Osservo un qualsiasi telegiornale e mi commuovono nel profondo i volti dei tanti, troppi, esseri umani che sono costretti a lasciare la loro casa. Un bombardamento, un terremoto, una carestia, una qualsiasi follia di un Dio distratto o di un uomo feroce distrugge ciò che più di ogni altra cosa rende possibile vivere in pace: la casa è riparo, rifugio, punto di partenza e di arrivo. Un diritto ancora negato anche in varie parti del così detto mondo civilizzato.
La casa è stata una primitiva caverna, una costruzione rudimentale, poi una domus e oggi un condominio. Villetta a schiera, alloggio popolare, qualunque luogo in cui sia possibile riposare, approntare un pranzo e una cena.
La casa è luogo di lavoro, spazio di fantasia, momento in cui costruire il futuro. Non solo posto di famiglia, ma anche sede di incontro per lavoratori e sodali di vario genere: le case del popolo, le case di riposo, le case vacanza, il centro accoglienza…
In due sillabe un mondo che si spalanca e che affascina. Da qui è un fiorire di architetture, di filosofie e di politiche sull’abitare. Dalle speculazioni edilizie che hanno messo nel sacco le città, al recupero degli spazi verdi nei dintorni degli appartamenti.
La casa è stata al centro della nostra vita nel momento buio del recente lockdown, ma è ispirazione per quadri, canzoni, film e generi musicali. Sinonimo di cose buone e profumate, come il pane fatto in casa, appunto.
Ad ognuno la sua casa, la stanza nella quale ritirarsi e dove, ricorderebbe Virginia Woolf, ognuno avrebbe diritto di ritirarsi per coltivare il proprio sé.
Ai nostri lettori, siano essi casalinghi o girovaghi, buona lettura.

Foto di Harry Strauss, da Pixabay