo il costruttore è stato condannato per mafia e lo Stato gli ha sequestrato tutto.
Oggi le due casette sono lì, mezze diroccate, senza che ci siano fondi per sistemarle, soffocate e minacciate dai palazzi circostanti, ma che imperterrite resistono, perché ci vuole una sana e sacra follia per rimanere in piedi, incomprese da tanti, ma esempio per tanti altri. 

 

Bibliografia
J.W.Goethe Viaggio in Sicilia Librimediterranei2, 2015
Antonio Cangemi Miseria e nobiltà in Sicilia Navarra Editore, 2019
Pif - Marco Lillo Io posso. Due donne sole contro la mafia Feltrinelli, 2021

Rita Luciani

Rita Luciani nasce a Roma nel 1968, dopo la Maturità Classica si trasferisce a Modena, lavora e si laurea in Sociologia. Dal 2019 è residente a Scicli (RG), da pensionata e grata alla vita, si dedica alle sue passioni e ai suoi hobby.

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